La presa di Gaeta
Lo spunto per questa succinta esposizione dell’assedio e della presa di Gaeta, avvenuta il 13 Febbraio 1861, parte da una lettera indirizzata al Gen. Cialdini che all’ epoca dirigeva le operazioni militari contro la piazzaforte.
Questa lettera parte da Procida il 5 Gennaio con destinazione Napoli e da qui
“corretta” a Mola di Gaeta.
In arrivo a Mola viene apposto l’annullo “R. Posta Mil. e Sarda ( )”.
Purtroppo il numero della posta militare non è visibile, ma si ritiene sia il
n. 1 poiché il Possolini Gobbi nel suo “lettere dei combattenti del
risorgimento” assegna questo numero al comando delle operazioni.
Per poter meglio descrivere l’interessante documento postale tracciamo una
breve panoramica dell’ultima battaglia di Francesco II dentro la fortezza di
Gaeta desunta, oltre che dal citato volume del Pozzolini Gobbi, anche dal
volume di Piero Pieri “storia militare del risorgimento”, nonché dal
volume di S. Romito “Le Marine Militari italiane nel risorgimento”.
La fortezza di Gaeta era ritenuta imprendibile dato che nel 1806 resistette per
5 mesi al Massena, sotto il comando del principe d’Assia Philippstadt e nel
1815 il gen. Begani tenne testa agli austriaci coi resti dell’esercito di
Murat.
I borbonici difendevano la fortezza con 12.500 uomini, con 690 tra cannoni,
obici e mortai e avevano di contro il IV corpo d’armata, composto da 3
divisioni, e parte del V corpo, al comando del generale Cialdini.
Proteggevano la fortezza dal lato mare le navi della squadra navale francese
che con la loro presenza ostacolavano le operazioni della squadra sarda; tanto
è vero che, pare, artiglieri francesi si erano uniti con gli artiglieri della
piazza di Gaeta per concorrere a mettere in posizione le batterie a mare e a
far fuoco sulla squadra sarda.
L’assedio vero e proprio della piazza inizia il 5 novembre, mentre sono in
corso trattative diplomatiche tra l’Italia e la Francia con l’evidente scopo di
Napoleone III di intralciare l’azione militare italiana.
Il 29 novembre gli assediati tentano una sortita, ripetuta il 4 dicembre, di
tentare di infrangere il cerchio che serra la fortezza, ma senza nessun esito
fruttuoso.
Intanto i bombardamenti continuano sempre più intensi da parte dei sardi.
Il re e Cavour vogliono un successo immediato poiché il 25 ottobre, nello
storico incontro di Teano, il re aveva defenestrato Garibaldi e tutto
l’esercito meridionale e quindi premeva loro di dimostrare all’opinione
pubblica che l’esercito regolare si era battuto con successo contro i borbonici
contribuendo tangibilmente alla liberazione del mezzogiorno.
Ma i borbonici e Francesco II non sono dell’opinione di abbandonare la lotta.
Il re vuole riscattare il suo atteggiamento tentennante e indeciso nei
confronti dell’esercito garibaldino con una strenua difesa, e della stessa
opinione sono i soldati che vogliono conservare l’onore delle armi e chiedono
insistentemente la difesa a oltranza della piazza.
L’8 gennaio Napoleone ottiene una tregua d’armi di 10 giorni, ma è costretto a
concedere in contropartita l’allontanamento da Gaeta della squadra navale
francese.
“Apparvero subito” – narra il Romito – “provenienti da Napoli,
la Costituzione e le cannoniere Ardita e Veloce seguite poi dalla Maria
Adelaide, la Carlo Alberto e la Vittorio Emanuele, nonché la Monzambano e la
Garibaldi”.
Il 22 gennaio la squadra italiana, che ormai tale era diventata, aprì il fuoco
contro le batterie del fronte a mare della piazza.
Qui i pareri tra gli storici si fanno discordi sull’aiuto della squadra nelle
operazioni. Il Pieri sostiene che l’azione della flotta risulta inefficace,
mentre il Romito afferma che sebbene il tiro delle navi risulti impreciso, il
contributo della flotta è sostanziale.
