La rinascita di Pompei di Alfredo Saccoccio
Pompei non morirà una seconda volta, visto che lo Stato italiano ha deciso di lanciare un vasto programma di riabilitazione.
Incuria, mezzi insufficienti, turismo di massa, corruzione ed incompetenza rischiavano di trasformare rapidamente questo sito in un deserto culturale: nel 1956 era possibile visitare 64 edifici di questa città, che ospitava tra gli 8.000 e i 20.000 abitanti, quando il Vesuvio la sotterrò sotto le sue ceneri, il 24 agosto dell’anno 79 dopo Gesù Cristo. Circa 2.000 persone erano allora perite nella nube ardente. Oggi, i luoghi accessibili al pubblico si sono ridotti a sedici. Sui 66 ettari che conta il sito di Pompei, “solo” 44 ettari sono offerti agli occhi dei visitatori; gli altri 22 sono sempre seppelliti sotto la loro coltre di ceneri. Solo dodici ettari restano aperti, per cui i visitatori si concentrano su un’infima parte di questi ettari, accelerando l’erosione dei marciapiedi, dei mosaici o delle canalizzazioni di piombo dell’epoca antica, interrate a poca profondità.
Ciò non scoraggia tuttavia gli oltre due milioni di turisti, di cui la metà stranieri, che percorrono, ogni anno, Pompei, ciò che ne fa il sito archeologico più visitato al mondo, dopo i templi della valle del Nilo. “Inquinamento atmosferico, calpestìo di milioni di scarpe per anno, mani avide di recuperare frammenti di Antichità, carenza di personale tecnico, guardiani incompetenti ed inamovibili in numero eccessivo, fondi insufficienti, sono le cause principali di un degrado dovuto ad un turismo sfrenato, che rischia di trasmettere alle prossime generazioni una realtà urbana mutilata”, ha scritto Marisa Ranieri Panetta nel settimanale “L’Espresso”. Per la sua difesa degli “Ultimi mesi di Pompei”, la giornalista ha ottenuto il prestigioso premio internazionale Media Save Art, categoria settimanale, grazie a un dossier molto ben documentato. Aggiungiamo a questo triste quadro quello di cui nessuno parla, ma che costituisce un flagello ben reale: una Camorra, teppa napoletana onnipresente, che condiziona tutte le attività e che non esita a rubare delle opere d’arte (come il tesoro di Ercolano, la città gemella), a mo’ d’avvertimento ogni volta che un sovrintendente un poco coscienzioso cerca di riprendere le cose in mano.
Anche Pompei rischia di morire, per l’usura che subisce, giorno dopo giorno, per…eccesso di popolarità. Uno studio rivela che il 13% degli edifici aperti si trova in uno stato così allarmante che occorrerebbe chiuderli subito: è il caso del foro triangolare e del tempio d’Eumachia. Delle costruzioni maggiori richiedono un intervento urgente: l’anfiteatro, le domus di Venere, del Fauno e di Loreius Tiburtinus, il Grande Teatro, il tempio di Apollo ed una parte della Schola Armaturarum. Più del 49% del patrimonio si trova in una condizione inquietante di degrado, per cui è urgente intervenire, considerando che Pompei è inscritta sulla lista del patrimonio mondiale dell’umanità, un riconoscimento internazionale di grosso spessore culturale, la cui scoperta, nel Settecento, fu all’origine di una importante corrente culturale ed estetica, annunciatrice del romanticismo nel secolo seguente. L’Europa intera si appassionò per la città morta e resuscitata, inviando in fretta sul posto tutto quello che essa contava di principi, di artisti e di amanti dell’arte.
Per Giovanni Longobardi, uno dei due architetti che hanno condotto questo studio, si pongono tre tipi di problemi: “Il primo è legato alla struttura molto delicata di Pompei, alla sua enorme estensione, alla sua esposizione permanente alle intemperie e alla fragilità delle sue costruzioni, già compromesse da un sisma diciassette anni prima dell’eruzione vulcanica, Il secondo concerne il metodo d’intervento: per il passato, ci si è preoccupati più di preservare tal e talaltro edificio, senza prestare sufficientemente attenzione alla conservazione della città nel suo insieme. Infine un vero sperpero dei fondi pubblici è stato commesso da quindici anni, con dei finanziamenti di progetti secondari, senza mai attaccarsi al cuore del problema.”
