L’insurrezione lucana nel 1860. Dai Borboni ai Piemontesi. La fine di un regno
I brani di autori riportati, che ci danno un quadra molto significativo della situazione della nostra regione, sono di grande aiuto per cercare di far luce sul male endemico del brigantaggio, che e affiorato tante volte lungo il corso della storia, ma che e esploso in tutta la sua virulenza dopo il conseguimento dell’unita d’Italia.
La Basilicata e stata sempre terra di feudi e non di città; la mancanza di
città come centri propulsori di vita economica e culturale, e stata senza
dubbio la causa principale che ha costretto il nostro mezzogiorno ad essere
annoverato tra le zone più arretrate; vi sono stati solo centri amministrativi
e burocratici, unica eccezione Napoli.
Questa situazione caratteristica del mezzogiorno era accentuata maggiormente
nella nostra Basilicata, che non ha mai avuto un centro dinamico, che
possedesse la forza di imporre il suo prestigio e cosi elevarsi al di sopra del
particolarismo delle sue “Terre”, per poter eliminare le conseguenze
deleterie del frazionamento. Ancora oggi poli di attrazione per la nostra zona
sono sempre Napoli e Bari. Il mare lambisce per breve tratto le sponde della
Basilicata, ma non ha mai arrecato i benefici che i paesi costieri ne ricavano;
non solo mancano gli incentivi, le novità, le aperture, ma addirittura il mare
diventa elemento estraneo di chiusura, per la paura dei pericoli della
Pirateria. Incontrastato e pertanto il predominio della montagna, che se
assicura per il momento protezione contro le varie invasioni, accentua per
sempre di più l’isolamento e la chiusura. Le comunità locali, arroccate sui
cucuzzoli della montagna, scendono a valle solo per la coltivazione dei campi,
con un’unica e misera prospettiva: il poter ricavare da quel lavoro il minimo
per la sopravvivenza. Tutte queste situazioni non possono garantire alla
Basilicata una sua omogeneità, per cui ogni raggruppamento vive la sua storia,
racchiusa e circoscritta dal proprio orizzonte.
La posizione geografica, la secolare mancanza di comunicazioni con le altre
regioni d’Italia hanno purtroppo sempre caratterizzato l’emarginazione dei
nostri paesi, ma non hanno fiaccato del tutto lo spirito indomito degli uomini
più avveduti che hanno sempre tentato di rompere l’isolamento e cercato di aprirsi
alle novità che si annunziavano nelle altre
regioni d’Italia.
La Basilicata esce dal suo isolamento (simboleggiato dalla strada rotabile che
giunge a toccare Potenza solo nel 1818). Si ricollega alle grandi linee della
storia meridionale, partecipa con i suoi uomini migliori a tutte le principali
vicende politico sociali che accompagnano la vita del regno, da il suo
contributo alla formazione dell’unita nazionale (Cestaro).
Nel 1799, nel 1821, nel 1848 bagliori di luce hanno cercato di squarciare le
tenebre: Mario Pagano, Michele Granata, Emilio Maffei, Rocco Brienza… sono
soltanto alcuni dei numerosi patrioti che hanno, pagando spesso anche con la
vita, guidato i primi tentativi di emancipazione.
Nel 1857 si annunzia una sommossa di proporzioni più vaste, ma l’eroico gesto
di Carlo Pisacane non consegue risultati incoraggianti, forse anche perchè al
comitato lucano di Montemurro, in corrispondenza segreta con Mazzini a Londra e
con i comitati di Napoli, non giunge in tempo la notizia dello sbarco e
l’impresa fallisce miseramente sul nascere. In proposito scrive Ciasca:
“La responsabilità degli avvenimenti che contrassegnarono la spedizione di
Pisacane a Sapri nel 1857, cosi come si svolsero, non è da imputare all’Albini
o al Centro insurrezionale in Basilicata”.
Questo episodio spegne la vita del Pisacane e dei suoi eroici compagni, ma non
l’ardore indomito di Giacinto Albini, che, per garanzia di sicurezza, nel
frattempo trasferisce il comitato a Corleto Perticara e per due anni diventa
l’infaticabile organizzatore del movimento insurrezionale della Provincia.
