LEONZIO PILATO (Maestro di greco di Boccaccio e traduttore delle opere di Omero)
Il grande monaco basiliano Leonzio Pilato nacque a Seminara intorno al 1310. Discepolo di un altro grande monaco basiliano, Barlaam, Leonzio Pilato fu uno dei primi promotori dello studio della lingua greca nell’Europa Occidentale e fu anche il traduttore, su incarico di Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, delle opere di Omero in prosa latina.
Grazie alle citate traduzioni diventò importante e conosciuto nei salotti culturali italiani. Fu maestro di greco di Giovanni Boccaccio e gli fornì, inoltre, il materiale per la sua opera Genealogia deorum gentilium libri, inerente la dinastia degli dei pagani.
La figura di Leonzio Pilato è rimasta per secoli nelle tenebri in quanto i suoi manoscritti e le notizie su di lui sono rimasti nelle biblioteche o andate perdute. Si conosce perciò poco della sua vita prima dell’incontro che ebbe con Boccaccio e con Petrarca. Si sa che da giovane si guadagnò, presso i dotti dell’Italia meridionale, una certa reputazione come esperto di mitologia. Infatti, Paolo da Perugia nel suo commento al poeta satirico romano Aulo Persio Flacco citò il Leonzio a proposito del mito di Penteo, re di Tebe. Poiché Paolo da Perugia morì a Napoli durante la pestilenza del 1348 ed essendo il commento a Persio opera degli ultimi anni della sua vita, si può supporre che Paolo abbia appreso l’opinione di Leonzio, attraverso Barlaam, intorno al 1341.
Leonzio Pilato, attratto dall’amore che provava per la sua patria letteraria, amava definirsi “Tessalo come il grande Achille”. L’origine calabrese del monaco basiliano è però certa. Infatti, in una famosa lettera indirizzata a Boccaccio, Petrarca ne individua l’origine come assolutamente calabrese: “Il nostro Leonzio è davvero Calabrese, ma egli stesso vuol definirsi Tessalo, come se fosse più nobile esser greco che italiano”. Nel 1342 Barlaam, l’altro grande monaco Calabrese, dopo essere stato nominato vescovo di Gerace volle come suo allievo proprio Leonzio Pilato. Il Maestro gli trasmise, la lingua, la letteratura greca e l’amore per i viaggi, fondamentali per approfondire la sua cultura.
Lasciata, insieme al suo maestro Barlaam la Calabria, Leonzio Pilato fu ospite, non sempre gradito per il suo rude carattere, delle corti umanistiche più in vista: nella Napoli di Roberto d’Angiò conobbe per la prima volta Giovanni Boccaccio, definito “il suo discepolo più amato”; a Padova conobbe invece Francesco Petrarca. A Firenze, Siena e Venezia, conobbe altri importanti uomini di cultura e apprese del Digesto di Giustiniano, compilazione in 50 libri di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico dell’imperatore Giustiniano. Verso il 1350 Leonzio si recò a Creta, per migliorare la sua conoscenza del greco classico. Nell’inverno del 1358 Leonzio si recò per studio a Padova, dove un giurista lo presentò a Petrarca che era alla ricerca di un traduttore delle opere di Omero: Leonzio iniziò a tradurre i primi cinque libri dell’Iliade ma dovette interrompe il lavoro per recarsi ad Avignone sulla tomba del suo maestro Barlaam, morto di peste. Nel 1359 si spostò a Venezia dove lo raggiunse Giovanni Boccaccio nel tentativo di trattenerlo in Italia per continuare le traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea. Per convincerlo gli promise la cattedra di greco presso lo Studium della città di Firenze e uno stipendio.
Poiché le lezioni iniziavano il 18 ottobre di ogni anno, Leonzio continuò le traduzioni dall’autunno del 1360 fino al 1362. Nello stesso periodo tradusse brani di Euripide, di Omero e forse di Aristotele. Nel novembre del 1362 Leonzio andò da Petrarca a Venezia, dove ritornò pochi mesi dopo per consegnargli le opere tradotte e commentate. Quindi si imbarcò per Costantinopoli, da lui prescelta per la continuazione dei suoi studi. Non passò molto tempo e il Petrarca ricevette una lettera dal Leonzio che lo supplicava di aiutarlo a ritornare a Venezia. Sulla via del ritorno da Bisanzio, nel dicembre del 1365, la sua nave però subì un naufragio in prossimità del golfo di Venezia. Leonzio morì colpito da un fulmine e insieme a lui sparirono i suoi preziosi libri che aveva con sé.
Francesco Antonio Cefalì
Francesco carissimo, sei, per me, il più attendibile dei ricercatori italiani, complimenti sempre e affettuosissimi saluti!
rincorrendo un traduttore ricercatissimo ci si rende conto che ci fu un tempo felice per la cultura dalla Sicilia a Venezia se tutti cercavano un traduttore per conoscere le opere antiche che costituivano il vero patrimonio del sapere… caterina ossi