La morte del Conte di Cavour. Il necrologio de La Civiltà Cattolica del 1861
Il 6 giugno scorso ricorreva il 160esimo anniversario della morte di Camillo Benso conte di Cavour, ministro del Regno Sardo, regista del preteso risorgimento italiano, di quel movimento per la parimenti pretesa unità nazionale che si tradusse in una “battaglia … contro il Pontificato Romano non tende[nte] solamente a privare questa Santa Sede e il Romano Pontefice di ogni suo civile Principato, ma cerca anche di indebolire e, se fosse possibile, di togliere totalmente di mezzo ogni salutare efficacia della Religione Cattolica: e perciò anche l’opera stessa di Dio, il frutto della redenzione, e quella santissima fede che è la preziosissima eredità a noi pervenuta dall’ineffabile sacrificio consumato sul Golgota”.
La rivista dei Gesuiti, Civiltà Cattolica, ha celebrato l’evento tessendo il “gentile elogio” dello statista, accostando la sua figura a quella di papa Francesco: Francesco e Cavour: così lontani nel tempo ma così vicini nel credere nella laicità dello Stato. Anche 160 anni orsono i Padri della Compagni si occuparono della morte del Cavour, ma con toni ben diversi e non certo laudativi di un nemico della Chiesa. Quello che riportiamo di seguito è appunto il necrologio che fu pubblicato su Civiltà Cattolica. Quantum mutatus ab illo!
Una cosa non vogliono ora i liberali che si dica: ed è che la morte del Conte di Cavour fu un castigo di Dio ed un avviso ai suoi complici. Che quella morte sia stata per l’Italia liberale una grande sventura, questo i liberali concedono facilmente. Ma che questa sventura sia proceduta da Dio irato giustamente per tanti delitti, questo essi non vogliono assolutamente concedere; e per quanto possono vietano che si dica, e se il potessero, vieterebbero ancora che si pensasse. Che Dio protegga l’Italia perché permette un momentaneo trionfo ai suoi devastatori, questo i liberali permettono che si dica , e pretendono anzi che si canti quando trovano chi lo vuol cantare; ma che Dio castighi l’Italia liberale quando fulmina di morte repentina e inaspettata il suo eroe, mentre appunto tante chiese cristiane echeggiano ancora delle preci sacrileghe, onde l’ipocrisia liberale le avea profanate, questo i liberali non vogliono che si dica. La legge del non intervento i liberali vorrebbero, se potessero, applicata anche alla Provvidenza.
Pure se vi è morte che porti seco chiarissimamente l’impronta di una vendetta celeste, questa è la morte del Conte di Cavour. Sono appena sei mesi che egli interrogava la Camera sarda, dicendo: «Sapete voi che cosa accadrà in Europa dentro sei mesi?» Ed il Ministro intendeva promettere che dentro sei mesi egli sarebbe venuto a Roma. Ma invece dentro quel tempo Dio volle che il Cavour fosse nel sepolcro. Nella stessa Camera sarda e nei giornali del suo partito, egli lasciava pure intravedere non oscuramente la rea speranza di un presto cambiamento di Pontificato. Ma Dio volle che accadesse invece in Torino un cambiamento di Ministero. Rubato il suo al Papa, si pretese che il clero ingannasse i fedeli, invitandoli a ringraziare empiamente Dio nei suoi stessi templi della sacrilega rapina. È quei canti non erano ancor finiti, che già ai Te Deum succedevano, e Dio voglia che non con uguale ipocrisia, i De profundis. Tanto è vero che estrema gaudii luctus occupat! Volendo poi il Governo sardo vendicarsi del clero cattolico, che, nella sua immensa maggioranza, non volle il due Giugno prostituire il suo ministero, indisse le sue rappresaglie contro Cristo medesimo in Sacramento ; quasi intendesse che Cristo era proprio il nemico con cui egli avea da fare, e vietò che le autorità costituite assistessero alla solenne Processione del Corpus Domini. Ma il giorno stesso del Corpus Domini cadeva malato il Capo del Ministero sardo, e pochi giorni dopo, quelle autorità costituite procedeano mestamente alla solennità dei suoi funerali.
