L’istruzione ai tempi del Regno delle Due Sicilie
L’istruzione ai tempi del Regno delle Due Sicilie è un tema spesso oggetto di mistificazioni, che hanno permesso la costruzione di una serie di falsi storici, finalizzati ad aggiungersi all’enorme produzione storiografica e non, che, dal risorgimento in poi, ha avuto quale obiettivo lo svilimento e la demonizzazione della società e del sapere “meridionale”, nell’ottica di quel processo di annichilimento culturale e identitario dei “popoli del Sud”, che fu strumentale alla formazione e al consolidamento dello Stato italiano.
Nel 2011, in occasione del ciclo di conferenze “Altri Risorgimenti”, organizzato del Centro Studi Civitanovesi di Civitanova Marche, si è tenuto il convegno “Il Regno dei Borbone, palestra pedagogica e scuola d’eccellenza“, retto dal prof. Giuseppe Fioravanti, già Ordinario all’Università Suor Orsola Benincasa e all’Università La Sapienza, che ha tentato, riuscendovi, di fare chiarezza e demistificare la visione indotta e stereotipata di un Paese, le Due Sicilie, e delle sue popolazioni tenute, a detta dei loro detrattori, nell’ignoranza, per poter essere meglio sottomesse e controllate.
La pubblica istruzione nelle Due Sicilie era organizzata secondo un sistema che vedeva al livello più elevato le quattro Università del Regno, ovvero Napoli, Palermo, Messina e Catania. Gli istituti scolastici, invece, erano i Reali Licei e i Reali Collegi, i seminari e le scuole secondarie (presenti nei principali comuni) e primarie (presenti in tutti i comuni). Nello specifico, l’istruzione pubblica elementare era gratuita e soggetta a regolari ispezioni. In generale, nel sistema scolastico, veniva applicato in maniera scrupolosa il criterio meritocratico: il docente per il quale fossero state accertate una preparazione culturale inadeguata o una scarsa etica professionale, aspetti questi che potevano compromettere il funzionamento dell’istruzione pubblica, sarebbe stato destituito.
Inoltre, era davvero elevata la presenza di scuole private, nelle quali, l’accesso all’istruzione era sia gratuito, sia a pagamento. Nel caso delle scuole tenute dall’Ordine degli Scolopi, ad esempio, l’accesso era non solo gratuito, ma riservato esclusivamente ai poveri, condizione di povertà che doveva essere attestata da certificazione rilasciata dal sindaco o dalle autorità ecclesiastiche. Le scuole tenute dall’Ordine dei Gesuiti, invece, erano a pagamento, ma una quota degli accessi era basata su un sistema di borse di studio, per cui lo studente povero poteva inoltrare richiesta direttamente al Sovrano, che assegnava borse di studio totali (definite “piazze”) o parziali, ovvero a copertura del 50% della retta scolastica (definite “mezze piazze”).
Alla base del sistema d’istruzione non vi era il concetto di “sforzo”, tipico della concezione “gnostica spuria”, ma quelli d’impegno e di passione. Ad esempio, al bambino, che per sua fisiologia non può esercitare con la mano la medesima pressione esercitata da un adulto, veniva insegnato a scrivere prima con una matita e poi con una penna che consentiva la trazione, ma che non richiedeva una pressione sproporzionata alla forza del fanciullo.
Non esisteva un programma scolastico, ma un quadro d’insegnamento, un vero e proprio schema dove venivano dichiarate e, dunque, esposte , suddivise per area tematica, le materie di studio e il tipo di impostazione didattica che sarebbe stata seguita. Le materie di studio scelte tentavano di assecondare l’interesse degli studenti in base alle diverse fasce d’età. Dall’analisi di tali quadri di insegnamento si evince, ad esempio, che nelle scuole tenute dall’Ordine degli Scolopi, l’anatomia era tra le discipline che si facevano studiare a sei anni, poiché il bambino, a quell’età, mostra un naturale interesse per la conoscenza del corpo umano. La fisiologia si studiava a sette anni; l’igiene era un’altra importante materia d’istruzione. Lo studio della logica, invece, durava due anni e a esso seguiva la storia della filosofia. Altro insegnamento fondamentale era l’etica.
