Le province siculo-partenopee nel Regno d’Italia La Destra e il Meridione (II)
La Destra e il Meridione
A decidere la caduta della Destra non fu certo il deputato siciliano Morana con la sua interrogazione né le proteste che agitavano la Sicilia per il caro-pane. Ad influire maggiormente furono i risultati elettorali del 1874. Rispetto alle elezioni del 1861 la destra, che aveva avuto l’80% dei deputati, era scesa al 54% mentre la sinistra dal 20% era passata al 46%. La crescita della sinistra, contrariamente a quanto si verifica oggi, era praticamente concentrata nel Mezzogiorno e particolarmente in Sicilia [1]. In Sicilia per ogni deputato di destra, ne erano stati eletti ben 9 di sinistra.
Inizialmente la Destra cercò di delegittimare il voto meridionale, risultato determinante, sostenendo che esso non aveva rilevanza nazionale (sic!) e questo perché la sinistra, oltre ad aveva ricevuto il supporto dall’Internazionale Socialista [2], aveva innegabilmente raccolto i voti – che oggi definiremo “di protesta” dei legittimisti borbonici e dei clericali, e tratto vantaggi elettorali anche dalla mafia, dalla camorra, dal brigantaggio. Particolarmente offensivo nei riguardi del Mezzogiorno fu l’intervento di Diomede Pantaleoni che arrivò a scrivere che “il sud votava diversamente dal centro e dal nord perché ne era inferiore il grado di civiltà” [3]. Analogo giudizio esprimeva anche Pasquale Villari in una lettera a Giustino Fortunato. Entrambi gli studiosi, pur essendo meridionali, erano però contrari sia alla riforma agraria ed alla modifica della legge elettorale. La accusa mossa dalla destra della presunta immaturità meridionale era palesemente infondata. Bisogna ricordare infatti che il sistema elettorale censitario ristretto, voluto proprio dalla destra, coinvolgeva al voto soltanto il 2% della popolazione maschile italiana. E questo 2% era rappresentato da aristocratici o professionisti, quali medici e avvocati.
La Sinistra sentiva l’esigenza di porre fine al dualismo che divideva il paese in due parti diseguali. Si chiedeva allo stato di porre fine al divario Nord-Sud, di consentire al paese e alle persone le stesse condizioni di sviluppo. Per realizzare questi progetti servivano un’azione politica continua e coerente ed il concorso di tutto il ceto politico nazionale. Cosa che puntualmente non si sarebbe verificata. Pur non di meno, i risultati elettorali del 1874 crearono le premesse della caduta della Destra e la creazione di un nuovo governo e, cosa ancora più importante, la nascita all’interno della sinistra tradizionale, di un nuovo gruppo “La Nuova Sinistra”, presentato da Francesco De Sanctis fin dal 23 aprile 1874, che intendeva collocare esigenze e aspettative del Mezzogiorno come parte centrale della futura azione di governo [4]. Così parlava Giovanni Nicotera in un suo intervento: “… Io e i miei amici abbiamo sempre votato con piacere le spese per i lavori nelle altre provincie italiane, poiché non ammettiamo differenza alcune tra le varie regioni d’Italia. Ma l’onorevole Minghetti col minacciare per ogni nuova spesa una nuova imposta, par che dica ai contribuenti delle regioni d’Italia che si trovano in condizioni ben altrimenti floride delle provincie meridionali e in cui estese reti ferroviarie han dato sviluppo importante all’industria e al commercio: badate che se si votano nuove spese per i lavori nelle provincie meridionali, dovremo aggravarci di nuove imposte” [5]. Ancora più radicale era la posizione di Francesco Crispi che in un suo discorso del 25 gennaio 1875 durante la discussione parlamentare per l’interpellanza presentata per gli arresti di Villa Ruffi in Romagna [6] e di Castrogiovanni in Sicilia, oltre a giudicare gli arresti “un atto illegale e di cattiva politica” dichiarava che “ …le province del mezzogiorno sentono dolori ai quali non si è ancora riparato; hanno bisogni che ancora non furono soddisfatti. E questo non ha a che fare con l’opposizione politica. L’opposizione, pur partendo dal mezzogiorno è tutta nazionale. (…) Che cosa oggi vuole il mezzogiorno? Vuole la libertà e non la vuole per se, la vuole per tutti. Vuole libertà vuole buon governo, amministrazione ragionevole, vuole giustizia e chiedendo queste cose non le chiede per se ma le chiede per tutti, nell’interesse dell’Italia e anche della monarchia.”. [7]
