LA RIVOLTA di CASTELLAMMARE del Golfo del 1862
Tra le tante stragi compiute dai piemontesi , vogliamo ricordare oggi quella di Castellammare del Golfo in Sicilia, una strage dimenticata volutamente, scatenata dalla volontà di un potere straniero, quello piemontese, di imporre ad un popolo, fino a pochi anni prima indipendente, la propria volontà e le proprie leggi, che cozzavano discriminatamente con le idee e le leggi di quella gente.
Di fronte all’imposizione quel popolo seppe ribellarsi per difendere la propria libertà. Ma gli costò terribilmente, perchè il conquistatore non mancò di reprimere la sete di libertà con il sangue e la violenza. E ci sono ancora quelli che negano che tale azione del potere piemontese fu vero e proprio genocidio di un popolo, della sua libertà, delle sue idee. L’Istituzione della LEVA MILITARE OBBLIGATORIA, che non esisteva prima dell’unità in Sicilia, era diventata motivo di proteste e di ribellioni. Perché costringeva i giovani a stare sette anni lontani dalla loro casa. Molti, non ottemperando all’obbligo, si nascosero sulle montagne che circondano la cittadina. Le proteste venivano spesso soffocate nel sangue ed in rappresaglie crudeli nelle località di volta in volta assoggettate al reclutamento forzato dei giovani. Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani per la verità , era una cittadina ricca ed operosa, con alti livelli di produttività e di collegamenti commerciali sia in mare che in terra, e si era ritrovata – subito dopo il Maggio del 1860 – in piena crisi, governata malissimo da ‘collaborazionisti’ asserviti al Governo Piemontese, generalmente arricchitisi a spese dei loro stessi concittadini. Erano, questi ‘collaborazionisti’, denominati, in modo dispregiativo, “CUTRARA”, quei liberali che combattendo i Borbone, tramite la censuazione dei beni ecclesiastici, si erano impadroniti della coltre del potere. Il termine “cutrara”, fa riferimento a coloro che si dividono la “coltre” del dominio che i piemontesi chiamarono “mafia”, ma a cui si appoggiarono per mantenere un presunto ordine pubblico.
Non a caso, nel cercare di ridimensionare l’importanza ed il ruolo della RIVOLTA non pochi storiografi preferiscono presentare la rivolta stessa come un momento di lotta SOCIALE, INTERNA alla cittadinanza di Castellamare e non come una tappa importante di quella Lotta per la Libertà e l’Indipendenza, che si sarebbe protratta, con alterne vicende, fino ai nostri giorni.
Il Giornale Officiale della Sicilia del 5 gennaio del 1862 riporta la notizia dei fatti di Castellammare del Golfo in provincia di Trapani in modo scarno: «Sei dei colpevoli, presi con le armi alle mani e in atto di far fuoco contro le truppe, furono trucidati: tre di costoro non vollero palesare il loro nome, uno fu un triste prete imbrancatosi fra quella sanguinosa ribaldaglia».
L’organo ufficiale dello Stato aveva, sicuramente, occultato una verità atroce e orrenda.
Il primo di gennaio del 1862 era stata organizzata una ribellione contro la Monarchia sabauda. Repubblicani, borbonici, tartassati, anarchici, renitenti alla leva, uniti e armati, con bandiere rosse repubblicane, con simboli borbonici, contro i liberali del luogo. Vi fu mattanza. Morti da una parte e dall’altra, ma quei morti si volatilizzarono, nessuno seppe quanti furono, forse si involarono istantaneamente in paradiso. Una rivolta possente, forse 500-600 giovani armati contro i liberali del luogo, servi del potere centrale torinese. Dal libro di Francesco Bianco ‘Castellammare del Golfo, 1° gennaio 1862, pare che l’organizzatore della rivolta fosse Francesco Mistretta Domina, coadiuvato da Andrea De Blasi, entrambi borbonici. E a loro si unì Pasquale Turriciano, renitente alla leva, ritenuto Brigante dai piemontesi. Così il primo di gennaio del 1862, 500 uomini entrarono in Castellammare del Golfo, si sparsero per la città a caccia dei “Cutrara” , ossia dei ”Galantuomini” liberali che detenevano il potere. I rivoltosi, verso le ore 15.00 entrarono nella casa di Bartolomeo Asaro che uccisisero insieme alla moglie Francesca Borruso. Francesco Borruso e il genero Girolamo Asaro, uscirono armati dalla casa ma vedendo che neanche le forze dell’ordine erano in grado di fronteggiare la sommossa, tentarono di rientrare in casa. La cosa riuscì ad Asaro benché ferito ad un braccio, ma non a Borruso, il quale si rifugiò nella casa terranea di Giuseppe Garofalo, dove viene scovato ed ucciso.
