Le Reali Riserve dei Borbone. Boschi e coltivazioni al servizio del popolo
Il monte Tifata è per i casertani un po’ come il Vesuvio per i napoletani, un’entità sacra. In realtà in parte lo è: l’area tifatina, in antichità, era caratterizzata da insediamenti religiosi legati al culto della dea Diana, divinità alla quale erano dedicati rigogliosi boschi che ricoprivano le pendici collinari. Nel medioevo i templi furono sostituiti dalle abbazie di S.Angelo in Formis e di S. Pietro ad Montes ed inoltre si moltiplicarono i nuclei urbani pedemontani aventi chiese parrocchiali.
La zona con i Borbone divenne un sito prediletto per le battute reali di caccia al cinghiale la “Reale Riserva del Tifata“, acquistata da Carlo III di Borbone che Ferdinando IV riunì sotto le dipendenze dell’Amministrazione di San Leucio. Francesco I, che spesso si recava in quei luoghi a caccia, invece fece ripristinare le colture ad olivi e piantare gli alberi silvestri nelle parti di bosco degradate.
Il territorio della Real Riserva di San Leucio comprendeva invece il Monte San Leucio, Montemajulo e Montebriano, queste ultime formavano il territorio del sito di San Silvestro. Ferdinando IV nel 1773 fece incrementare i castagni e destinò il bosco alla caccia ai cinghiali e delimitò la zona con un muro di cinta, separandola dai terreni vicini per evitare che le belve provocassero danni alle coltivazioni. Ma nel 1822 i cinghiali furono tolti dalla tenuta perché dannosi alla vegetazione e nel 1826 furono portati di nuovo nel bosco per ordine di Francesco I che li aveva fatti arrivare dalla Sicilia.
Anche questo monte si presentava molto più ricco di vegetazione rispetto ad oggi, fatta eccezione per le pendici del versante sud e per le zone intorno al Casino Reale della Vaccheria. Dalle carte topografiche antiche risulta la presenza di coltivazioni e radure intorno al Setificio e al futuro quartiere adibito a colonia per gli operai, nel versante sud. Il bosco di Monte San Leucio forniva inoltre una notevole rendita di legname infatti l’area boschiva era divisa in 19 sezioni ed ogni anno ne veniva tagliata una. La cura dei boschi era molto articolata infatti ogni area aveva il proprio gruppo di boscaioli addetti a tagliare la legna, pulire i sentieri e dar da mangiare agli animali e generalmente il boscaiolo viveva con la sua famiglia in un villino all’interno del bosco.
Nota è la destinazione agricola e di pastorizia che ebbe la Real Tenuta di San Silvestro rispetto al Monte San Leucio vocato, invece, all’attività venatoria. Infatti la caccia in questi boschi si limitava alla cosiddetta “Caccetta del Carpineto” in qui re Ferdinando IV praticava la caccia con le reti al beccafico, un uccello che vive in zone aperte in prossimità di foreste. Inoltre la tenuta di San Silvestro era coltivata soprattutto ad olivi e vigne, tra cui spicca la famosa “Vigna del Ventaglio” e presenti erano anche frutteti e giardini pensili in prossimità del Reale Casino di Caccia di San Silvestro.
I sovrani borbonici sceglievano con cura i luoghi dove praticare la caccia e quindi ideali per una particolare selvaggina, misure adottate con precisi criteri. Oggi purtroppo la zona si presenta molto diversa rispetto ai fasti borbonici, esiste una riserva naturale del WWF all’interno del Bosco di San Silvestro, ma intorno l’area si presenta molto più urbanizzata e meno ricca di flora e fauna selvatica.
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segnalato da Chiara Foti