Cadde dunque malato il Conte di Cavour il giorno del Corpus Domini; e in prima parve la sua malattia cosa da poco. Ricadde gravemente nell’aurora del giorno due Giugno, quando tutta l’Italia liberale preparavasi a festeggiare ufficialmente, il meglio che poteva, la sua informe unità. Mori l’ottava del Corpus Domini, giorno. anniversario in Torino del celebre miracolo, per cui Torino si chiama la città del SS. Sacramento.
Ora ecco ciò che sopra questa morte ci si scrive da Torino nella solita nostra corrispondenza. «La morte del Conte di Cavour è il fatto capitale di questi ultimi giorni, e da questa incomincio la mia corrispondenza. Il 27 di maggio il sig. Rattazzi, presidente della Camera, apriva a spese del popolo le sale del Parlamento a riunione serale, invitando moltissime persone. E il Conte di Cavour pigliava gran parte alla conversazione, ed era l’anima e l’idolo della società. Oltrepassati appena i cinquant’anni, e di salute robustissima, parea che dovesse avere una vita ancor lunga. La sera del 29 di maggio, dopo di aver pranzato, stava fumando un zigaro sul balcone della sua casa; quando cadde improvvisamente come morto; Lo trasportarono in letto, gli fecero di molti salassi e parea che si riavesse. Ma il 2 di Giugno, festa dell’Unità nazionale, si aggravò a morte, e il mattino del 6 non era più. Egli morì il giorno del miracolo del SS. Sacramento avvenuto in Torino nel 1453; il qual miracolo, che i suoi amici solevano deridere, il Municipio torinese quest’anno deliberò di non più festeggiare intervenendo alla Processione. Ebbene Torino in quel giorno chiuse le botteghe per deplorare la morte del Conte di Cavour, mentre non le volle chiudere per ringraziare e onorare Gesù Cristo in Sacramento. Il Municipio, che non volle intervenire alla Processione del Corpus Domini, dovette intervenire ai funerali del Conte di Cavour. Dite lo stesso de’ magistrati. Un membro della Magistratura diceva allegro ad un mio amico: «Quest’anno non andiamo in processione». Imperocché il Ministero avea fatto una circolare nella quale liberava i magistrati dall’obbligo di pigliar parte alla processione del Corpus Domini. Dopo i funerali del Conte di Cavour questo mio amico incontrò il Magistrato e gli disse: «Eppure siete andato in processione!» Ed egli ammutolì.
Il Parroco della Madonna degli Angioli, alla cui parrocchia apparteneva il Conte di Cavour, era il p. Ignazio da Montegrosso, uomo di molta pietà, di grande dottrina e d’ eroico coraggio. Ma perciò appunto venne perseguitato, espulso da Torino e rilegato in Cuneo. La Parrocchia non ebbe di poi parroco propriamente detto, sibbene un rettore nella persona del P. Giacomo da Poirino. Questi usava molto familiarmente in Casa Cavour, sì che fu chiamato al letto del moribondo. Si confessò questi? Non si sa. La sera del 5 di Giugno fu recato solennemente al Conte di Cavour il SS. Viatico. Lo ricevette ? Non si sa. Ciò che si sa, si è il contenuto nella lettera che il marchese Gustavo di Cavour ha indirizzata alle Nationalités, in risposta alla Gazette de France. Ecco la lettera tradotta dal testo francese: «Torino, 20 Giugno. Signor Redattore. L’articolo della Gazette de France, da voi inviatomi, contiene gravi inesattezze sopra le circostanze che hanno accompagnato gli atti religiosi, coi quali il mio amato fratello volle consacrare gli ultimi momenti della sua carriera mortale. È assolutamente falso, che egli abbia fatto, o gli fosse imposta, prima della sua morte, una ritrattazione formale in presenza di due testimonii. È falso pur anco che fosse chiesta per telegrafo a Roma un’ultima assoluzione al Sommo Pontefice. È falso che il nostro curato, che lo ha ammirabilmente assistito al suo letto di morte, si sia dopo recato a Roma. Questo degno ecclesiastico, al quale mio fratello concedeva molta stima e simpatia, non ha lasciato Torino dopo il giorno fatale del 6 Giugno, e celebrerà domani nella sua chiesa parrocchiale un servizio solenne in memoria del suo antico parrocchiano. Gradite, signore, l’espressione dei miei sentimenti di perfetta considerazione. G. di Carour». [1]
