LUTERO CONTRO I CONTADINI IN RIVOLTA E COPERNICO
La prima presa di posizione di Lutero sulla rivolta contadina è dell’aprile 1525, quando il movimento è ormai vicino al suo momento di maggior ampiezza. E’ scritta in Esortazione alla pace. Lutero denuncia con forza le “intollerabili oppressioni” dei contadini e l’avidità dei signori feudali e dei principi, e scrive: “Non sono i contadini a sollevarsi contro di voi, è Dio stesso che si pone contro di voi per visitare la vostra iniquità”.[1] Subito dopo, però, aggiunge: “Voi e tutti dovete rendermi testimonianza che ho insegnato con mansuetudine, combattendo con ardore ogni rivolta, e che con grande diligenza ho spinto e ammonito i sudditi all’obbedienza ed al rispetto, anche verso la vostra autorità dissennata e tirannica; perciò questa sollevazione non può essere imputata a me”.[2]
Esprime poi un giudizio molto articolato sui “Dodici articoli”, il manifesto programmatico del movimento, riconoscendo in gran parte valide le ragioni dei contadini, ma li invita a non consegnarsi alla guida di fanatici visionari, “perché il tristo Satana ha ridestato, sotto il nome di Vangelo, le schiere degli spiriti sediziosi ed omicidi, e ne ha riempita la terra”.[3]
La radicalizzazione del movimento sotto la guida di Thomas Müntzer lo spinge a tornare sulla questione, al principio di maggio, con le pagine di fuoco di Contro le empie e scellerate bande di contadini. In esse chiude con molta forza ogni possibilità di cogliere nella sua teologia elementi a sostegno della rivolta e incita alla repressione violenta.
Il 15 maggio 1525 i contadini vengono sconfitti a Frankenhausen. Müntzer viene catturato, costretto sotto tortura alla ritrattazione scritta (falsa?) e giustiziato il 27. Lo sterminio dei rivoltosi continua ancora per giorni. Lutero esulta per la sconfitta e scrive Una terribile storia e un giudizio di Dio sopra Thomas Müntzer,[4] il “sanguinario e scellerato profeta”.
Lutero vede nella rivolta dei contadini tre “orribili peccati contro Dio e contro gli uomini” che meritano “più e più volte la morte del corpo e dell’anima”:
La disobbedienza volontaria ed empia al potere civile.
La rapina e il saccheggio con empietà di “castelli e conventi che non appartenevano a loro”.
La copertura di questi “delitti tremendi e orribili con il Vangelo”.[5]
Per Lutero è insopportabile e blasfema la teologia della liberazione sociale e politica di Thomas Müntzer.
“Il battesimo non rende liberi corpo e beni, ma solo l’anima; né rende comuni i beni, tranne quelli che alcuno di sua volontà voglia rendere tali, come fecero gli apostoli e i discepoli (Act. IV, 33 ss.), i quali non pretendevano che fossero comuni a tutti loro i beni di Pilato e di Erode, come stoltamente vanno blaterando i nostri contadini; al contrario essi rendevano comuni i propri beni. I nostri contadini invece pretendono che siano resi comuni i beni altrui, ma essi vogliono tenere per sé i propri; dei bei cristiani davvero, in fede mia! Per me penso che non vi sia più nessun demonio giù nell’inferno, ma che tutti siano passati nei contadini. Il loro delirio è veramente eccessivo, passa ogni misura”.[6]
Convinto che il potere politico, cristiano o meno, abbia il dovere di usare la spada contro i malvagi, scrive parole di feroce esortazione allo sterminio dei contadini rivoltosi.
“Chiunque lo può deve colpire, scannare, massacrare in pubblico o in segreto, ponendo mente che nulla può esistere di più velenoso, nocivo e diabolico di un sedizioso, giusto come si deve accoppare un cane arrabbiato, perché se non lo ammazzi, esso ammazzerà te e con te tutto il paese”.[7]
Lutero vede nel potere politico un necessario freno alla malvagità dell’uomo, conseguenza del peccato originale. Teme l’anarchia sociale molto di più della tirannia politica. Non vede nella rivolta contadina alcun embrione di un nuovo ordine sociale e politico, ma solo anarchia e caos; la condanna senza appello e si propone come spietato cappellano militare della repressione.