Anche Francesco Durelli , scrittore, storico e giornalista del tempo, è testimone di quegli avvenimenti, che narra in un suo libro questo terribile avvenimento. Turbolenze gravissime segnano il 1° giorno di gennajo in Castellammare del golfo (Sicilia) a causa del nuovo peso della coscrizione militare. Il popolo in armi insorge, gira il paese a colpi di fucile, gridando ABBASSO LA LEVA, morte ai …piemontesi, viva la repubblica, afferra, e minaccia di massacrare il Delegato dì Pubblica Sicurezza, il costui figlio, e il Sindaco: i carabinieri sardi, e il giudice mandamentale nella fuga ricevono dietro una scarica dì fucilate. E’ aggredito, ed ucciso, con la figlia, il Borusco comandante della guardia nazionale: è incendiata la casa, e gli abitanti della famiglia Asaro; quella del medico Calandra, ed ucciso un Antonino di tal cognome: bruciate tutte le officine delle pubbliche amministrazioni. Accorso da Alcamo (capo distretto) il comandante Varvaro de’ militi a cavallo, è ucciso con sette de’ suoi. Di quest’agitazione cominciano a risentire gli altri paesi convicini. I piemontesi si risolvono ad un colpo disperato: da Palermo, e da tutti i punti di Sicilia concentrano per mare e per terra le loro forze contro il paese insorto, il quale si difende con ardore, ed uccide nell’assalto il capitano Mazzetti, piemontese, un sergente de’ bersaglieri, – e varii altri militari restano feriti. – Accorrono nuove truppe, e fanno uno sbarco numerosissimo. Ecco come si esprime il Diritto a Torino de’ 5 gennaio: «oltre di tante troppe accorse in Castellammare di Sicilia, vi sono spedite nella notte stessa de’ 2. sul Monzambano due compagnie di bersaglieri; e questa fregata non può accostarsi alla spiaggia, ove son collocati due obici degl’insorti, che per due ore la fanno stare lontana: bisogna far venire da Trapani la bombardiera l’Ardita, ohe fa tacere i due obici della spiaggja, e cosi si accinge allo sbarco; ma appena approda il primo battello, una scarica degl’insorti fa cadere il capitano della compagnia, e vari soldati: allora la fregata comincia a lanciare granate a giusto tiro, e costringe gl’insorti a cambiare posizione: la truppa riesce a sbarcare; esegue vari arresti, fucila sette individui sul momento (di tre de’ quali non si cura né anche, di liquidare nome e cognome); ne manda 27 legati, a Palermo: il nucleo degl’insorti si getta su’ monti… Da ciò si vede, che la massa dei popolo in Sicilia è malcontenta; sia per non aver guadagnato nulla dopo la rivoluzione, sia per odio verso la leva; sia por timore di nuovi dazii.
La semiofficiale Opinione di Torino (n.13) riporta una sua corrispondenza da Palermo, nella quale è affermato: che «tale sommossa merita tutta l’attenzione del governo e del paese; perché le file erano distese in parecchi altri luoghi lungo il litorale dell’isola, le quali noti ebbero tempo di manifestarsi».
Cade qui in acconcio di notare che sul modo di procedere de’ piemontesi nel rincontro il deputato Crispi, nella tornata del parlamento di Torino dei di 11 del detto mese di gennajo, muovendo interpellanze, dice, tra le altre cose: – «i fatti tragici di Castellammare sono d’importanza maggiore di quel che possano farli credere le reticenze della gazzetta ufficiale, essendone state le Autorità locali informate 20 giorni prima…. Il malcontento in Sicilia è gravissimo, sopratutto contro la leva».
E nella susseguente tornata de’ 15 l’altro deputato D’Ondes; censura gravemente «il subitaneo massacro degl’individui fucilati nel rincontro senza nessuna forma di giudizio, o di legalità e grida contro questo atto di barbarie su le persone de’ cittadini che potevano anche essere innocenti». (Francesco Durelli in Le Condizioni del Reame delle Due sicilie 1862)
In quella terribile strage le sette vittime sono state:
1) Mariana Crociata cieca, analfabeta, di anni 30;
2) Marco Randisi di anni 45, storpio, bracciante agricolo, analfabeta;
3) Benedetto Palermo di anni 46, sacerdote;
4) Angela Catalano contadina, zoppa, analfabeta, di anni 50;
5) Angela Calamia di anni 70, diversamente abile, analfabeta;
6) Antonino Corona, diversamente abile di anni 70;
7) la piccola Angelina Romano, che non ha neppure compiuti i 9 anni.
Questa è stata la giustizia del conquistatore del nord.