I 124 paesi e due villaggi, Ginestra e Banzi, che la compongono sono riuniti in
dieci gruppi: Rotonda, Castelsaraceno, Senise, Tramutola, Miglionico,
Tricarico, Genzano, Avigliano, Potenza, Corleto. Come capi di ogni gruppo
vengono scelti distintissimi patrioti. Del comitato di Avigliano fanno parte:
Avigliano, Ruoti, Balvano, Baragiano, Muro, Bella. Castelgrande, Sanfele,
Pescopagano, Rapone. Ruvo, Atella. Rionero, Barile, Rapolla, Ginestra,
Ripacandida, Melfi. L’attività del comitato di Corleto è intensa, in casa
Senise si cura il collegamento con tutti i paesi; tutti i componenti della
famiglia collaborano sotto la spinta dinamica di Carmine Senise.
Lo sbarco del generale Cosenz in Sicilia, anziché nelle nostre regioni,
continue indecisioni di Napoli fanno fremere il comitato di Corleto che scrive:
“Un vostro sforzo, non straordinario nel provvedere a tutte le su notate
esigenze, e la rivoluzione sarà compiuta, non perchè un urto non di gran numero
basta a rovesciare l’attuale governo…”e ancora “Tutto si faccia
subito, e diciamolo una volta, che se ‘I Regno incodardirà assonnandosi, la
colpa non sarà delle Provincie, non della Basilicata cosi ben disposta, ma di
Napoli, a cui finalmente non si chiede un impossibile, ma un poco di energia, e
qualche giusto e possibile provvedimento”.
Il costante tentennamento del Comitato di Napoli, screzi personali tra i
componenti del comitato stesso mettono di nuovo in allarme i patrioti di Corleto,
che, impazienti, scrivono lettere di fuoco; in particolare in data 1 agosto:
“Questo prolungamento di cose, a dire il vero, comincia ad ingenerare
seccaggine ed impazienza: sebbene siamo persuasissimi della vostra indomata
energia a toglierci quanto prima da questo stato di sedentarietà, che
all’ultimo ci farebbe divenire podagrosi”.
La Basilicata, per la prerogativa dei suoi monti e per la ricchezza delle sue
boscaglie, sembra la più indicata alla guerra per bande ed e soprattutto la più
bollente, la più decisa a rompere gli indugi. Nicola Mancusi, sacerdote e
responsabile del comitato di Avigliano, fin dall’ottobre del 1859 comprende
l’importanza di scegliere Rionero come centro della sua missione, per
l’entusiasmo della classe media e per l’imponenza sul paesi dei
dintorni.
A Rionero infatti nel giugno del 1860 viene istallato il comitato che, a sua
volta, provvede a costituire quello di Atella, Barile, Rapolla e Melfi; solo in
Ripacandida non è possibile riuscirvi. Dal comitato di Avigliano dal segretario
Nicola Summa vengono inviate circolari stilate con una scrittura invisibile,
usando una composizione chimica a base di olio vetriuolo; viene pertanto
garantito l’appoggio incondizionato di tutta la zona del Vulture alla ormai
imminente insurrezione lucana.
Garibaldi e da lungo tempo inattivo in Sicilia, implicanze internazionali,
interessi nascosti, contrasti e vedute diverse ritardano il compimento
dell’opera. Il comitato insurrezionale lucano questa volta ha forse una parte
determinante: non può più attendere e fissa l’inizio dell’insurrezione per il
18 agosto.
A Rionero la sera del giorno prima, il 17 agosto, il sindaco Giuseppe Mlchele
Giannattasio, con il quadro di Garibaldi in mano, scende in piazza al grido di
“Viva Garibaldi”; gli animi si accendono e a tarda sera il suddetto
sindaco Giannattasio, Emanuele Brienza, Canlo Musio, Nicola Mennella, Achille
D’Andrea, Achille Pierro, Francesco Pennella e Costantino Vitelli, alla testa
di un drappello di 54 volontari prendono la strada di Potenza. Invitano da
Avigliano quelli del melfese a concentrarsi verso la zona del monte Carmine
nella cappella del Santuario della Madonna del Carmelo «il prete don Andrea De
Carlo celebra la S. Messa e benedice la bandiera tricolore».
Poco dopo giunge il gruppo del melfese con alla testa Decio Lordi, quindi tutti
in un’unica colonna al comando di Nicola Mancusi si avviano verso Potenza. La
scintilla dell’insurrezione lucana si accende con la sua carica di entusiasmo e
pone prepotentemente le premesse per l’ultimo balzo verso l’unita d’Italia.
