La mostra industriale del 1853
E’ convinzione diffusa che l’economia del Regno delle due Sicile fosse fondata esclusivamente, o quasi, sull’agricoltura.
Tale convinzione, insieme ad altre “certezze storiche”, porta alla facile conclusione che il Regno delle due Sicilie fosse uno Stato arretrato e molto povero.
Non siamo in grado di dire con certezza quale sia la verità; qualcuno ha però tentato di approfondire questo argomento passando al vaglio alcuni documenti dell’epoca.
E’ il caso di Gaetano Fiorentino che, in questo articolo pubblicato sulla rivista L’Alfiere, riporta alcuni dati ufficiali di una mostra, oggi si direbbe un Expo, tenuta in Napoli nel 1853.
Riportiamo un ampio stralcio dell’articolo. Ci preme qui anticipare e commentare alcuni dei dati esposti
nell’articolo:
1)nel Regno delle due Sicilie operavano diverse “grandi” Aziende nel settore manufatturiero, ciascuna con ben 7-800 dipendenti; dopo 150 anni, quante aziende manufatturiere vi sono nel Meridione con analoga forza lavoro?
2)molte Aziende erano di proprietà di imprenditori stranieri (nel senso di non italiani) che avevano investito nel Regno delle due Sicilie.
…omissis…prendiamo ad esempio gli ”Annali Civili del Regno delle Due Sicilie”, pubblicazione ufficiale periodica a cura del “Real Albergo de’ Poveri”…omissis… Se andiamo a sfogliare il volume del 1853, fascicolo XCVIII, a pag. 71 troveremo la descrizione, ”della solenne pubblica esposizione di arti e manifatture di quell’anno, vale a dire l’esposizione dei prodotti industriali attestanti, coll’evidenza dei fatti l’ulteriore progresso delle arti manifatturiere” della parte continentale del Regno, inauguratasi nella capitale il 30 maggio. …omissis… Noi enumereremo solo i principali e più importanti partecipanti a questa grande mostra del lavoro e dell’imprenditoria meridionale, trascurando di citare i piccoli.
L’industria tessile
Nella prima sezione erano presentati i prodotti tessili , tra cui primeggiano le sete e i tessuti serici di S. Leucio, quelli eseguiti a S. Giorgio a Cremano nello stabilmento di Carlo Bianco, dei fratelli Barone di Foggia, di Francesco Feniziani di Caserta. del barone Barracco di Cosenza. dell’Orfanotrofio di S. Filomena di Lecce, di Teresa delle Carceri di Chieti. La Reale Società Economica di Calabria Ultra , esponeva “campioni di sete gregge ad aspa lunga… dalle più accreditate filande della provincia”, così come aveva fatto quella dell’Abruzzo Citeriore. Altri espositori particolarmente ammirati erano il Real Convitto del Carmeniello, Leonardo Matera e i Fratelli Cosenza di Napoli, il Real Conservatorio di S. Maria della Stella, le manifatture di Luigi Mazzocchi e di Vitaliano Verni di Catanzaro, il Real Istituto delle Gerolomine di Basilicata. Nei tessuti di lana primeggiavano il lanificio di Raffaele Sava in S. Caterina a Formiello in Napoli; di Lorenzo Zino in Camello presso Sora; quelli di Giuseppe Polsino, dei Fratelli Manna e di Loreto Mazzetti ad Isola di Liri; di Pasquale Ciccodicola in Arpino e Remonice; dei Fratelli Odorisio in Chieti; di Giacomo di Crecchio in Lanciano; del Reale Ospizio di Francesco I in Giovinazzo; del Real Ospizio di S. Ferdinando in Salerno. Nel lino, cotone e cotonine, canape e tessuti di filo si distinguevano le fabbriche di S. Prisco, di Casapulla, di Caserta, di Colle d’Anchise, di Guglionesi, d’Ischitella, di Aversa, di Aquila, di Sulmona, di Lanciano, il più moderno opificio di filo e “pannilini” del Regno, dotato di filatura meccanica mossa da una turbina idraulica, era quello della Società Industriale Partenopea di Sarno con 700 dipendenti e direttore Federico Weemaels, seguito dallo stabilimento di Gaspare Egg a Piedimonte Malese anch’esso con 700 operai, dal Reale Albergo dei Poveri di Napoli ed altri istituti di beneficenza di varie province del paese, dalla filanda di David Wombiller con più di 620 lavoratori, quelle di Fumagalli, Escher & C. vicino al ponte della Fratta e l’altra di Schlaepper, Wenner & C. di Salerno. Esponevano ancora quelle di Giacomo Mayer e l’altra di Avallone, Reiser & C. di Scafati, dei fratelli Di Mauro di Napoli con 800 addetti e di Giuseppe Buchy di Sarno. Diverse aziende pur producendo ogni tipo di tessuto e filati, seta cotone e lana, acquistando la materia prima da produttori nazionali, eccellevano in determinate lavorazioni, mentre alla mostra parteciparono solo quanti ritennero utile essere presenti.
