Alta Terra di Lavoro

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LA MORTE DI CAVOUR (Torino, 6 giugno 1861)

Posted by on Giu 6, 2022

LA MORTE DI CAVOUR  (Torino, 6 giugno 1861)

 

La sera del 24 maggio 1861, dopo cena, Cavour andò a far visita a una vecchia amica che abitava in collina. Sentendosi poco bene tornò presto a casa e si mise a letto. Il giorno dopo chiamò il medico che gli prescrisse un salasso, ma giunta la sera si aggravò.

L’indomani, sebbene avesse una faccia sconvolta si occupò degli affari del giorno. Il cameriere personale gli disse che aveva vaneggiato tutta la notte e che non doveva stancarsi. Dopo quattro giorni di convalescenza, il 2 giugno sembrava che stesse meglio; rilassato e lucido di mente riunì nella sua stanza da letto il Consiglio dei ministri per alcune ore. Alla fine del Consiglio iniziò nuovamente a star male, gli venne la febbre e i suoi pensieri si fecero confusi. Gli fu dato del chinino e praticato alcuni salassi. Da principio i medici pensavano che fosse un’infiammazione intestinale. Ma mercoledì mattina, 5 giugno, continuando il delirio, la nipote contessa Alfieri fece chiamare il padre francescano Giacomo da Poirino, un vecchio amico del conte, rettore della parrocchia di Santa Maria degli Angeli di Torino. Padre Giacomo si fermò circa mezz’ora nella stanza da letto solo con il conte, poi ne uscì. Quando si ritirò, scriveva la contessa Alfieri al sig. De La Rive, il conte parlò con il signor Farini e gli disse:

Mia nipote mi ha fatto venire il padre Giacomo, debbo prepararmi al gran passo dell’eternità. Mi sono confessato ed ho ricevuta la assoluzione; più tardi mi comunicherà. Voglio che si sappia, voglio che il buon popolo di Torino sappia che io muoio da buon cristiano. Sono tranquillo, non ho mai fatto male ad alcuno […].[1]

L’assoluzione e l’amministrazione degli ultimi sacramenti potevano darsi solo se il conte, colpito da censure gravissime, avesse ritrattato gli atti di pubblica offesa arrecati alla Chiesa. La ritrattazione non vi era stata, perché egli [padre Giacomo] non avea allora creduto di esigerla. [2] Il padre Giacomo relazionò al Papa:

…Si fa dovere di esporre a V. S. tutto quello che concerne l’esteriore, accompagnò e seguì gli atti di Religione del Sig. Conte Camillo di Cavour prima di morire. […]

Dopo la confessione, che fu la mattina, presente il confessore e tutti i membri di sua famiglia ed altri molti distinti personaggi, disse che egli stesso aveva chiesto i SS. Sacramenti, che voleva morire da Cattolico come era sempre stato, e che desiderava fosse tutto ciò reso noto al pubblico. […] Con tutto ciò verso sera, trovandosi in piena cognizione, come già nella Confessione, domandò, e gli venne somministrato il SS. Viatico. Solo non fu in sé stesso a darglisi l’estrema unzione. […][3]

Verso le nove della sera del 5 giugno, il Re andò a fargli visita e per non farsi notare passò da una porta segreta di via Lagrange. Entrò nella camera di Cavour e disse al conte: «Come sta? Ho voluto venire da me». Cavour lo riconobbe e tentò di sollevarsi dicendo: «Oh Maestà!» e ricadde sulle spalle. Il Re continuò a manifestargli parole affettuose e a infondergli coraggio, il conte lo interruppe dicendo: «Questi napoletani bisogna lavarli tutti»[4] e proseguì a parlare come se il re non ci fosse. Allora Vittorio Emanuele uscì dalla stanza in silenzio e passando davanti all’onorevole Farini e il commendatore Castelli disse: «Prego uno di lor signori a venire domattina alle 4 da me, per darmi notizie».[5]

Nella stanza vicina c’erano i nipoti Giuseppina Alfieri[6] di Sostegno e il marchese Einardo, il comm. M. Castelli, il cavalier Costantino Nigra, il Farini, il dottor Maffoni, il marchese Gustavo fratello di Cavour e il marchese Carlo Alfieri marito della nipote del conte. Nella notte, tra il 5 e il 6, Cavour delirò di continuo, parlava come se fosse alla Camera dei deputati. Alle quattro del 6 giugno smise di parlare e cominciò l’agonia. Alle sette circa si spense.