“Poiché dunque gli uomini muovono a ira contro di sé Dio e gli uomini, e poiché per tante ragioni già meritarono la morte del corpo e dell’anima, né ammettono o rispettano una giustizia qualsiasi, ma imperversano sempre più furiosamente, devo a mia volta insegnare all’autorità secolare come condursi con giusta coscienza in questo frangente. Innanzi tutto non intendo impedire a quell’autorità, che lo possa e lo voglia, di punire e colpire questi contadini, senza neppure offrire loro in precedenza giustizia ed equità, anche se essa non seguisse il Vangelo, perché ha comunque tutte le ragioni per farlo, dal momento che i contadini non combattono più per il Vangelo, ma è chiaro che sono diventati infidi, spergiuri, ribelli, sediziosi ed assassini, predoni e bestemmiatori; quindi anche un’autorità non cristiana avrebbe il diritto e il potere di punirli, anzi è tenuta a farlo. Proprio a questo scopo, infatti, essa impugna la spada ed è ministra di Dio sopra quanti commettono il male (Rom. XIII, 4) …
Non è ora il tempo di dormire o di usare pazienza o misericordia: questo è il tempo dell’ira e della spada, non quello della grazia.
Dunque l’autorità proceda di buon animo e colpisca con buona coscienza finché le resta un filo di vita; essa può vantare a suo credito l’avere i contadini dalla loro una coscienza cattiva e una causa ingiusta, e qualunque d’essi venga per ciò ucciso, è perduto anima e corpo e in eterno è preda del demonio. Ma l’autorità ha buona coscienza e giusta causa dalla sua”.[8]
Chi cade nell’esercizio della repressione sarà “un vero e proprio martire al cospetto di Dio per aver combattuto con quella coscienza che dicemmo: egli procede infatti nella parola e nell’obbedienza di Dio. Ma quanti periranno tra i contadini, saranno tutte anime dannate: infatti impugnarono la spada contro la parola e l’obbedienza di Dio e sono creature del demonio”.[9]
“Così strani e stupefacenti sono i tempi, che un principe spargendo sangue può guadagnarsi il Cielo meglio che altri pregando …
ari signori, liberate, salvate, aiutate e abbiate misericordia della povera gente; ma ferisca, scanni, strangoli chi lo può; e se ciò facendo troverai la morte, te felice, morte più felice giammai potresti incontrare, perché muori in obbedienza alla parola e al volere di Dio (Rom. XIII, 5 ss.) e al servizio della carità, per salvare il prossimo tuo dall’inferno e dai lacci del demonio.
Vi scongiuro chi lo può fugga dai contadini come dal demonio in persona. Ma quanti non ne fuggono, prego Iddio che li voglia illuminare e convertire. Quelli infine ch’è impossibile convertire, voglia Iddio che non abbiano felicità né fortuna. Qui ogni pio cristiano dica: Amen, perché la preghiera è buona e giusta e gradita a Dio, questo ben so. E se qualcuno troverà tutto questo troppo duro, pensi che la sedizione è cosa insopportabile e che ad ogni istante c’è da attendersene la distruzione del mondo”.[10]
La rivolta non ha per Lutero alcuna possibilità di vincere.
E’ vero, scrive, che “a Dio sono possibili tutte le cose, né sappiamo se prima del Giudizio Universale, che non dev’essere lontano, Egli non voglia distruggere per mezzo del demonio ogni ordine e ogni autorità e ridurre il mondo ad un mucchio di rovine”.[11] Ma, nessun nuovo ordine politico potrebbe nascere da una vittoria contadina.
Sarebbe, invece, il segno della fine dei tempi.
Nel dicembre 1526 Lutero scrive Se anche le genti di guerra possano giungere alla beatitudine, in cui ripete che la rivolta non è mai giustificata: la tirannia per opprimente che sia rovina solo il corpo, mentre la rivolta rovina l’anima; Dio lascia sussistere i tiranni a causa dei nostri peccati; in questo mondo siamo sotto il dominio di Satana e per soffrire; la plebe senza freno manifesta la corruzione assoluta dell’uomo ed è peggiore di qualsiasi tiranno.
Note
- In Scritti politici, Utet 1959, p. 447.
- Cit. p. 448.
- Cit. p. 451.
- Cit. pp. 495-502.
- Cit. pp. 484-5.
- Cit. pp. 486-7.
- Cit. p. 485.
- Cit. p. 487-488.
- Cit. p.489.
- Cit. pp.489-490.
- Cit. p. 48
fonte
Il giudizio di Lutero su Copernico
Si parla di un nuovo astrologo che vuol dimostrare che la Terra si muove invece del cielo, del Sole e della Luna, come se un uomo su un carro o in barca pretendesse che non si muove di posto ma che sono la Terra e gli alberi che viaggiano. Ma è così al giorno d’oggi: quando un uomo vuol fare il furbo, bisogna che inventi qualcosa e il suo modo di fare deve essere necessariamente il migliore. Questo imbecille vuol mettere con i piedi per aria tutta l’arte della astronomia. Solo che, e la Sacra Scrittura ce lo dice, è al Sole che Giosuè ha ordinato di fermare e non alla Terra
Martin Lutero, Discorsi a tavola, Walch, p. 2260, in Arthur Koestler, I sonnambuli, storia delle concezioni dell’universo, Jaca Book, Milano 2010, p. 151.
fonte