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Le teorie I più convinti razzisti antimeridionali? Meridionali e socialisti

Posted by on Dic 3, 2017

Le teorie I più convinti razzisti antimeridionali? Meridionali e socialisti

Il veronese Cesare Lombroso era razzista, e le sue teorie hanno avuto un ruolo decisivo nel diffondere lo stereotipo della «stirpe terrona», inferiore e quindi naturalmente lazzarona. Ok. Ma i «meridionali» riuniti in Facebook e intenzionati a marciare per protesta sul museo lombrosiano di Torino, riaperto da poco, dovrebbero considerare anche il «nemico interno».
Infatti non è più un mistero: tra i principali sostenitori delle suddette idee c’erano diversi meridionali, spesso socialisti. Prendiamo ad esempio Alfredo Niceforo, discepolo di Lombroso, nato a Castiglione di Sicilia nel 1876. Accanto ad appassionati richiami allo Stato sociale e alla sbandierata necessità di superare la proprietà privata, Niceforo impostava la questione meridionale in termini puramente antropologici. Il clima spossante «si è cristallizzato nei tessuti degli individui», e quindi «nel Sud ogni organamento sociale è impossibile». Voilà. Poi Niceforo si spinge fino a ipotizzare la presenza in Italia di due razze: una euroasiatica (cioè «ariana») al Nord e una euroafricana (cioè «negroide») al Sud. Ma le sue parole sono senz’altro più eloquenti: «La razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiorno d’Italia dovrebbe essere trattata ugualmente col ferro e col fuoco – dannata alla morte come le razze inferiori dell’Africa, dell’Australia, ecc.». Anche Giuseppe Sergi era razzista come Niceforo. E come Niceforo era siciliano, essendo nato a Messina nel 1841. Sergi distingue tra «brachicefali» e «dolicocefali». I primi sono membri di una «razza superiore, evoluta, nordica». I secondi, col «cranio» troppo «lungo», appartengono alla «razza inferiore, degenerata, mediterranea».
Il caso più discusso è però quello di Giustino Fortunato, grande storico, nato a Rionero in Vulture (Basilicata) nel 1848, meridionalista acceso, uomo politico moderato e strenuo oppositore di Benito Mussolini. Anch’egli non era immune dai pregiudizi tipici del positivismo, se proprio non vogliamo usare la parola «razzismo», come alcuni studiosi, nel suo caso, ritengono inopportuno. Nel 1904 Fortunato, di fronte al fallimento dello Stato unitario, giustificava così il ritardo del Sud: «Sospetto che essendo il grado di sviluppo fisico e morale di un popolo correlativo alle condizioni di clima e di suolo, le cause del ritardato progresso fossero particolarmente da ricercare in queste». Inoltre, a Fortunato sembrava che nella penisola convivessero «due stirpi originariamente dissimili, l’una prevalente al Nord, l’altra al Sud del parallelo di Roma, bionda e di statura alta la prima, bruna e di viso ovale la seconda, sottoposte a ineguale vicenda di nascita, di vita e di morte, a un diverso atteggiamento dello spirito e dell’intelletto».
Chi fosse interessato, può ricostruire l’intera storia dell’antimeridionalismo meridionale leggendo Bassa Italia (Guida editore, 2008) di Marco Demarco, direttore del Corriere del Mezzogiorno (da lì vengono le citazioni in questo articolo). Il libro mette in luce due caratteristiche complementari della classe dirigente sudista. Quando è in difficoltà si autoassolve attribuendo la colpa al popolo: se è antropologicamente diverso, se manca di coscienza civile, che ci vuoi fare? Alla natura non c’è rimedio. Quando è in sella passa alla orgogliosa ma acritica autocelebrazione, come accadde all’epoca del famoso «Rinascimento» bassoliniano, in cui Napoli assunse le sembianze irreali di una capitale meticcia e mediterranea, lontana dalle metropoli industriali del Nord per scelta e destino storico. Un bel sogno finito dritto dritto nella spazzatura.

Alessandro Gnocchi

fonte

ilgiornale.it

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