Le vaccinazioni nel Regno delle Due Sicilie: un primato dei Borbone
In Italia il fronte antivaccini è una corazzata agguerrita. Per questa ragione tante polemiche sta suscitando la decisione del Ministro Lorenzin di procedere ad un Decreto Legge che obblighi di fatto i genitori a vaccinare i propri figli. Le sanzioni per chi iscrive i propri figli da 0 a 16 anni in qualsiasi istituto, senza averli sottoposti ai vaccini previsti per legge e rifiutandosi di vaccinarli anche dopo l’iscrizione, sono altissime. Qualcosa del genere accadde anche nel 1821 a Napoli, e nel Regno delle Due Sicilie.
Non c’era Gentiloni, c’era Ferdinando I di Borbone. Non c’era la Lorenzin, c’era Giambatista Vecchione, in veste di Direttore della Real Segreteria di Stato degli Affari Interni, anziché Ministro della Salute. La pratica della vaccinazione era agli albori, inaugurata nella seconda metà del 1700. Ma i risultati ottenuti sembravano annunciare sin da subito un’epoca di straordinari miglioramenti sotto il profilo della salute pubblica.
Quella sanità pubblica di cui nella seconda metà del 1700 si cominciò a definire l’assetto, per provare ad arginare le epidemie che scoppiavano ad intervalli regolari, e sterminavano fette consistenti di popolazioni. Già nel 1751 si definirono meglio i controlli sanitari via mare e via terra, differenziandone compiti e competenze.
Ma fu nel 1819 che per legge Ferdinando istituì due figure chiave nell’ambito della salute pubblica, e ne estese funzioni, declinazioni, e ramificazioni a tutto il Regno delle Due Sicilie: il Supremo Magistrato di Salute Pubblica ed la Soprintendenza Generale, dipendenti dal Ministero dell’Interno; il primo con funzioni deliberative, la seconda con funzioni esecutive.
I problemi cui dovevano far fronte avevano nomi che evocavano sciagura: peste, vaiolo, e più tardi colera. Il vaiolo, in particolare, nel 1700 aveva mietuto in Europa ben sessanta milioni di vittime, soprattutto bambini. Se non morivano di questa terribile malattia, ne venivano spesso segnati indelebilmente, con deformazioni e tumefazioni diffuse su tutto il corpo.
Il vaccino in grado di arginare questa malattia fu ideato nel 1700. La sua diffusione fu ostacolata soprattutto a causa di quelle madri che vedevano nell’ingerenza della scienza e della medicina, una mancanza di rispetto nei confronti della volontà divina. Una posizione che sembrò confermata dalla Chiesa, nella persona di Papa Leone XII, al quale vengono attribuite parole dure nei confronti dei vaccini (ma mancano documenti ufficiali che le attestino).
Sul fronte politico, invece, le potenzialità dei vaccini furono accolte con immediata fiducia. E nel Regno delle Due Sicilie partirono senza indugi già dal 1777. Con la breve parentesi napoleonica fu istituito nel 1807 un Comitato Centrale di Vaccinazione, trasformato poi da Ferdinando in Istituto Centrale Vaccinico Napoletano, con succursali in tutte le province del regno.
Interessantissima risulta a questo proposito la relazione fornita dal Ministro degli Affari Interni nel 1820, a proposito dei vaccini. Dopo aver riconosciuto enormi meriti all’istituzione napoleonica del Comitato Centrale di Vaccinazione, il Ministro enumera dati: “Durante dieci anni, a contare dal 1808 e sino al 1818, le vaccinazioni eseguite per mezzo della Commissione della capitale, delle società vacciniche provinciali, e de vaccinatori sparsi in tutto il regno ascendono a 280055”.