Convenzione
Tutto dovrebbe cambiare, promessa di ministro. Lo stato ha appena firmato una convenzione di finanziamento con il patronato: essa permetterà di associare le imprese al salvataggio di Pompei, essendo le somme impegnate defalcate delle loro imposte del 30%. Una trentina si sono già offerte per “adottare” tale o talaltro edificio. I bisogni sono colossali: sono necessari 500 miliardi delle vecchie lire in dieci anni. Lo Stato ne finanzierà un quinto, il resto verrà dal settore privato, nazionale e straniero, come si fa correntemente negli Stati Uniti, sapendo che mai il denaro pubblico basterà a colmare la voragine di Pompei. I restauri già approvati riguardano i templi di Iside e di Zeus Meilichios, la casa del chirurgo e la Villa di Julia Felix. “Ma l’obiettivo è di restaurare uno stato accettabile di conservazione all’insieme del sito, senza priviligiare tale o talaltro aspetto”, rileva l’arch. Longobardi.
Un piano regolatore d’intervento sarà definito prima dell’estate. Si è sottolineato che “esso permetterà di uscire dalla fase d’urgenza per intraprendere il restauro propriamente detto”. Il responsabile del sito, Giuseppe Gherpelli, godrà di un’autonomia di gestione, paragonabile al Museo del Louvre, mai concessa ai suoi predecessori: i 16 miliardi delle vecchie lire provenienti dalla vendita dei biglietti non saranno più versati allo Stato, ma resteranno al sito archeologico.
A termine, si pone la questione della finalità turistica di Pompei. L’obiettivo è di aprire nuovi percorsi di visita in maniera di distribuire in modo più equo la pressione sul sito. Per meglio far comprendere, anche, la civiltà di Pompei creando un museo, un antiquarium, fornendo spiegazioni intelligenti al visitatore, ricostituendo, grazie alla magia del video, gli affreschi e i mosaici messi al sicuro nel museo archeologico di Napoli. In poche parole, fare di una visita a Pompei un vero spettacolo.
Nel 79 d. C. tre delle più belle città del golfo di Napoli, Pompei, Ercolano e Stabia, erano cancellate dalla carta geografica dall’eruzione del Vesuvio. 269 anni fa, grazie agli scavi intrapresi, esse rinascevano dalle loro ceneri. Le lunghe strade rettilinee di Pompei comprendevano marciapiedi e una carreggiata lastricata. I pedoni attraversavano su lastroni sopraelevati che permettevano alle ruote dei carri di passare. Ai crocicchi, si trovava spesso una fontana e un thermopolium, sorta di bar che serviva bibite calde e spuntini, a base di pesce fritto, di salsiccia e di cavoli, conservati in giare incastrate nel banco. Il foro, cuore della vita pubblica della città, era interdetto ai veicoli. Questa piazza circondata da portici era il centro religioso ed amministrativo della città. Le persone che lo frequentavano potevano leggere leggere l’ora sull’orologio solare, in cima ad una colonna.
Visitare il lupanare del Vicolo Storto, il più celebre di Pompei. La città ne contava più di una trentina, tanto quanto le panetterie, la maggior parte concentrate nelle strade malfamate della vecchia città. Questi antri dei piaceri, decorati da affreschi erotici, erano frequentati dagli schiavi e dal popolo minuto, che amavano poltrire. I cittadini fortunati preferivano darsi ai giochi amorosi a casa loro, come lo mostra la pittura adornante la camera da letto di una casa patrizia. Altre rappresentazioni erotiche, come quell’uomo dotato di un pene gigante (in medaglione), scongiuravano il malocchio, allontanando gli spiriti maligni.
In una maniera generale, questi affreschi licenziosi non erano destinati al pubblico, neanche ordinariamente mostrati agli sposi. Essi erano conservati nei “cunicoli”, camere dei padroni di casa. Ciò non vuol dire che le strade di Pompei erano pudibonde. Tutta la città rendeva omaggio alla virilità, simbolo di ricchezza e di ferilità. “ Ic habitat felicitas”, proclama un’iscrizione incisa su un sesso in tufo appeso al di sopra del forno di un panettiere, il che vuol dire: “Qui abita la prosperità.”