Tutti i gruppi dei volontari dei vari comitati raggiungono Potenza che insorge
e affida alla storia la data del 18 agosto come contributo lucano per l’unita.
Il giorno dopo 19 agosto nasce il governo prodittatoriale della Provincia con
Mignogna e Albini.
“La Basilicata, questa terra di antiche memorie è insorta. L’incendio è
scoppiato nel cuore delle provincie messe al di qua del faro. L’antica Lucania
è già provincia del regno d’Italia. Ecco la prima pagina di questa nuova
storia” (dal corriere lucano del 23 agosto 1860).
Di riflesso, o casualità, nella notte tra il 19 e 20 agosto Garibaldi sbarca
sulla spiaggia di Melito e la mattina del 20 si incammina verso Reggio. Due
generali cercano di contrastare la sua marcia, Caldarelli e Ghio, ma avendo di
fronte Garibaldi e alle spalle gli insorti lucani, presto depongono le armi, il
Caldarelli il 25 agosto, il Ghio il 30 agosto, e cosi 23 mila regii si
arrendono e si sbandano.
Il 2 settembre Garibaldi tocca Rotonda, primo paese della Basilicata. Intanto,
sotto la guida di Floriano Del Zio, tutti i comuni della zona del Vulture si
affrettano a costituire giunte insurrezionali, composte da alcuni individui,
noti “per fede patriottica ed energia”.
Una delegazione lucana il 4 settembre ha l’onore di incontrarsi col dittatore
al “Fortino” di Lagonegro, dove Albini, in riconoscimento del
notevole contributo dato, viene nominato governatore della Basilicata. Mignogna
consegna 6.000 ducati, dono prezioso dei lucani per la difficile contingenza in
cui si trovava il dittatore.
Questo episodio ricollega simbolicamente due eventi storici: “in quelle
valli echeggiarono Ire anni prima i colpi di fucile che disperdevano gli arditi
precursori del nostro giorno, guidati da Pisacane”. Garibaldi
ordina che “le prodi
schiere lucane lo seguano nel
compimento dei patri destini” e viene formata la brigata dei cacciatori
lucani, che il 19 settembre in Napoli sfila, scrive il Riviello” “con
marziale disinvoltura, lungo via Toledo, fra gli applausi fragorosi di quel
popolo cosi caldo di entusiasmo”.
Ai lucani tocca l’ambito onore di andare innanzi agli altri, perchè “ben
si riconosce che essi sono stati i primi a iniziare la rivoluzione nelle
provincie meridionali”. “Si – dirà Garibaldi – so il vostro
patriottismo. Dite ai vostri lucani che li preferirò sempre. Credete a me che
ho combattuto con uomini disciplinati e con borghesi, e se questi hanno avuto
valore sono stati i più terribili. lo vi stimo come il primo corpo disciplinato
e vi terrò avanti a tutti”.
Il clero lucano è in prima linea, è presente in tutte le giunte insurrezionali
e nei comitati. Mancusi, Mennella, D’Andrea e numerosi altri sacerdoti, alla
guida del popolo lucano danno un valido contributo alla realizzazione del sogno
dell’unita d’Italia, perchè credono negli ideali e valori di fratellanza, anche
se saranno di breve durata.
Anche questa volta però il popolo lucano ben presto vede deluse le sue speranze
di inserimento nella nazione, continuando a subire l’emarginazione di sempre,
più amara questa volta, perchè, dopo aver dato un valido contributo di
sacrifici e di sangue, si vede costretto, dopo pochi mesi dall’unità, accettata
ufficialmente col plebiscito, ma non nella realtà della vita, a inficiarla e a
metterla in profonda crisi con la violenza e altro spargimento di sangue
fraterno, per tentare di distruggere con tutta la rabbia della disperazione
quello che con tanta passione aveva faticosamente costruito.
Dirà dopo molti anni don Giuseppe De Luca: «lo sono dell’Italia meno italiana che esiste, dell’ultima Italia che si stende verso l’Africa e la Grecia, stata gran tempo sinora albergo di varii signori, e mai casa nostra soltanto, sicché sembriamo, noi, senza volto o almeno nessuno ce ne riconosce uno».
di Carlo Palestina
https://www.eleaml.org/sud/den_spada/palestina02insurrezione.html