Il Ministro stimava inoltre che “che con vaccinarne 280055, se ne sieno salvati dalla morte 47489;5.º e che se ne sarebbero salvati altri 270769 che verisimilmente sono periti, se il metodo della vaccinazione si fosse loro applicato”. Vengono citate anche tutte le difficoltà incontrate nel superare gli scetticismi della popolazione, e richiesta un’azione del governo che alimentasse ulteriormente gli ottimi risultati.
L’azione del governo giunge l’anno successivo. Nel 1821 Ferdinando stabilisce per Decreto Regio che i bambini andavano vaccinati per legge contro il vaiolo. Leggere nel dettaglio il testo di quella legge ha oggi un che di già sentito: il sovrano tentava infatti di scoraggiare il fronte antivaccino, e di persuadere gli scettici con incentivi non da poco.
Il Decreto n.141 del 6 Novembre 1821, decreto “riguardante la inoculazione del vaccino vajuolo”, si componeva di 9 articoli (7, se si considera il carattere riassuntivo degli ultimi due). Le sorprese contenute in questo testo giuridico sono numerose, e strapperanno ad alcuni un sorriso, ad altri una riflessione, ma in ogni caso val la pena darci uno sguardo.
L’articolo 1 puniva “tutti coloro i quali han tenuto riprensibile condotta di trascurare la vaccinazione onde preservare la propria prole” con l’impossibilità d’accesso ad ogni forma di assistenza economica di qualsivoglia istituzione del regno. Per accedere dovevano esibire documenti che attestavano l’avvenuta vaccinazione dei bambini e di tutti i membri della famiglia.
L’articolo 2 sanciva che il documento dovesse essere redatto ed approntato dal parroco, il quale aveva l’obbligo di registrare il nome del vaccinato, la data, e un “id” univoco della vaccinazione, per evitare furti o scambi di identità, e rendere quella vaccinazione un unicum irriciclabile.
L’articolo 3 ripercorreva il famoso editto napoleonico secondo cui i morti andavano sepolti fuori dalle mura della città, per evitare il diffondersi di malattie ed epidemie. Stabiliva infatti che i morti di vaiolo “saranno seppellite in chiese poste fuori dall’abitato, senza pompa funebre, e chiuse in un feretro per non diffondere il contagio fra gli abitanti”.
L’articolo 4 stabiliva che gli istituti preposti alla cura dei bambini disagiati vaccinassero i loro piccoli ospiti entro il primo mese. Se i controlli effettuati non avessero riscontrato questa pratica debitamente documentata, i responsabili sarebbero stati rimossi dai loro incarichi, e avrebbero pagato per sempre le spese mediche dei bambini accolti senza vaccinazione.
L’articolo 5 consisteva di fatto in un concorso a premi! I parroci, tenuti a mantenere aggiornati i loro registri dei vaccinati, ogni anno avrebbero messo in un’urna tutti i nomi, da cui sarebbe stato estratto il nome di un fortunato vincitore che avrebbe goduto di una cospicua premiazione in denaro.
Con l’articolo 6 Ferdinando auspicava che la rete dei vaccinatori potesse incrementarsi, arricchirsi di nuove professionalità, regolamentarsi, grazie all’impegno (anche di natura economica) della Commissione Centrale di Valutazione, incaricata di fare in modo che le vaccinazioni coinvolgessero un numero sempre maggiore di sudditi.
L’articolo 7 è oggi fuori da ogni decenza. Ma allora il sovrano poteva ben permettersi di invitare pubblicamente il clero a pubblicizzare i vaccini nelle omelie e nelle occasioni pubbliche più disparate, ricorrendo persino alla minaccia di ripercussioni divine, in caso di ostinazione a vivere in regime di colpa. Non vaccinare i propri figli avrebbe, insomma, irritato Dio.
Alessia Mancini
fonte
comitatiduesicilie.it
C’è solo una “piccola” differenza: all’epoca borbonica si obbligava la popolazione alla vaccinazione per il suo bene; adesso, la si obbliga per il “bene” delle multinazionali farmaceutiche che producono il siero…