Erano trascorsi appena sei mesi dal giorno in cui aveva detto alla Camera: «Sapete voi che cosa accadrà dentro sei mesi?» Un giorno parlando di Roma aveva detto:

Quando avrò compiuto la mia missione mi ritirerò a Leri,[7] invecchierò tranquillamente in campagna; giacché il soggiorno di Roma non mi seduce punto. Porrò in ordine le mie carte, radunerò gli elementi per le mie memorie e lascerò la cura di pubblicarle a mio nipote Einardo o ai suoi figli.[8]

Il 2 giugno 1861 si era celebrata la prima festa dell’Unità Nazionale o dello Statuto e il governo aveva vietato alle autorità di partecipare alla solenne Processione del Corpus Domini che cadeva nello stesso giorno, e fu in quel medesimo giorno che Cavour si aggravò dopo aver tenuto un Consiglio in camera da letto, e più non si riprese. Perché fu scelto il due giugno per celebrare la festa dell’unità? Perché il Piemonte cattolico celebrava in quel giorno la solennità del Corpus Domini.

Quattro giorni dopo, le autorità che non avevano partecipato alla processione del Corpo del Signore Gesù seguirono un’altra processione: il corteo funebre del primo ministro del nuovo regno d’Italia. Il conte era morto nel giorno del miracolo del SS. Sacramento, avvenuto a Torino il 6 giugno 1453 allorché in un saccheggio operato dalle truppe di Ludovico di Savoia nella città di Exilles fu rubato e nascosto nelle salmerie di un mulo un Ostensorio d’oro con l’ostia consacrata. Quando l’animale giunse a Torino davanti alla chiesa di S. Silvestro s’impennò improvvisamente sulle zampe posteriori, i legami del carico si spezzarono e fuoriuscì l’Ostensorio che si elevò e stette sospeso a mezz’aria. I presenti avvertirono l’Arcivescovo Monsignor Ludovico di Romagnano, che pontificalmente vestito accorse sul luogo. Si vide allora cadere a terra l’Ostensorio e uscire la Sacra Ostia che restò sospesa nell’aria. Il Vescovo, il Clero e il popolo protesi a terra cominciarono a piangere e a pregare finché l’Ostia, circondata da una luce divina, scese spontaneamente nel calice e con solenne processione, a maniera di vero trionfo, fu portata nella Chiesa Cattedrale per essere adorata dal popolo.[9]

La nipote del conte e molti giornali scrissero che Cavour si era confessato e comunicato prima di morire, ma suo fratello Gustavo dichiarò nullo tutto ciò e che non aveva rinnegato nulla. Cavour era stato scomunicato[10] da Pio IX nel 1855 insieme a coloro che avevano approvato le leggi anticlericali; per ricevere i sacramenti avrebbe dovuto pentirsi di ogni sua azione. Che cosa accadde nei trenta minuti che fra Giacomo restò solo con lui nella camera da letto?

Ecco la cronaca dei funerali di Cavour, scritta da un anonimo autore:

Alle 6¼ precise del giorno otto, la salma discendeva le scale del palazzo e fra un mesto silenzio dei numerosissimi astanti e il battere scordato dei tamburi, coperti di panno nero, veniva collocata sul carro funebre. Il carro formato da una magnifica carrozza di corte era tirato da sei cavalli bardati di nero. Il cielo parve volesse dividere il lutto cogli Italiani mescendo le sue alle lagrime di tutti, perché una continua pioggia accompagnò il convoglio durante quasi tutto il cammino, e tuttavia la popolazione si premeva per le vie affine di rendere al suo grande cittadino l’estremo saluto.[11]

Il cielo non si rasserenò se non quando le esequie furono finite. L’Opinione scrisse che anche il Cielo piangeva l’illustre estinto; la Civiltà Cattolica, invece, commentò:

Il Conte di Cavour è ora giudicato da Dio, gli auguriamo di cuore che negli ultimi istanti di sua vita egli abbia impetrato da Dio nell’altro mondo un giudizio più benigno di quello che in questo di lui darà la Storia.[12]

Qualche tempo dopo, la nipote del conte, la contessa Alfieri, scrisse che la sera del 5, dopo che il re era andato via, Cavour riprese a parlare come se fosse alla Camera e tra le altre cose disse:

L’Italia del Nord e fatta, diceva egli, non vi sono più lombardi, né piemontesi, né toscani, né romagnuoli; noi siamo tutti italiani; ma vi sono ancora dei napoletani. Oh! vi ha molta corruzione nel loro paese. Non è loro colpa, poveri diavoli, furono cosi mal governati. Gli è quel briccone di Ferdinando. No, no, un governo tanto corruttore non può essere ristaurato. La Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educare i fanciulli e la gioventù, creare delle sale di asilo, dei collegi militari […].[13]

Parlò poi di Garibaldi, e disse: «…Egli, è un galantuomo, io non gli voglio alcun male…»; poi dell’America: «…mentre la febbre dell’unità assale l‘Europa, all’America viene il ghiribizzo di dividersi…», e infine chiese dove si trovavano i vari Corpi dell’esercito.

