Ma siamo veramente itagliani ?
La parola ‘storia’ è fonte di molti equivoci. Ogni uomo comincia a capire sin dalla più tenera età che c’è un mondo di altri uomini, in mancanza dei quali la sua vita sarebbe impossibile. Se nasce fortunato, intorno a lui ci sono la madre, il padre, la nonna, a volte dei fratelli o sorelle maggiori, uno zio, una zia, degli altri adulti.
Appena fa i primi passi, si rende conto che intorno ci sono degli altri esseri viventi, che non sono propriamente esseri umani, e tuttavia sono legati alla famiglia: il cane, il gatto, le galline, l’asino, la capra, l’albero di fichi, il vaso coi garofani. E poi anche altre entità viventi, necessarie alla sua esistenza, e però non domestiche, non appropriabili, non subalterne: il mare, il sole, la luna, il campanile del paese, il corso, il supermarket, i lampioni, il bar, le barca tirate a riva, il sedile di pietra sul lungomare.
Il piccolo imparerà dai genitori che la nonna è la madre di uno di loro e che il nonno Pasquale Neri è il padre del padre, il quale nonno è a sua volta figlio dell’avo Achille Neri, che dorme per sempre al cimitero. Lì, nel luogo dove il nonno esiste solo come ricordo, ci sono altri nonni, i nonni dei nonni di tutti i bambini del paese.
Il bambino capirà che gli uomini vivi discendono da uomini morti e che i beni più importanti di cui dispongono gli uomini vivi, il più delle volte sono stati a loro lasciati da uomini morti.
Questo sapere si chiama storia. La storia è un racconto, a volte scritto a volte orale. Alquanto spesso bugiardo, quantomeno unilaterale.
Una storia che il bambino Mimmino Neri impara, è questa: “La nostra casa fu costruita dal padre di tuo bisnonno, che si chiamava Achille, nel 1875. La moglie era ricca e la casa fu costruita con i suoi soldi.”.
Storia per il bambino Franchino Verde. “La nostra casa la costruì il nonno Achille Neri, dietro la casa dei Neri. Noi ci chiamiamo Verdi perché il nonno era già sposato e non poté mai portare in chiesa la nonna Immacolata, dalla quale ebbe otto figli sani e belli. Tutto il contrario dei figli Neri che sono brutti e tisici”.
Questa è storia familiare. La verità storica è spinta a destra o a sinistra, in base alla posizione degli eredi. Anche quella che s’impara a scuola è storia; una storia più grande, in cui il nonno e il padre del nonno non c’entrano più; c’entra invece la vicenda politica. Anche questa storia si piega a volte a destra a volte a sinistra, a seconda della posizione che nella storia assume chi la racconta.
Voi sapreste spiegare perché i Greci chiamano sé stessi Elleni e la Grecia Hellas, contro la dizione corrente in tutto il resto del mondo?
E perché noi, che in qualche modo siamo parenti degli Elleni, chiamiamo la nostra patria antica Magna Grecia e non invece Megale Hellas? E ancora: perché mai questi Elleni extra-Hellas non ci chiamarono Elleni o Greci, ma Italoi, o Itali?
Gli Elleni chiamavano barbari i non Elleni, ivi compresi gli Etruschi, i Liguri, i Veneti, i Latini. Invece non usavano detta espressione per alcune altre nazioni, con le quali commerciavano, per esempio gli Egizi, i Fenici, gli Itali, i Siculi, i Sardi, che venivano indicati con il loro nome proprio. In effetti queste nazioni avevano una identità riconosciuta dai Graioi, la stirpe nazionale (o forse soltanto i seguaci di una religione diversa da quella dell’Olimpo di Giove, che ritroviamo in Esiodo e Omero) che aveva preceduto gli Elleni, apparsa in Grecia intorno al 1200 avanti Cristo. Cioè, come gli Egizi e i Fenici, gli Italoi erano una nazione preesistente al racconto Omerico, la quale continuò a chiamare i Greci come li aveva chiamati prima, influenzando almeno in questo i Romani, e attraverso i Romani il resto del mondo.
Ora, chi sono questi Italoi? Non certo i Siculi o i Sardi, che hanno una loro identità, e neppure gli Etruschi, i Latini, i Liguri, che non ce l’hanno e che per i Graioi e per gli Elleni sono barbari.
Gli Italoi (in greco preellenico ‘i vitelli’) non sono ovviamente uno Stato unitario (neppure i Greci lo erano), ma una varietà di popolazioni urbane di cultura affine, stanziate tra Reggio e il Circeo. Sull’altra sponda, quella orientale, il punto più alto abitato delle stirpi italiche si collocava tra Bari e il Gargano. Questa civiltà urbana precede di almeno 1000 anni la nascita di Roma (753 a.C.) e di 1500 anni l’urbanizzazione della Palude Padana.
