L’Inno borbonico scritto da Giuseppe Verdi
“Padania” e Regno delle
Due Sicilie hanno solo una cosa in comune: l’autore dell’inno nazionale.
Certo, è una battuta provocatoria. Ma le cose diventano
ancora più paradossali se si pensa che l’autore delle musiche in questione è
Giuseppe Verdi, uno dei padri dell’Unità d’Italia.
Chissà cosa direbbero i nostalgici della Lega Lombarda se
sapessero che proprio Verdi, nel 1848, scrisse un inno chiamato “La Patria – dedicato a
Ferdinando II di Borbone“: avrebbe dovuto sostituire lo storico inno di
Giovanni aisiello.
Re Ferdinando è salutato come padre della patria ed il testo
finisce con un coro di “Viva il Re!“.
Bisogna
contestualizzare la situazione storica: l’inno fu scritto dopo le rivolte del
1848, quando tutta Europa si sollevò contro le monarchie. Anche a Napoli ci
furono numerose manifestazioni contro Ferdinando II, tanto da costringerlo ad
emanare una costituzione (che poi fu revocata l’anno dopo).
In tempi di rinnovamento, probabilmente, si pensò che anche l’inno storico
scritto sotto Ferdinando IV dovesse essere cambiato.
Ed ecco che quindi le musiche dell’Ernani, un’opera composta pochi anni prima
da Verdi, furono arricchite con le parole di Michele Cucciniello:
Bella
Patria del sangue versato
se fumanti rosseggian le
impronte
non
più spine ti strazian la
fronte
il martirio la palma fruttò
Viva il Re!
Viva il Re!
Viva il Re!
L’inno fu però presto dimenticato in quanto, per tradizione, rimase ufficiale la musica di Paisiello. Il lavoro di Verdi fu ritrovato solo nel 1973, più di cento anni dopo dalla caduta del Regno, per mano del maestro Roberto de Simone, che scavò negli immensi archivi del Conservatorio di San Pietro a Majella e studiò le origini di questa storia, che altrimenti avremmo dimenticato.
Verdi era borbonico?
I conti non
tornano: Verdi fu uno dei più appassionati sostenitori dell’Unità d’Italia,
oggi sono dedicate a lui piazze, strade e monumenti. Com’è possibile che
vent’anni prima dell’unità sosteneva la monarchia di Napoli?
Alcuni autorevoli studiosi, fra cui l’istituto di Studi Verdiani, credono che
l’inno “La Patria” sia un plagio clandestino di un testo mai autorizzato. È
effettivamente strano che Verdi, forte sostenitore di Mazzini, abbia appoggiato
la politica borbonica. Oltretutto il compositore si trovava a Parigi nel 1848.
Michele Coccia, invece, affermò di aver trovato anche le carte in cui si poteva
leggere chiaramente il consenso del compositore per la diffusione della sua
opera, di fatto riconoscendola come originale. E se anche non ci fossero stati
riconoscimenti, l’inno di Verdi era sicuramente molto conosciuto a Napoli.
Oltretutto, quando il compositore di Busseto diventò senatore, si batté molto
per promuovere leggi sul diritto d’autore e per tutelarsi dai numerosissimi
plagi che aveva subito nella sua carriera. Se anche l’inno borbonico fosse
stato fra questi, probabilmente, Verdi ne avrebbe in qualche modo parlato.
Ci sono anche quelli che, come lo storico Pasquale Galasso ed il maestro De
Simone, vedono in Verdi un “opportunismo”: l’Italia stava per cominciare il suo
processo di unificazione e tutti gli intellettuali del paese si sarebbero
affidati a qualunque monarca disposto a compiere l’impresa. E Verdi provò ad
ingraziarsi anche il re di Napoli.
In effetti, ancor prima che cominciasse il processo unitario, a Ferdinando II
fu proposto di unificare l’Italia, ma il monarca non prese mai in
considerazione questa ipotesi per evitare conflitti con Roma.
E
così, in un duello fra immaginazione e storia, Lega Nord e Regno di Napoli
hanno avuto in comune l’autore dei propri inni.
Per l’immaginaria Padania, ovviamente, il discorso è un po’ diverso: l’aria del
“Va,
pensiero” fu adottata da Bossi quando il buon Giuseppe Verdi era
morto da ben ottant’anni.
Federico Quagliuolo