La Sinistra ed il Meridione
Prima di arrivare alle dimissioni del governo di destra del 18 marzo del 1876, la Sinistra dovette attraversare due anni irti di difficoltà. Il governo era interessato solamente a controllare le opposizioni politiche con feroci repressioni di polizia e trascurava le emergenze sociali ed economiche. La Sicilia dopo la sconfitta locale della destra, dovette, tra l’altro, subire ulteriori disposizioni eccezionali di polizia e una commissione parlamentare d’inchiesta sulle sue condizioni. L’argomento cardine fu la lotta alla mafia e al brigantaggio ed a tal proposito, all’insaputa della stessa Commissione parlamentare, il presidente della Camera presentò una serie di relazioni di prefetti e magistrati, quasi tutti settentrionali, che se da una parte davano un quadro realistico della malvivenza dall’altro erano chiaramente tendenziosi e antimeridionali. Come quello del prefetto di Caltanissetta Fortuzzi secondo cui i mali della Sicilia erano ereditari e che “con questo popolo, il siciliano, era inutile applicare leggi e ordinamenti come nel resto della penisola”; per Fortuzzi i siciliani non erano erano abbastanza umani, e “l’unica via percorribile [per domarli, ndr] era la forza”. La pubblicazione di questi rapporti faziosi non servì ad altro che ad esacerbare gli animi: da un lato i siciliani che si ritenevano ingiuriati e diffamati, dall’altro il centro-nord che diede libero sfogo all’antimeridionalismo più becero. In questo clima di tensione si aprì un dibattito parlamentare al quale partecipò pure, per via epistolare, Garibaldi invitando il governo a rispettare il meridione e la Sicilia che tanto avevano contribuito all’unità d’Italia. Ed era vero, perché solo la connivenza dei meridionali e il tradimento di alcuni generali poté consentire a Garibaldi la rapidissima conquista militare del Regno delle due Sicilie e solo con i capitali sottratti alle casse del meridione poté decollare lo stato sabaudo.
Di notevole impatto furono gli interventi di Crispi e di Tajani che rivelarono tra l’altro le malefatte, le collusioni, la corruzione, le illegalità e i delitti perpetrati dagli organi della questura di Palermo. Le accuse erano talmente gravi da richiedere l’istituzione di un’ulteriore Commissione di inchiesta. Benedetto Cairoli a questo punto presentò un ordine del giorno che proponeva la sospensione dei provvedimenti eccezionali per la Sicilia in attesa dei risultati delle inchieste. La proposta fu bocciata dalla destra che impose la votazione della legge delega per inasprire le repressioni, che fu approvata senza il voto della sinistra che per protesta era uscita dall’aula. Anche al Senato la legge fu approvata seppure per soli 5 voti. Visto il risultato della votazione alle camere, a Palermo, un gruppo di ingenui cittadini pensò di inviare una petizione a Vittorio Emanuele con preghiera di non avallare la legge. Il governo dispose l’immediato sequestro della petizione e dei giornali che l’avevano pubblicata, Vittorio Emanuele firmò (con soddisfazione, presumiamo) la legge che una volta pubblicata sella Gazzetta fu resa efficace. I provvedimenti speciali prevedevano tra l’altro la possibilità di applicare il domicilio coatto fino a 5 anni a tutti coloro che venivano anche soltanto indicati come favoreggiatori di associazione a delinquere o di associazioni contro la proprietà, comprensiva pertanto anche di coloro che caldeggiavano la riforma agraria e coloro che venivano ritenuti colpevoli non avevano la possibilità di ricorrere in appello. Questi provvedimenti eccezionali che avevano il solo e primario scopo di eliminare brutalmente qualsiasi dissenso non furono tuttavia mai applicati, perché vennero travolti con tutta la Destra.