La pittura pompeiana è nata dalla pittura murale greca, con influenze locali, particolarmente etrusche. Si tratta di affreschi che ricoprono l’insieme delle superfici interne ed esterne degli edifici pubblici e privati. I loro autori sono sconosciuti. Sono, in realtà, artigiani che lavorano in squadre: uno pone la malta, un altro dipinge i fondi, un terzo i motivi. Certi, tuttavia, sono dei veri artisti, come quelli che hanno decorato le ville di Stabia.
Gli affreschi hanno la funzione di proteggere prima di tutto i muri dalle intemperie. Essi servono anche da insegne e da pubblicità alle botteghe e ai laboratorii, di cui descrivono le attività in facciata. Nelle case, gli affreschi decorano le stanze, secondo la loro funzione: la sala da pranzo si orna di scene di banchetto, la camera di giochi amorosi. Però, dietro questi temi della vita quotidiana, c’è sempre un messaggio: i personaggi sono degli dei, le nature morte simboleggiano i doni della natura. Gli affreschi trovati a Pompei sono così numerosi e così ben conservati che si è potuto classificarli in quattro stili successivi , dal III secolo a. C. alla fine del I secolo della nostra era. Questi stili servono, per i ricercatori, di riferimenti all’insieme delle pitture realizzate nell’Impero romano. La pittura detta pompeiana ha una grande importanza, perché ha inventato tutto: il trompe-l’oeil, la natura morta, il ritratto, il paesaggio e anche l’impressionismo. Essa è il crogiolo dell’arte pittorica occidentale.
Con le sue cinque mole da macinare il grano, la panetteria di Modestus, a Pompei, era una costruzione quasi industriale. Dietro le mole si drizza un forno in mattoni dove furono ritrovati 81 pani carbonizzati nelle parti pretagliate: l’infornata del 24 agosto 79, mai uscita in ragione dell’eruzione. In un’altra panetteria, la pioggia di ceneri ha ucciso i muli che azionavano le macine. Il pane era, per i Romani, un prodotto di prima necessità, al punto che i panettieri e i magistrati della città lo distribuivano talvolta gratuitamente.
Le case dei ricchi pompeiani si ordinavano attorno a parecchie corti. All’ingresso, mosaici avvertivano i ladri della presenza di cani di guardia. Pregevole la scena dipinta nel larario situato nella Casa del Centenario. Fra le divinità protettrici, il Vesuvio, ricoperto di verzura e circondato di vigne, fonte di ricchezza e d’abbondanza. La sala da pranzo estiva si trovava in un cortile o nel giardino interno. Un piano inclinato supportava tre letti disposti attorno ad una vasca, sui quali i convitati mangiavano allungati. Il giardino formava così una stanza a parte. Esso si prolungava spesso sulle mura che lo circondavano, con pitture vegetali che ingrandivano lo spazio con un effetto da specchio.
Edificata alla periferia nord di Pompei, la cosiddetta “ Villa dei Misteri” ha consegnato uno degli insiemi pittorici più importanti del mondo romano. Però questa celebre opera, realizzata nel I secolo avanti Cristo, è probabilmente ispirata ad un originale greco.Una delle scene più famose rappresenta “la flagellazione e la danza dionisiaca”, caratterizzata come opera esoterica, ma, in realtà, si tratta di una cerimonia nuziale, malgrado la presenza di Dioniso, da invitato apparentemente insolito, e quella di alcuni accessori della liturgia misterica, che tutti possono conoscere senza essere iniziati ( il ventilabro mistico contenente il fallo sotto il velo). Il sontuoso affresco, di una rara perfezione, che affascina ed emoziona, a dispetto delle nostre ignoranze, raffigura Semele e non Arianna, Dioniso, suo figlio, e una sacerdotessa. Il dipinto era riservato agli appartamenti privati di una ricca donna di Pompei.
Alfredo Saccoccio