A partire dal terzo secolo a.C. il paese degli Italoi vennero sottomessi dai Romani, che completarono la conquista nel 212 a.C. I Romani non usavano la desinenza oi ma la desinenza ci, cosicché nella lingua latina gli Italoi, a cui essi non appartenevano, finirono chiamati Italici. Inoltre Roma, avendo assoggettato anche le nazioni barbariche corrispondenti alle attuali Marche, Emilia, Umbria, Toscana, Liguria, estese il nome di Italici anche a queste. Ciò è ancora causa di grande confusione, in quanto queste nazioni non furono portate alla civilizzazione dagli Italici sì bene dai Romani, che avevano costumi diversi dagli Italici, o comunque non sempre ben assimilati. Durante i sette i successivi secoli di dominazione romana, gli Italoi diventarono veramente romani? Se a Bova e a Rhogudi sopravviveva fino a non molto tempo fa, cioè ancora 2200 dopo la conquista romana, una parlata greca classica, qualche dubbio deve pur venirci. Prima della Seconda Guerra Mondiale, cioè ancora settanta anni fa, allorché esisteva ancora il mondo contadino, nelle nostre campagne era difficile trovare un attrezzo agricolo e una suppellettile di cucina che non avesse un nome di origine greca. E ancora: chi viaggia per Napoli, sulla soglia della provincia di Salerno incontra il paese di Sala Consilina, nel cui nome è detto che lì aveva inizio il governo elettivo del console romano. Più giù c’erano sì le legioni romane e il governo di Roma, ma non i cittadini romani.
Da quel che personalmente ho imparato, non mi pare che la romanità meridionale, se mai ci fu, durò più di trecento anni. L’Impero Romano d’Occidente crollò nel Quinto secolo dopo Cristo. Da quel momento e fino al 1861, gli Italoi, da Gaeta e dall’Abruzzo in giù, fino allo Stretto furono sempre – cioè per tredici interi secoli – uno Stato e una nazione a sé stanti. E’ propriamente ridicolo che siano diventati una sola cosa gli Itagliani in appena un secolo e mezzo.
Se si presentasse la cosa in altro modo, dovremmo affermare che noi, il nonno Achille Neri, non l’abbiamo avuto né come avo legittimo né come avo naturale, e che nei nostri cimiteri dormano la loro vita eterna soltanto gli avi di Bossi. Storicamente parlando ci furono due evanescenti regni d’Italia, uno nell’Alto medioevo, che si estendeva da Pavia verso Sud, senza toccare Roma, e un secondo battezzato da Napoleone I, con capitale Milano, che si contrapponeva al Regno delle Due Sicilie, parzialmente in mano a un suo fratello. L’articolo italiano/a in riferimento alla letteratura volgare e il riferimento a un ‘Italiano’ in quanto lingua sono molto parecchio. Se non vado errato un’identificazione nazionale delle arti italiane, complessivamente considerate, è merito degli stranieri (tedeschi, francesi, inglesi) ed è databile al tempo di Carlo V, quando si ha, forse, la prima identificazione di Italiani, come gruppo nazionale, in connessione con le compagnie multiregionali italiane di ventura (la celebre disfida di Barletta).
“Il grande dizionario della lingua italiana” registra la parola Italiani, intesi come popolo una sola volta in Boccaccio, due volte in Machiavelli, una volta in Ariosto. Una sommatoria politica degli abitanti della Penisola come Italiani si ha soltanto al tempo della Rivoluzione francese e in appresso con il celebre proclama di Rimini di Gioacchino MURAT (1815). Chi ne diffonde l’uso, con le sue opere, è Massimo d’Azeglio. E a buona ragione. Infatti egli fu il primo ministro del Regno di Sardegna (Piemonte) dopo il 1848, allorché i piemontesi decisero che era il caso di tentare di papparsi l’intera penisola. A quel tempo, però, gli Italoi si chiamavano Napoletani, un termine risalente alla fondazione del Regno di Napoli ad uso di Carlo d’Angiò e del Papa. E Napoletani saranno chiamati ancora per una cinquantina d’anni dopo la bastarda unità – il tempo necessario affinché Genova e Milano si mettessero in forze mediante lo scambio di carta contro oro e argento -.
Quanto poi gli Italoi e gli Itagliani siano diventati un solo popolo con l’unificazione sabauda e con la Resistenza toscopadana è inutile approfondire. Proprio in questi giorni in cui la storicamente insignificante Scala di Milano raddoppia il locale, il teatro storico dell’opera “italiana”, il San Carlo di Napoli, è ridotto a un cesso.
Riporto la frase di un vecchio scrittore francese: “La servitù avvilisce gli uomini fino a farsi amare”.