Dobbiamo per giusto dovere di cronaca riportare che contemporaneamente alla commissione di inchiesta parlamentare rivelatasi faziosa e tendenziosa si istituì un’altra Commissione, privata, coordinata da Franchetti e Sonnino. Questi studiosi erano stati assunti da quella parte di Destra colta che “seriamente” intendeva capire le condizioni della Sicilia. Originariamente la commissione avrebbe dovuto occuparsi della Romagna, anch’essa terra di briganti ma essendo poi rientrato questo stato di cose, l’inchiesta fu dirottata in Sicilia. Franchetti e Sonnino fecero il loro lavoro evitando sì di esprimere giudizi sul grado di “civiltà” della popolazione ma, certamente a causa delle fonti d’informazione usate (grandi proprietari terrieri, alto-media borghesia e aristocratici) si occuparono ben poco del problema mafia e del problema della riforma agraria e conclusero il loro rapporto assolvendo il Nord da qualsivoglia manchevolezza verso il Sud che, così come era, a loro avviso costituiva un danno per se stesso e per la nazione, e che pertanto andava cambiato anche con la forza. In sintesi nella loro relazione Franchetti e Sonnino hanno avallato e legittimato la supremazia del Nord nei confronti del Sud.
Destra e Sinistra: le differenze
A partire dal 18 marzo 1876, quando finalmente il governo Minghetti è costretto alle dimissioni sale al potere la Sinistra. E’ bene non intendere i termini Destra e Sinistra in senso moderno. Stare a destra o stare a sinistra significava semplicemente seguire gli orientamenti di singoli personaggi e ciò dava luogo ad una serie di fazioni e gruppi assai variegati. Ad esempio gli uomini di Destra siciliani non erano certamente paragonabili agli uomini di destra del centro o del nord e fatti salvi alcuni leader di specchiata moralità, sia a nord che a sud ognuno aveva perseguito interessi più o meno personali, più o meno locali. Analogamente avveniva per la sinistra dove troviamo una Sinistra tradizionale, definita “storica” da De Sanctis e guidata da Depretis, una Sinistra giovane o Nuova Sinistra, una Sinistra progressista del lombardo Cairoli, l’estrema sinistra di Bertani e la Sinistra meridionale rappresentata da Crispi in Sicilia e dal salernitano Nicotera nella penisola [8]. Non erano rari i passaggi (trasformismo) di politici da una corrente all’altra. La differenza tra i governi della Destra e quelli della Sinistra consiste quindi soprattutto nella diversità del loro atteggiamento morale e politico: gli uomini della Destra, aristocratici e proprietari terrieri, facevano politica per difendere lo status quo sociale ed i propri patrimoni. Avevano stabilizzato lo Stato unitario con una ricetta liberista al prezzo del sacrificio di una parte di esso, cioè del Sud “governato” con l’esercito. Gli uomini della Sinistra, invece, erano invece per lo più professionisti e avvocati maggiormente sensibili all’interesse generale ed al progresso.
La Sinistra Storica al governo
Poiché la caduta della Destra era stata determinata dal voto meridionale del 1874, il governo che Depretis si accingeva a formare dovette tenere conto di questo e ben 5 ministeri su 8 furono affidati a meridionali. L’avvento del nuovo governo, formatosi all’interno della legislatura precedente si venne a trovare però con una maggioranza di destra, e ciò rese inevitabile nuove elezioni che furono indette per il 5 novembre del 1876. La Sinistra vinse in maniera trionfale in tutta Italia e Depretis ottenne il 60% dei voti. Nonostante la maggioranza schiacciante Depretis fu costretto a dimettersi nel dicembre del 1877 quando fu sfiduciato per aver criticato la scarsa libertà e segretezza del servizio telegrafico. Riavuto però l’incarico riformò il governo e scelse come ministro dell’interno il Crispi. Tuttavia Crispi fu presto costretto a dimettersi perché accusato di bigamia [9].