Cavour, che aveva calpestato ogni principio etico per rendere Vittorio Emanuele padrone dell’Italia intera, falso, bugiardo e ladrone come il suo re, voleva moralizzare i napoletani. Se la molta corruzione esistente a Napoli era da attribuire a Ferdinando II, a chi dobbiamo oggi attribuire la corruzione esistente in tutta Italia? A quel briccone di Ferdinando?

Vincenzo Giannone

Estratto dall’opera “La Garibaldite”.


[1] GIUSEPPINA ALFIERI, Ultima malattia del conte Cavour – Lettera della contessa Alfieri al sig. De La Rive, Tipografo Naratovich ed. 1862, p. 10.

[2] PIETRO BALAN, Continuazione alla Storia della Chiesa dell’Ab. Rohrbacher, Tipografia Giacinto Marietti, vol. II, Torino 1879, p. 358.

[3] P. PIETRO PIRRI S. J., in Miscellanea Historiae Pontificiae, Vol. VIII, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato – Parte I, La laicizzazione dello Stato Sardo 1848-1856, Roma 1944 – Ristampa anastatica 1980, p. 239.

[4] L. CAPPELLETTI, Storia di Vittorio Emanuele II…, op. cit., vol. II, p. 289.

[5] Ibidem

[6] Figlia di Gustavo Cavour, seconda moglie del marchese Carlo Alfieri.

[7] Il patrimonio della famiglia dei Benso di Cavour consisteva in massima parte in terre per oltre mille e trecento ettari A Leri, in provincia di Vercelli, il conte possedeva una tenuta (nel 1910 era già proprietà dell’Ospizio generale di carità di Torino). A Grinzane di Alba, il conte Camillo era comproprietario, col fratello marchese Gustavo, del castello e di due terzi circa del territorio.

[8] N. BIANCHI, Il conte Camillo di Cavour…, op. cit., p. 128.

[9] ANONIMO, Memorie istoriche e ragionate sopra l’insigne miracolo del SS. Sacramento, seguito addì 6 giugno 1453, Stamperia reale, Torino 1753, pag. 2. (Nel 1977 fu nominata una commissione per studiare i documenti disponibili, che concluse i lavori affermando: «Concludendo, riteniamo che la narrazione volgata del fatto non possa sostenere la prova di una verifica storica, ma il fatto di un ritrovamento dell’Eucaristia, giudicato dalla coscienza dei contemporanei miracoloso e degno di culto non possa negarsi». — Rivista Diocesana Torinese Anno LIV, gennaio 1977 – GIUSEPPE ARDITO, Indagine sul miracolo di Torino).

[10] Ecco l’anatema di Pio IX: «Siamo forzati a dichiarare con gran cordoglio dell’anima nostra, che tutti coloro i quali non han temuto di proporre, approvare, e funzionare negli Stati Sardi i decreti, e la legge […] contro i diritti della Chiesa, e della Santa Sede, come anche gli autori, i fautori, i consiglieri, gli aderenti ed esecutori, sono incorsi nella scomunica maggiore, e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai sacri Canoni dalle Costituzioni Apostoliche, ed ai Concilii Generali, soprattutto dal Santo Concilio di Trento». (BIAGIO COGNETTI, op. cit., p. 16.)

[11] ANONIMO, Cronaca della guerra d’Italia…, op. cit., Parte 4, p. 669 e ss.

(Curiosità: Anche durante i funerali di Garibaldi svoltisi a Caprera il 2 giugno 1882 si scatenò un nubifragio e tutti gli ospiti intervenuti al rito funebre furono costretti a restare ammassati nella casa di Garibaldi e sulle navi all’ancora.)

[12] LA CIVILTÀ CATTOLICA, vol. X, Roma 1861, p. 755.

[13] G. ALFIERI, op. cit., p. 12.

1 Comment

  1. Quasi quasi bisogna farli santi, anche Cavour e Garibaldi… sarebbe il colmo! Lasciamoli in pace dove stanno e cerchiamo di aggiustare il tiro… in fondo noi sopravvissuti a tutti gli eventi che ci hanno preceduto, politici e personali, abbiamo maturato una concezione nuova del vivere insieme, nel rispetto di tutti… e si chiama CONFEDERAZIONE… cosi’ saremmo tutti in pace e moriremo contenti anche noi, senza i privilegi di cui hanno goduto fino alla fine dei loro giorni i personaggi famosi della storia politica di questa nostra Italia! caterina ossi

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