Siccome la popolazione fu altamente colpita per la morte del Conte di Cavour, cosi i rivoluzionari cercarono di distrarla da questo pensiero colla pompa dei funerali, che si celebrarono solennissimi la sera del 7 di Giugno. Ma uscito di casa il cadavere, venne giù l’acqua a diluvio, e il cielo non si rassereno se non quando le esequie furono finite. L’Opinione disse che anche il Cielo piangeva l’illustre estinto. Se non pioveva, avrebbe scritto che il bel sole d’Italia illuminava per l’ultima volta quelle reliquie. La Maestà del Re offerì le tombe reali di Superga per accogliervi la salma del Conte di Cavour; ma la famiglia rifiuto e, secondo i suoi desiderii, fu sepolto nel castello di Santena appartenente alla famiglia medesima. Torino ne’ due giorni che succedettero alla morte del Cavour fu dominata da un grave terrore. S’era stabilito di fare una dimostrazione contro l’Armonia, supponendo che dovesse sparlare del defunto. Invece l’Armonia ne fece elogi, perché essendogli stato recato il SS. Sacramento, suppose che si fosse ritrattato come era necessario. E poi le lodi dell’Armonia riguardavano alcuni fatti particolari, che essa raccontava, e non si poteano estendere più in là di que’ fatti. Ad ogni modo la rivoluzione fu molto contenta di quelle lodi, e mostrò che essa stessa apprezzava i giudizii dell’onesto e cattolico giornale. Tali e tante furono le ricerche di quel numero dell’Armonia, che fu venduto anche due lire la copia».
Fin qui il nostro corrispondente. Ed ecco por troppo ite ora in dileguo, grazie alla lettera del sig. Marchese Gustavo, tutte le speranze dei buoni, i quali credettero per un istante che il Conte di Cavour si fosse ritrattato. A tale speranza, benché fosse assai tenue, pure tutti i cattolici parteciparono, finché non la dissipò l’evidenza del contrario. E siccome quest’evidenza non si aveva quando fu scritto e pubblicato il precedente foglio di questo quaderno, perciò nell’articolo qui sopra stampato ne avranno veduto i nostri lettori alcuni indizii. Ma ora, dopo la lettera del Marchese Gustavo, è pur troppo evidente che il Cavour morì senza volere, e forse senza potere, far nulla di quello che il Sommo Pontefice Pio IX ordinò, che tutti i confessori richiedessero dai loro penitenti posti nelle circostanze del Cavour. L’ordine del S. Padre sta nella Bolla di scomunica maggiore, lanciata il giorno 26 Marzo dell’anno passato contro quanti cooperarono ad invadere ed usurpare lo Stato Pontificio. E non sarà male il ricopiarne qui qualche periodo «Itaque (dice il Sommo Pontefice) itaque, post Divini Spiritus lumen privatis publicisque precibus imploratum, post adhibitum selectae VV. FF. NN. S. R. E. Cardinalium Congregationis consilium, Auctoritate Omnipotentis Dei et Ss. Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra denuo declaramus, eos omnes, qui nefariam in praedictis Pontificiae Nostrae Ditionis Provinciis rebellionem et earum usurpationem et invasionem et alia huiusmodi, de quibus in memoratis Nostris Allocutionibus die XX lunii et XIVI Septembris superioris anni conquesti sumus, vel, eorum aliqua perpetrarunt, itemque ipsorum mandantes, fautores, adiutores, consiliarios, adhaerentes vel alios quoscumque praedictarum rerum exequutionem quolibet praetextu et quovis modo procurantes, vel per seipsos exequentes, Maiorem Excommunicationem, aliasque censuras ac poenas ecclesiasticas a sacris Canonibus, Apostolicis Constitutionibus, et Generalium Conciliorum, Tridentini praesertim (Sess. XX!I, Cap. XI de reform.) decretis inflictas incurrisse, et si opus est, de novo Excommunicanus et Anathematizamus; item declarantes, ipsos omnium, et quorunicumque privilegiorum, gratiarum, et induliorum sibi a Nobis, seu Romanis Pontificibus Praedecessoribus Nostris quomodolibet concessorum amissionis poenas eo ipso pariter incurrisse; nec a censuris hoiusmodi a quoquam, nisi a Nobis, seu Romano Pontifice pro tempore existente (praeterquam in mortis articulo, et tunc cum reincidentia in easdem censuras eo ipso quo convaluerint) absolvi ac liberari posse; ac insuper inhabiles, et incapaces esse, qui absolutionis beneficium consequantur, donec omnia quomodolibet altentata publice retractaverint, revocaverint, cassaverint, et aboleverint, ac omnia in pristinum statum plenarie et cum effectu redinlegraverint, vel alias debitam , et condignam Ecclesiae ac Nobis, et huic Sanctae Sedi satisfactionem in praemissis praestiterint: Idcirco illos omnes etiam specialissima mentione dignos, nec non illorum successores in officiis a retractatione, revocatione, cassatione et abolitione omnium, ut supra, attentatorum per se ipsos facienda, vel alias debita et condigna Ecclesiae, ac Nobis, et dictae Sanctae Sedi satisfactione realiter et cum effectu in eisdem praemissis exhibenda, praesentium Litterarum, seu alio quocumque praetextu, minime liberos et exemplos, sed semper ad haec obligatos fore et esse, ut absolutionis beneficium obtinere valeant, earundem tenore praesentium decernimus et pariter declaramus».
Stando alle voci più certe che ora corrono, pare che il Cavour, finché ebbe l’uso della ragione, non pensò né alla morte, né al confessore, né ai sacramenti, ma agli affari. Perduto affatto l’uso della ragione e disperato dai medici e già mezzo cadavere, giunse il facente funzione di parroco, chiamato dalla famiglia, il quale gli recò il SS. Sacramento. Il quale fu bensì portato nella camera con nuovo rito, ma non fa potuto dare all’infermo. E ciò per due ragioni. Prima perché niuna liturgia, nessuna morale, per quanto sia rilassata, permettono che si dia il SS. Sacramento a chi è in delirio. Secondo, perché quando anche il Conte avesse saputo quello che faceva, non essendosi ritrattato, era notoriamente colpito di scomunica maggiore e incapace di ogni sacramento.
Della morte del Conte di Cavour una cosa sola è dunque certa: che egli mori senza ritrattarsi. Del resto non si sa nulla. Di qual malattia mori egli? Chi dice di apoplessia, chi di tifo, chi di podagra, chi, come l’Opinione, di malattia misteriosa. Gli uni lo fanno morir di dolore, ucciso da una lettera di Napoleone III che negava di riconoscere il regno d’Italia. Ha la Nazione di Firenze, stranamente al suo solito, inclina piuttosto a credere che egli morisse anzi di consolazione, ucciso da una lettera di Garibaldi. «Da persona degnissima di fede mi viene comunicato (scrive alla Nazione dei 13 Giugno un suo corrispondente da Torino) che, pochi giorni prima della malattia del Conte di Cavour, il Generale Garibaldi gli scrisse una lettera assolutamente amichevole, tanto che il Ministro non poteva rinvenirne». Ed infatti non ne è rinvenuto.
Ma queste sono notizie da porre insieme con tutte quelle altre dei tanti discorsi che il Cavour pronunziò nelle ultime sue ore: Se credessimo ai giornali, il Cavour non avrebbe mai parlato tanto come nel punto di morte. Non ci è cosa utile a sapersi o a dirsi che egli, stando ai fogli, non abbia detto o da senno o in delirio.
