L’antica storia dell’acqua “d”e mummarelle”
«Munastero ‘e Santa Chiara / tengo ‘o core scuro scuro… / Ma pecché, pecché ogne sera, / penzo a Napule comm’era, / penzo a Napule comm’è…».
Questi sono i famosissimi versi dell’altrettanto famosissima canzone Munasterio ‘e Santa Chiara che introducono un’avvincente storia tutta napoletana, che non è di per sé il Monastero di Santa Chiara, ma ciò che era prima che diventasse un monastero. Infatti non tutti sanno che questo complesso sorse su uno molto più ampio che altro non era che un complesso termale! Infatti a Napoli vi è sempre stato questo connubio tra acqua delle terme e fuoco dei vulcani da cui scaturiscono lava ma anche le acque calde … questa è una particolarità della natura napoletana che in una mano brandisce terremoti ed eruzioni portatori di sofferenze e dall’altra offre le sue miracolose acque termali che tanto hanno lenito e leniscono tutt’ora le sofferenze dei napoletani.Da noi il complesso più importante di agglomerati vulcanici sono i campi flegrei che si estendono da Fuorigrotta fino a Capo Miseno. In quest’area così vasta vi si trovano importanti complessi termali già utilizzati nietepopodimenochè 2700 anni fa dai navigatori Calcidesi, i quali fondarono nel 776 a.C. Cuma, quella che si pensava fosse la prima colonia greca in Italia. Le acque termali, subito definite miracolose e terapeutiche, furono il motivo di fondazione di alcune cittadine o piccoli insediamenti come Puteoli (Pozzuoli), Agnano e Baia. Sin dall’antichità presero piede nell’immaginario collettivo come posti magici e spettrali. Addirittura come ingresso degli Inferi.Le terme nei secoli crebbero di importanza ed assunsero un ruolo sociale. Prima i greci, poi i romani, andavano alle terme in quanto punto d’incontro dove si conversava, si facevano affari, si discuteva di politica, si assisteva a spettacoli di recitazione e di musica. Con la caduta dell’impero romano tutta l’area termale flegrea perse di importanza però non smise mai di funzionare. Infatti vi sono nel Medioevo testimonianze di imperatori come Lucovico e Atalarico, i quali dopo le loro battaglie si recarono rispettivamente a Pozzuoli e Baia per curare i loro “acciacchi”. Anche Federico II di Svevia si curò alle Terme di Pozzuoli. Nei secoli ai fenomeni termali si accompagnarono anche quelli dovuti al “vivere” della terra in quelle zone. La terra infatti ha una sua vita e su muove costantemente. Ed ecco che ancora oggi a Pozzuoli, ma anche a Fuorigrotta, capo Posillipo etc… la terra si alza e si abbassa. Questo è il famoso fenomeno del bradisismo! Nel passato accadeva anche ad un paesino che fu poi inghiottito, come narra la leggenda, nel lago di Agnano, lago che poi fu prosciugato nel 1870 dal neonato Regno d’Italia. Ed infatti in seguito a tale episodio vennero a galla più di 75 fonti con acque tutte diverse ed ognuna era atta ad una terapia.In seguito e nel recente passato l’importanza delle Terme in generale non è mai finita. I Napoletani hanno avuto bisogno delle terme e le più gettonate erano quelle di Agnano, dove si continuava, come al tempo dei romani, la vita sociale. Ma prima di ricordare gli stabilimenti di Ischia e Capri, è bene soffermarsi sulle terme napoletane doc, per intenderci, quelle situate in città tra Santa Chiara, Pizzofalcone e Santa Lucia; le famose cinque acque napoletane che venivano bevute nei chioschi nati ad hoc, ossia: l’acqua Ferrata, l‘acqua del Fontaniello, l’acqua Sulfurea Antica, l’acqua Sulfurea Nuova e l’acqua Acidula. Queste venivano versate nelle famose mummarelle, anfore di terracotta nelle quali l’acqua si conservava fresca. Purtroppo la storia di queste acque è andata perduta con tutti i documenti del Tribunale della Fortificazione Mattonata ed Acqua nell’incendio dell’Archivio Storico Municipale del 1946. Ormai questa storia è stata cancellata prima dal fuoco e poi, per ironia della sorte, dall’acqua usata per spegnerlo. Ci restano, per fortuna, le testimonianze delle foto di queste fonti acquifere e, volendo chiudere con una battuta, chissà se quest’acqua non è la stessa che Totò usò per “sfamare” il cavallo in “Totò … 47 morto che parla”!
Gino Campolongo