Nel libro dei morti della Chiesa Madre di Castellammare del Golfo, a pagina 80, recto, vi sono gli atti di morte di:
Don Francesco Borruso,
Donna Francesca Borruso,
Don Antonio Galante,
del Capitano Antonio Varvaro,
di Montana Francesco ( morte naturale)
del Capitano Carlo Mazzetti,
e di Crociata Marianna.
Padre Benedetto Palermo, di anni 44, catturato dai bersaglieri del capitano Bosisio in contrada Fraginesi e fucilato ai “quattro canti” di Castellammare, dove resterà agonizzante per più di un’ora. Sarà finito da un bersagliere con un colpo di baionetta alla gola (Francesco Bianco, Castellammare del Golfo,1° gennaio 1862, Pubblicazione in proprio, 2010, pag.51). Sicuramente i bersaglieri stavano massacrando atri rivoltosi, se si sono accorti che il prete borbonico era ancora agonizzante dopo un’ora, ma nessuno ce lo dirà.
Questo Stato difende ancora le azioni delle SS del 1800, di cui i bersaglieri, furono tra i maggiori artefici di eccidi e stragi inumane, disumane, barbariche. Vorremmo sapere quale tribunale ordinario o di guerra ha ordinato tale fucilazione. Nel libro dei morti della Chiesa Madre di Castellammare, è scritto chiaramente che, ad ucciderli, è stato il Regio esercito ( interfecta fuit a a militibus Regis Italie). La trascrizione della morte della piccola Angela Romano, sul verso della pagina 80, in latino, recita. “Romano Angela filia Petri et Joanna Pollina consortis. Etatis suae circ. Hodie hor.15 circ. in C. S.M.E Animam Deo redditi absque sacramentis in villa sic dicta Falconera quia interfecta fuit a militibus Regis Italie. Eius corpus sepultum est in campo Sancto novo”. Il suo nome non viene numerato, risulta inserita tra il numero 12 e il numero 13 della pagina 80, tra Angela Catalano e Angela Calamia. Anche loro vittime del Regio Esercito italiano.
Perché la trascrizione è postuma ed i preti Galante e Carollo hanno voluto dare ai posteri una verità che delinquenti come il capitano Bosisio e il generale Quintini hanno cercato di occultare.
Quindi a Castellammare del Golfo c’è stata una mattanza inaudita. Ma non sappiamo di quanti morti si è macchiato il criminale generale Quintini che è da annoverare tra i più grandi criminali di guerra del risorgimento piemontese. I morti non vengono annotati nemmeno nei registri comunali. Per tredici giorni, dopo quelle del dicembre del 1861, riprendono il 14 di gennaio del 1862. Di sicuro c’è stato un ordine infame: non trascrivere i morti della rivolta. Solo quelli trascritti nel libro dei morti della Chiesa Madre dall’arciprete Girolamo Galante e da padre Michele Carollo. Non doveva rimanere alcuna traccia del massacro. Né il governo, su richiesta dei deputati D’Ondes Reggio e di Francesco Crispi, seppe dare risposte esaustive. Giorni convulsi di rivolta, di eccidi. Nel libro dei morti della Matrice di Castellammare del Golfo vi è annotato anche la morte di un altro ragazzo, certo Giuseppe Magaddino di 4 anni, poi depennato con inchiostro di diverso colore. Nei registri parrocchiali non sono annotati nemmeno i nomi dei soldati uccisi durante i conflitti a fuoco del 2 e 3 gennaio, ad eccezione del comandante della cavalleria di Alcamo, Antonino Varvaro di anni 26 e del capitano dell’esercito Carlo Mazzetti di anni 38 (Liber Defunctorum del 1862, f.80r). Il Dr. G. Calandra, a pag 76 della sua opera “l’avvocato e il parricida” indica altri militari morti: il brigadiere Mariano Bocchini comandante la stazione dei carabinieri locale e del milite a cavallo Giuseppe Lazzara (Salvatore Costanza, La Patria Armata, Corrao Editore,1989, pag.197).
Risultano morti anche 7 soldati ed undici feriti. Il che significa che la battaglia fu cruenta.
Oltre ai bersaglieri del generale Quintini, per ristabilire l’ordine a Castellammare, giunsero da Alcamo altri 256 militi. Anche ad Alcamo c’era rivolta come a Castellammare.
Fu ucciso Ciro Montecchini, di anni 25, ufficiale di fanteria, nativo di Sant’Antonino di Susa. Furono feriti anche quattro carabinieri. Pare strano che non vi siano stati morti tra i rivoltosi.
Un eccidio senza fine, fucilati senza processo, nessun brigante morto, secondo le fonti ufficiali, ma solo un prete borbonico preso con le armi in mano, vecchi e bambini.
Qualche ufficiale piemontese depennò la morte di Giuseppe Magaddino, sicuramente fucilato, forse perché parente di qualche renitente alla leva.