I liberali, che aveano una grande ira da sfogare, non potendosela prendere con Dio che sta troppo alto, se la sarebbero volentieri presa coi suoi ministri in terra, se la Provvidenza non avesse permesso che il clero, prima in Torino e poi altrove, fosse ingannato sopra la qualità della morte del Cavour. Noi non vogliam qui recare giudizio sopra chi fu causa dell’inganno, e, potremmo ancor dire, dello scandalo. Ma il certo si è che i liberali avrebbero suffragata l’anima del loro capo con nuovi sacrilegi e con nuovi delitti, se avessero trovato nel clero la menoma opposizione al rendere al cadavere del Cavour quei funebri onori che la Chiesa nega a chi muore, almeno con tutte le esteriori apparenze, fuori del suo seno.
L’effetto prodotto nell’Italia liberale da questa morte, non si può esprimere se non che col dire ciò che è verissimo in tutti i sensi; cioè che i liberali hanno perduta la testa. Non tratterremo qui i nostri lettori col lungo catalogo degli onori che alla memoria del defunto furono resi, o si stanno rendendo, in ogni città e in ogni terra del paese sottoposto al Governo sardo, ed all’influenza liberale per tutta Europa. Il Re di Sardegna offerse in Superga la tomba al Cavour, accanto a quelle di quei Principi di sua casa che non riposano in Altacomba venduta dal Cavour alla Francia. Molti altri illustri cimiteri italiani s’offersero ad albergare la salma del ministro. I monumenti che alla sua memoria si vogliono innalzare sono fin d’ora moltissimi. Sopra essi l’adulazione contemporanea porrà molte e varie epigrafi: ma la storia imparziale si contenterà di scrivere: «disfece il Piemonte, non fece l’Italia».
[1] Nota di Radio Spada : Successive ricerche hanno certificato che il conte, al netto del fatto che pesasse su di lui la scomunica maggiore e che non avesse punto ripudiato il suo operato contrario alla Religione Cattolica, ricevette i sacramenti dal padre Giacomo da Poirino dei Frati Minori Riformati. Questi, la cui condotta fu stigmatizzata dall’Arcivescovo di Torino Fransoni, esule a Lione, fu chiamato Roma nel luglio del 1861. Il frate, ascoltato dal Generale del suo Ordine, da Pio IX e dal Sant’Offizio, fu privato della facoltà di confessare, che gli sarà riconcessa solamente da Leone XIII nel 1881. Vedi la voce Giacomo da Piorino nel Dizionario Biografico degli Italiani. La pubblicistica modernista contemporanea (inutile anche dirlo) valorizza molto questa “santa” morte nella “fede” del conte di Cavour.
fonte
Meglio astenersi dai giudizi morali, ieri e oggi, perche’non finirebbero mai… e stare alla realta’ dei fatti i quali sicuramente derivano da comportamenti e credenze di chi li determina. Districarsi nell’ambiguita’ delle persone e’ un gioco senza fine, mentre tutte le azioni dei protagonisti della storia un fine ce l’avevano e ben preciso, e miravano al raggiungimento dell’obiettivo che il personaggio aveva in mente… e quello di Cavour era ben chiaro perché concordato con la massoneria inglese, volenti o non volenti tutti gli altri: prendersi tutta l’Italia, Sicilia compresa per gli affari mediterranei, e Roma per subordinare il Papa e il suo potere ecclesiastico… Sono perfino divertenti le simulazioni postere inventate … Decisi o titubanti gli attori sulla scena, e’ Cavour la chiave della fatidica e fatale unita’ d’Italia… Oggi vediamo cos’e’ stata, con tutte le sue disgrazie a seguire.. e come e’ difficile correggerne il tiro!… Chissa’ fino a quando saremo chiamati a cantare come beoti al ritmo del passo dietro un tricolore importato e adattato!… che umiliazione, per tutti! caterina
Certo che a Cavour, personaggio chiave della storia d’Italia, morte peggiore (o migliore?) non poteva capitare…almeno come uomo, perche’ per il suo operato invece fu una fortuna!… Sta di fatto che il Curletti, suo segretario personale, penso’ bene di tagliare la corda per non avere guai, ed emigro’ in Svizzera… dove peraltro pubblico’ quel che fece in giro per l’Italia stando aĺle sue dipendenze… caterina ossi