La Sinistra in campo economico attuò una politica protezionista per limitare le importazioni e favorire il commercio interno. Grazie agli incentivi statali nacquero grandi industrie come le Acciaierie di Terni, e la produzione industriale aumentò. Per il Sud, una tale politica sarebbe stata salvica dopo l’unità, quando era in vantaggio grazie all’industria protetta creata dai Borbone. Introdotto invece dopo 15 anni di liberismo selvaggio, il protezionismo finì paradossalmente per danneggiare ancor più il Meridione. In politica estera, si cercò di aumentare il prestigio internazionale del Paese: per questo motivo venne acquistata nel 1882 la Baia di Assab, da cui partì in seguito l’avventura coloniale nell’Africa orientale. All’interno, la Sinistra storica cercò di migliorare le condizioni di vita della popolazione e fu abolita la tassa sul macinato. Con la legge Coppino del 1877 fu istituita l’istruzione obbligatoria (due anni). La riforma elettorale del 1882 estese il diritto di voto a tutti gli alfabetizzati (il 7% della popolazione). Depretis avviò una serie di inchieste sulle condizioni di vita dei contadini nella penisola, la più famosa delle quali fu l’inchiesta Jacini. Tali iniziative rivelarono una situazione di grande miseria, con l’infanzia spesso vittima della difterite mentre gli adulti soffrivano di pellagra per malnutrizione. Tuttavia le finanze dello Stato vennero impiegate per gli aiuti all’industria, e non si riuscì a realizzate il programma di edilizia scolastica nè bonifiche agricole di cui il Paese aveva urgentemente bisogno. La libertà dell’insegnamento contribuì comunque all’espandersi della cultura. Risorsero le due accademie napoletane: la Pontaniana e la Società Reale, e ne fecero parte il Bonghi, lo Spaventa, il Fiorentino e il De Sanctis stesso che fondò nel 1876 il famoso Circolo Filologico [10]
Nei 7 governi di sinistra si avvicendarono vari ministri siciliani e meridionali. Infine nell’ultimo governo Depretis, aprile 1887, Crispi riebbe il ministero degli interni e il 29 luglio dello stesso anno, morto Depretis, divenne presidente del Consiglio, ministro degli Interni e ministro degli Affari esteri. Della storia politica di Francesco Crispi che certamente non si esaurisce solo in ambito siciliano né in quello della sua classe dirigente parleremo più diffusamente in seguito.
Fara Misuraca Alfonso Grasso Giugno 2008
Note
[1] Nelle elezioni siciliane la sinistra su 48 collegi elettorali ne aveva conquistati 42
[2] Il socialismo italiano nasce a Napoli nel 1869, con l’apertura della prima sezione della Internazionale. I primi deputati socialisti furono Saverio Friscia di Sciacca (Agrigento) e Giuseppe Fanelli di Napoli. Quest’ultimo era stato collaboratore di Carlo Pisacane, uno dei primi socialisti liberali italiani, morto a Sapri nel 1857. Fanelli e Friscia avevano fondato a Napoli nel 1867 l’associazione democratico-sociale, ed il giornale “Libertà e Giustizia”.
