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“Napoleone: ai posteri l’ardua sentenza”, un libro di Alfredo Saccoccio

Posted by on Ott 15, 2020

“Napoleone: ai posteri l’ardua sentenza”, un libro di Alfredo Saccoccio

E’ in edicola, per i tipi della casa editrice Ali Ribelli di Jason Forbus , l’ennesima fatica letteraria di Alfredo Saccoccio, dal titolo “Napoleone:ai posteri l’ardua sentenza”. Il libro ricostruisce cosa accadde negli anni dello strapotere francese in Europa e del tiranno Napoleone, che, a distanza di quasi due secoli dalla morte, conserva intatta quella fama che gli è stata creata dalla propaganda di parte, che dal passato è giunta fino a noi.

  Il Bonaparte conquista il Bel Paese con la scusa di liberarlo e lo seduce con il fascino eccezionale della sua figura, sfruttando, con opere di volpe più che di leone, le circostanze a proprio profitto. Il Saccoccio squarcia il velo di silenzio steso, per quasi duecento anni, da una storiografia di retroguardia, prigioniera di “luoghi comuni” dalla vulgata rivoluzionaria. Colui che è stato “tre volte nella polvere, tre volte sull’altare”, a detta dello storico aurunco, travolse e schiacciò nazioni, paesi e popoli, senza remore di alcun genere. In virtù di una sistematica falsificazione dei fatti, Napoleone continua ad essere presentato dagli storici conformisti come il “liberatore” dell’Italia, mentre, in realtà, non fu altro che un depredatore delle sue ricchezze e delle opere artistiche custodite nelle nostre chiese e nei nostri musei. Altro che “rivoluzione rigeneratrice”! Il buon Manzoni, dopo i fatti dell’aprile 1814, scrisse una canzone, che dice: “Il tiranno è caduto: sorgete / genti oppresse, l’Italia respira”.

Era finita l’oppressione. Ci torna il mente il celebre interrogativo manzoniano dell’ode “Cinque Maggio”, che abbiamo imparato sui banchi di scuola, a proposito di un personaggio che ne ha fatte dire di tutti i colori ai posteri e ai contemporanei. Lo stesso Wolfgang Goethe, pur apprezzandolo, avendogli Napoleone offerto di celebrare l’epopea imperiale, non accolse l’invito, poiché capiva che l’individuo incarnava perfettamente la tentazione del cesarismo e presentiva che la potenza  del Bonaparte era volta a servirsi dello Stato con un governo imperiale. 

Il rigoroso, meticoloso storico aurunco, formatosi attraverso una disciplina scolastica di impegno classico e umanistico,  non si stanca di perlustrare,di indagare, di legare, di alludere, di dimostrare,di citare fatti riguardanti il guerrafondaio,che ha saputo porsi a capo di popoli, riscuotendo la loro fiducia, e  far sognare i suoi cenciosi uomini, grazie alle due anime della Francia, quella rivoluzionaria e quella conservatrice, che per lui si getterebbero nel fuoco, diventando un eroe della mitologia moderna. E non avvertì deformazione gratuita o arbitrio.

Pareva che sul Corso tutto fosse stato detto. Non è così, perché il saggio di Alfredo Saccoccio,fonti storiche alla mano,  reca nuova luce su aspetti inesplorati di quella torbida personalità, in qualcuna delle sue azioni rimaste ancora oscure.  Saccoccio sostiene che Napoleone non è stato guidato da alcuna ideologia, se non quella del culto della sua personalità. Egli, da calcolatore, non ha cercato di servire la Francia, ma di servirsi di essa, perché vi vide un trampolino di lancio per la sua sfolgorante, insaziabile ascesa politica, nel tentativo di fondare una dinastia,destinata a succedere ai Merovingi,ai Carolingi e ai Capetingi, per perpetuare se stesso e la sua famiglia, agendo da perfetto capoclan, che aveva una sconfinata fiducia in se stesso e nei suoi piani, sopravvalutandosi nel ritenersi un predestinato, chiamato dal fato a “cambiare la faccia del mondo”, compiendo cose immense e durevoli, pronto a schiacciare tutto quello che trovava sulla sua strada (guai  a chi capiterà sotto le sue ruote), ritenendosi un essere superiore, le cui truppe potevano saccheggiare basiliche, chiese e monasteri, perché la rivoluzione non ha bisogno di bellezza .

   Alfredo Saccoccio non rifà la storia: la disfa e la spoglia dei suoi orpelli da grande dama ed eccola macchiata di sudore e di sangue. La  nozione di progresso dell’umanità è privo di significato, la disillusione amara degli ex credenti dei Lumi è sempre un oggetto di stupore e di curiosità. Il totalitarismo di Napoleone, che mette in causa le entità religiose, familiari e monarchiche, conducendo alla catastrofe, è indifendibile. Esso, sotto la maschera del demone del Bene, è una costante dello spirito umano. Il totalitarismo c’è sempre stato e vi sarà sempre in conflitto con l’aspirazione alla libertà.

     La rivoluzione francese è nata da alcune centinaia di schiamazzatori che sono andati a forzare le porte di una fortezza medioevale, liberando due pazzi, quattro lestofanti ed un maniaco sessuale e mettendo fuoco ai tetti  e, perché era bel tempo e si aveva ben bevuto, si erano trovati divertiti a giocare con delle teste di aristocratici, come si pungono delle lumachine di mare. Rammentiamo, tra i ghigliottinati, il poeta André-Marie de Chénier, il 7 termidoro 1794, l’uomo politico Lucie-Simplice-Camille-Benoit Desmoulins e sua moglie, Lucile Duplessis-Laridon, pochi giorni dopo il marito, di cui ella aveva invano difeso la causa presso Robespierre. Lucile  fu condotta  al patibolo con la moglie dell’esponente rivoluzionario Jacques-René  Hébert . Che dire poi della morte di Luigi XVII al Tempio, da martire. I comitati della Convenzione e del La Comune di Parigi si comportarono verso Louis-Charles in una maniera abominevole, come veri carnefici di un fanciullo.

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