Il 25 gennaio scoppia il tifo nella guarnigione. I piemontesi scoprono ogni
giorno nuove batterie, mentre il tifo aumenta d’intensità i danni alla piazza
sono ormai rilevanti.
A questo momento drammatico si riallaccia la nostra lettera, che
presumibilmente il gen. Cialdini ha già ricevuto e che dice testualmente:
“Angelo Giordano fu Carmine, Antonio Spirito fu Ferdinando, forzati nel
bagno di Procida, rispettosamente rassegnano all’E.V. qualmente avendo nella
qualità di maestri muratori travagliato nella fortezza di Gaeta, e vedendo la
tragedia che ne si sta facendo spinti quali figli della patria nel dovere di
umanità ed attaccamento che devesi al re galantuomo, si rivolgono all’innata
bontà e giustizia dell’E.V. acciò si compiacerà chiamarli della di lei autorità
per indi fargli conoscere il mezzo e il modo di adoperarsi per il felice
trionfo che eseguiranno mediante l’aiuto del potente braccio dell’E.V.
Tanto sperano dall’E.V. mentre non ponno affidare alla carta né ad altra
autorità per quanto ha per scopo il punto umiliato foglio.
Bagno di Procida 4 gennaio 1861″.
E’ una lettera sibillina che non dice niente di primo acchito, anzi sembrerebbe
una supplica.
Infatti non è facile capire quello a cui i due ergastolani alludono
“avendo travagliato nella fortezza di Gaeta, e vedendo la tragedia che ne
si sta facendo”, che asseriscono di agire “quali figli della
patria…” e che vogliono “fargli conoscere il mezzo e il modo di
adoperarsi per il felice trionfo che eseguiranno mediante l’aiuto del potente
braccio dell’E.V.”.
Solo alla fine della lettera, per il timore di essere stati troppo evasivi i
due maestri muratori si fanno più espliciti e dicono che “non ponno
affidare alla carta né ad altra autorità per quanto ha per scopo il punto
umiliato foglio”.
Un importante segreto, quindi, legato al fatto che hanno lavorato nella
fortezza di Gaeta, che possono dire soltanto di persona al generale e che
permetterà di porre fine alla “tragedia che se ne sta facendo”.
A questo punto ogni dubbio sulla missiva è sciolto. Ciò che vogliono dire
Angelo Giordano fu Carmine e Antonio Spirito fu Ferdinando è che conoscono un
modo, certamente segreto, di penetrare nella fortezza di Gaeta, così da
sorprendere e rendere inoffensivi gli assediati.
Giocano d’azzardo i due maestri muratori oppure conoscono veramente quel
segreto?
La storia ci conferma comunque che la piazza di Gaeta non fu presa con
l’astuzia ma con la forza, e dopo altre abbondanti perdite umane.
Infatti fino al 13 febbraio continua l’incessante martellamento da parte delle
batterie italiane, con danni notevoli alle case che fanno molte perdite tra i
civili.
La sera del 13 febbraio si giunge alla fase conclusiva delle trattative per la
resa senza che per un solo minuto si sia ordinato il “cessate il
fuoco”!
Constatata la difficoltà della situazione, tra tifo, cannoneggiamenti e
difficoltà di approvvigionamento, la sera del 13 viene firmata la resa della
piazzaforte e il 14 febbraio Francesco II s’imbarca su una nave francese.
Da parte napoletana si lamentano 560 morti per azioni di guerra e 307 per tifo,
800 feriti, 743 dispersi. I piemontesi denunciano 50 morti e 350 feriti.
La caduta di Gaeta viene consegnata alla storia come prova del valore italiano. Chissà quale giudizio avrebbero dato allora l’opinione pubblica e ora gli storici se la presa di Gaeta fosse avvenuta nel modo indicato dai due forzati.
Giuseppe Marchese
fonte https://www.eleaml.org/sud/den_spada/presa_di_gaeta.html