L’industria meccanica
Per lavori di metallo, armi, strumenti scientifici e “macchine di arti e mestieri” (macchine meccaniche) primeggiavano la Reale Ferriera di Mongiana in Calabria, la Fonderia Reale ed il Reale Opificio Meccanico di Luigi e Francesco Oomens, l ‘ O p i f i c i o di G u g l i e l m o Lutzenkirchen. Esposti erano pure modelli di numerose i n v e n z i o n i come macchine a vapore, t u r b i n e a ruote idrauliche, motori idraulici a doppia elica e doppia rotazione per bastimenti, tele e letti elastici in metallo, vari lavori sempre in metallo come strumenti chirurgici, ortopedici, per scultori, ecc., la cui fabbricazione fu introdotta nel Regno da Luigi dell’Orto nel 1824 che ottenne la privativa ed in seguito la possibilità di stabilire la fabbrica nell’Albergo dei Poveri.
L’industria delle armi
Nella produzione di armi, tanto bianche che da fuoco, eccellevano la Real Fabbrica d’Armi di Torre Annunziata e Giuseppe Labruna nelle prime, nelle seconde ancora la Real fabbrica e la M o n t u r a d’Armi e tra i privati Salvatore Mazza. Alfonso Izzo e l’avellinese Giuseppe Bilia, tutti nomi ben noti ai collezionisti attuali che ne ricercano, quasi con bramosia, i manufatti.
Prodotti d’ottone
Nella sezione dei prodotti d’ottone, bronzo ed altri metalli si ammiravano i letti di Giuseppe Alfano e Figli, i vari oggetti di Francesco Massimo, vincitore di medaglie d’argento in altre esposizioni; i lavori in galvano-plastica di Francesco Heydrich; i lavori in ottone, argento, filigrana d’argento e d’oro e “d’oro falso” rispettivamente di Germano Cugini di Chieti, di Michele Pane; le macchine e macchinari di Paolo Zuccarini da Bucchianico (Abruzzo), di Raffaele Di Majo di Solofra.
Strumenti scientifici
Ancora strumenti scientifici come quelli geodetici di Giuseppe Spano, gli apparecchi e strumenti di Giovanni Bandieri, di Filippo De Palma, di Saverio Gargiulo; l’apparato elettro-terapeutico del signor Serafino Frattola, il motore elettro-magnetico di Leopoldo Del Puente, i cannocchiali e telescopi di Francesco Radaelli, il telegrafo elettro-chimico-autografico di Alessio Marone, l’orologio solare di Raffaele Palermo, quelli di Augusto Bernard, fornitore di orologi a numerose amministrazioni pubbliche; gli strumenti in legno pregiato per disegno ed architettura , come righe, squadre, parallele, di Francesco Giosa e di Di Zona; la pompa per spegnere gli Incendi inventata da Francesco Del Giudice, direttore del Corpo Municipale degli Artefici Pompieri della capitale; la campana per palombari di Antonio Tarsa, maggiore onorario del Genio idraulico; macchine agricole e modello del bacino galleggiante di Raffaele Rinaldi; la deminatrice ideata dal principe di Spinosa. Girolamo Ruffo ed i modelli di portelloni in ferro antincendio di Luigi Tozzoli: la carrozza ed i calessi di Enrico Franco.
Una commissione era incaricata di valutare i prodotti esposti e premiare i più meritevoli con una medaglia, un pataccone molto spesso dal diametro di mm. 53,50 e del peso di gr. 79 per quelle d’argento e di gr. 75 per quelle di bronzo.
I tanti nomi stranieri fra gli industriali dimostrano l’apertura del governo borbonico ad investimenti esteri e le condizioni favorevoli da costoro trovate nelle Due Sicilie. L’esposizione del 1853 è la prova dell’esistenza di un processo Industriale…omissis… che andava sempre più crescendo e diffondendosi in tutte le province del Regno.
fonte
http://www.quicampania.it/