Anche lo studio delle lingue era di estrema rilevanza: erano obbligatorie le lingue antiche, mentre tra le lingue moderne si poteva scegliere il francese o l’inglese, oltre all’italiano. L’apprendimento della scrittura, invece, era attuato attraverso esercizi di composizione in prosa e in versi. In particolare, non esisteva il concetto di tema, tipico del sistema scolastico italiano: il tema, infatti, consiste nello sviluppare un postulato, cioè qualcosa di “dato a priori”, mentre tutt’altra cosa è insegnare a comporre uno scritto. L’esame finale poi consisteva nella composizione di un saggio. Nel percorso didattico, la storia della letteratura, invece, era prevista successivamente all’insegnamento della composizione.
È da notare, poi, come letteratura, storia e archeologia venissero studiate parallelamente. In particolare lo studio della storia era suddiviso in tre diversi insegnamenti. Agli studenti più giovani veniva insegnata la storia d’Italia, attraverso lo studio di avvenimenti e fatti salienti, ma veniva data poca importanza alle date, avendo il fanciullo uno “scarso” senso del tempo. Nei due anni successivi, poi, si passava allo studio della storia universale, che partendo dalla Cina antica giungeva fino al tempo contemporaneo. Infine, con gli studenti più grandi (e cioè ormai dotati di una più solida concezione del tempo lineare), si passava allo studio della cronologia, ovvero della successione di eventi per date, relativamente alla storia d’Italia. Lo studio dell’archeologia, invece, partiva dalla numismatica, considerata molto vicina al collezionismo, ovvero una attività molto prossima al mondo giovanile, puntando, quindi, a stimolare passioni già insite nel fanciullo.
Altri insegnamenti di rilievo erano l’araldica, la diplomatica, l’epigrafia e l’educazione civica e il diritto. In particolare, lo studio del diritto si suddivideva in tre insegnamenti: il diritto universale, il diritto civile e il diritto penale. Le discipline tecniche, invece, erano aritmetica, trigonometria, architettura; quelle scientifiche erano fisica e chimica, ma anche agricoltura e zoologia. Uno spazio importante, inoltre, era riservato allo studio dell’universo e della Terra, attraverso discipline come l’astronomia, la geologia, la geografia, fisica e politica.
La durata del ciclo di studi era decennale, dai sei ai sedici anni, e al termine del percorso era possibile iscriversi all’università. Ogni scuola aveva un proprio regolamento, gli orai delle lezioni e la stessa durata e frazionamento dell’anno scolastico non erano stabilite a livello centrale, ma decise in base alle esigenze del territorio e delle famiglie (ad esempio in Terra di Lavoro, le lezioni si tenevano nei mesi invernai e in agosto). I libri di testo adottati non erano testi imposti dal Ministero, ma erano dei manuali scelti tra le opere ritenute le “migliori” pubblicate, relativamente alla disciplina in questione. Gli esami erano pubblici e ciò significa che veniva reso noto il nome degli esaminandi e la data degli esami e venivano invitati gli intellettuali del quartiere o della città ad assistere e a “interrogare” gli esaminandi.
Con l’avvento del regime unitario, il sistema scolastico cambio radicalmente: il sistema scolastico italiano divenne, in un’ottica massonica, uno strumento di indottrinamento. Tutte le scuole dell’ormai ex Regno delle Due Sicilie furono chiuse e vennero riaperte solo quelle che si adeguarono alla legge Casati, recependo, quindi, i programmi ministeriali e i regolamenti sabaudi. In particolare i 25 collegi tenuti dall’Ordine degli Scolopi, che come evidenziato erano scuole d’eccellenza, gratuite e riservate a non abbienti, furono tutti chiusi e, a Napoli, i loro archivi furono dati alle fiamme da Luigi Settembrini, affinché di essi non rimanesse traccia.
Giuseppe Bartimoro
fonte
briganti.info