L’ascesa di Carlo di Borbone sul trono di Napoli
Il 10 maggio 1734 l’infante don Carlo di Borbone, figlio terzogenito del re di Spagna Filippo V e di Elisabetta Farnese, fece il suo solenne ingresso in Napoli, accolto con grandi festeggiamenti dalla popolazione locale, decretando così la nascita del regno duo-siciliano.
Questa impresa militare ebbe inizio allorquando il diciottenne Don Carlo, già legittimato nel 1731 della corona ducale di Parma (col nome di Carlo I di Parma) nonché riconosciuto aspirante ereditario a quella di Toscana (essendo la madre Farnese nipote di una dei Medici, Carlo fu dichiarato “Gran Principe ereditario” del Granducato di Toscana mentre Gian Gastone de’ Medici divenne suo co-tutore), dette corpo alle sue promesse ed aspirazioni di voler liberare le Sicilie “per amor dei popoli oppressi dalla durezza ed avarizia tedesca”. All’indomani dello scoppio della guerra di successione polacca, Don Carlo decise di intraprendere questa spedizione di liberazione del regno di Napoli contro gli occupanti imperiali, rivendicando l’unione di tale territorio alla Spagna, governata dal padre Borbone. Il 20 gennaio 1734 l’esercito del duca Carlo si mosse da Parma e attraversando la Toscana (ben ospitato dal suddetto Gian Gastone dei Medici) proseguì verso il territorio napoletano, senza incontrare una significativa resistenza nonostante i 25 mila tedeschi posti a presidio del Viceregno. Nella tappa di Monterotondo Don Carlo espose il proclama di Filippo V ai napoletani, specificando le sue volontà di cacciare gli oppressori e creare un regno libero ed autonomo. L’avanzata proseguì in direzione della capitale partenopea, che era difesa da soli 7 mila armigeri al comando del principe Giovanni Carafa. Un documento dell’Archivio Pescolanciano, intitolato “Lettera scritta alla Sac.Ces.Maestà dell’Imperatore dal pubblico della città di Napoli” e datato 26 marzo 1734, riferisce circa la richiesta di aiuti all’imperatore d’Austria (Carlo VI) da parte della città di Napoli. Il “valido Soccorso di soldati per difesa di questo Regno” era dovuto a fronte del “sussidio alla Maestà…in scudi secentomila” che erano prelevati con “nuovi Dazi e Gravami”. Il Viceré poteva contare su un presidio di 20 mila soldati al comando “dell’Illustre Marescial Mercy”, nonché sulla Deputazione del Buon Governo con sue fedeli “Milizie Urbane”. Si trattò, comunque, di una forza militare riconosciuta però esigua, come si legge nella “Lettera”: “le nostre Forze e del Regno Noi le veggiamo indebolite…dalla minorazione nel necessario piano stabilito de’ soldati per la Custodia del Regno”. Nonostante i fondi recuperati dai donativi, dalle tasse e contribuzioni per finanziare la cassa militare a sostegno della milizia, la città restò costernata perché era “rimasta senza soldatesca, le nostre Castella sfornite in parte di soldati, ed Arredi Militari”, di fronte all’incalzare delle forze spagnole.
Altro documento d’Archivio Pescolanciano, la Prammatica n.20 del 1734, riferisce poi degli ultimi avvenimenti accaduti all’esercito di Don Carlo, prima dell’arrivo in Napoli. Si fa cenno, ad esempio, alla difesa imperiale presso Castel S.Elmo, ove “Venerdì 23 Aprile vi fu aperta trincea, e con dieci pezzi di grossa Artiglieria, e due Mortari a bombe si principiò a battere il Castello. Dopo due giorni di combattimento il Castello “espose bandiera bianca”, l’assediante spagnolo concesse la resa con l’onore delle armi e con la possibilità di portar seco “il proprio bagaglio”.
Molti soldati sconfitti “domandarono di servire fra le Vittoriose Armi Spagnole” e furono accontentati. Analoga richiesta vi fu tra i prigionieri del forte di Baja, caduti in mano spagnola.
Viene anche menzionato il lunedì 26 aprile quando in Aversa si era fermato re Carlo con la sua corte ed i rappresentanti cittadini partenopei lo raggiunsero per gli auguri pasquali. Lo stesso documento riferisce,inoltre, che a Pozzuoli il “Convoglio Spagnolo” sbarcò “numerosa artiglieria, tutta per altro di bronzo” ed attrezzi di guerra per assediare la fortezza di Capua. Infine, si accenna alla giornata di sabato 1 maggio, allorché si festeggiò il Santo .Filippo in pompa magna con la presenza della Real Corte d’Aversa ed i “titolati, Nobiltà, e Ministero”. In questo particolare evento era presente anche S.A. Reale che ricevette un “copioso regalo” come costumanza locale dal “Portolano di questa città”(Don Giulio Cesare Capuano del sedile di Portauova). Tale regalo fu così composto “in vaghissimi fiori, fresca frutta, dolci, cristalli, e finissima Porcellana”, ed offerto durante il banchetto di festeggiamento, a cui partecipò anche il conte di S.Stefano, il marchese d’Arenzo Lelio Carafa, il conte di Montemar, conclusosi in serata con una grande festa da ballo.
La città di Napoli, su ordine del citato generale Carafa, offrì la resa a Don Carlo il 10 maggio del medesimo anno. Al riguardo, lo storico Acton nel suo libro “I Borboni di Napoli” riportò con dovizia di particolari la trionfale entrata dell’esercito spagnolo a seguito del suo condottiero Borbone. “La nobiltà andò ad incontrarlo a Porta Capuana, attraverso la quale erano sempre passati i Re ed i conquistatori di Napoli, e molto lentamente il corteo si mosse lungo Via dei Tribunali; prima venivano i cavalli coperti di ricche gualdrappe, poi gli scudieri del Principe su bei cavalli, poi il Principe che cavalcava tra Santo Stefano ed il principe Corsini, seguiti da cavalieri che gettavano denaro al popolo. Don Lelio Carafa chiudeva la processione con la Guardia del Corpo. Perfino il sacro profeta, il sangue di San Gennaro, aveva fornito una chiara indicazione: liquefacendosi fuori stagione, approvava Don Carlo”. Tale presagio miracoloso favorì poi la vittoria degli spagnoli a Bitonto, il 25 maggio, ove Don Carlo fece erigere un obelisco a ricordo di tale memorabile combattimento che segnò l’inizio del regno indipendente di Napoli e poi di Sicilia, dopo 233 anni di colonialismo spagnolo.
Di Ettore d’Alessandro di Pescolanciano
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