[3] Diomede Pantaleoni, Le ultime elezioni politiche in Italia, in Nuova Antologia, 1874, cit. in Renda, Storia della Sicilia pag, 997
[4] Cit. da Mola, Il Manifesto, pag 24 e da Capone, Le elezioni del 1874, pag, 143
[5] Cit. da Capone, Le elezioni del 1874, p.143, in Renda, Storia della Sicilia, p.999
[6] Il 2 agosto 1874 convegno nazionale di mazziniani e internazionalisti a Rimini presso la villa di Ercole Ruffi (industriale dello zolfo e presidente della camera di commercio), a Covignano, in vista di un imminente moto rivoluzionario. Circondata la casa, tutti i 28 congressisti (tra i quali i riminesi Bilancioni, Ugolini, Francolini, Martinini, Augusto Grassi, Achille Serpieri ) furono brutalmente perquisiti, arrestati e fatti partire con una nutrita scorta militare su di un treno diretto verso Ancona . Saranno incarcerati per molti mesi presso il castello di Spoleto.
[7] Francesco Crispi, Discorsi Parlamentari
[8] La “sinistra storica piemontese” di Agostino Depretis derivava dalla componente di sinistra di Urbano Rattazzi del “connubio” cavouriano e si collocava su una posizione liberale prudentemente progressista. La “sinistra storica nazionale” di Benedetto Cairoli e Giuseppe Zanardelli era il prodotto dell’evoluzione delle vecchie componenti risorgimentali mazziniane, garibaldine e federaliste disponibili a un compromesso con la monarchia ed a una parlamentarizzazione dell’azione politica. Intorno ad essa gravitava, su posizioni più accentuatamente democratiche e radicali, la combattiva “estrema sinistra” guidata da Agostino Bertani e Felice Cavallotti. La “sinistra meridionale” era composta sia da moderati quali Francesco De Sanctis (“sinistra giovane”), sia da uomini come Crispi e Nicotera, l’antico compagno di Pisacane, spostatosi via via su posizioni liberali.
[9] Crispi aveva sposato nel 1978 Lina Barbagallo mentre era ancora in vita Rosalia Montmasson da lui sposata a Malta in gioventù.
[10] Francesco De Sanctis, napoletano di adozione, fu ministro della Pubblica Istruzione. Avendo insegnato nell’Università di Napoli, sostituì alcuni professori che con il precedente governo avevano ottenuto le cattedre per ragioni politiche anziché per i loro meriti. Entrarono quindi a far parte del corpo insegnante dell’Università di Federico II di Svevia: Bertrando Spaventa, Luigi Settembrini, Augusto Vera, Antonio Tari e Giuseppe De Blasiis che apportarono una vera rivoluzione nella cultura letteraria napoletana. I cattolici, con a capo l’abate Vito Fornari, si misero all’opposizione, particolarmente contro Bertrando Spaventa che rappresentava un po’ l’incarnazione di questa rivoluzione culturale: appoggiavano il Fornari il Capecelatro, Antonio Galasso, Federico Persico, Alfonso Della Valle, Teresa Filangieri Ravaschieri e i religiosi Ludovico da Casoria e Gaetano Milone. Fra gli allievi dello Spaventa emerse Antonio Labriola, filosofo che mise al centro del suo pensiero gli interessi del proletariato. Sempre della scuola dello Spaventa fu Donato Jaja, che fu poi maestro di Giovanni Gentile, il Masci, che fu rettore della Università, Francesco Fiorentino e Vittorio Imbriani. Due scrittori si distinsero subito in questo periodo: Vittorio Imbriani e Francesco Mastriani, più anziano del primo, scrittore popolare prolifico e apprezzato, che si affermò subito per la sua efficace attività di romanziere spesso ambientata nel costume partenopeo. Seguì le sue orme un napoletano di adozione, Onorato Fava. Vittorio Imbriani, figlio di Paolo Emilio e di Carlotta Poerio, a sua volta sorella di Carlo e di Alessandro, destò interesse nel giovane Benedetto Croce e ciò agevolò la sua affermazione. Intanto un’altra grande figura iniziò a farsi notare: fu quella di Matilde Serao, nata a Patrasso da un esule napoletano e da una greca, giornalista e romanziera. Bibliografia aggiuntiva della parte seconda Betocchi A., L’evoluzione nel socialismo, Napoli, 1891.