NAPOLI NON MOLLÒ AFFATTO I BORBONE… REPLICA AL “MATTINO”.
Sul Mattino del 14/5/20 un articolo a firma di Ugo Cundari che intervista Alfio Caruso su un suo nuovo libro rende necessarie, forse, alcune osservazioni. Nel titolo del libro la tesi della “corruzione e del tradimento” legata a Garibaldi per portare al crollo delle Due Sicilie.
Nel titolo del Mattino, invece, una tesi che lascia molti dubbi (“Napoli mollò i Borbone”). In premessa l’articolista (non nuovo ad articoli polemici contro i Borbone e i “neoborbonici”) scrive di un “sano sentimento identitario confuso con la stagione dei Borbone” ignorando, forse, che l’identità napoletana e meridionale non può non passare anche per i Borbone che quella identità, piaccia o no all’articolista, l’hanno ben rappresentata e difesa per l’ultima volta fino al 1860 (a meno che l’articolista non voglia riferirsi ad identità greche, sveve, angioine o non meglio identificate o identificabili).
In premessa un altro chiarimento: Caruso non è uno storico “accademico” ma un ottimo giornalista e saggista e siamo contenti che anche Il Mattino dia spazio (un grande spazio) per parlare di storia a storici non “professionisti” (è l’accusa che spesso viene fuori quando si parla di libri con storie diverse da quelle “ufficiali”). Per Caruso, allora, “Napoli tradì in massa e tutti passarono con i piemontesi e Cavour con fiumi di denaro si comprò anche i marciapiedi”. Sulla tesi della corruzione ovviamente concordiamo e si evidenzia una verità storica spesso definita “neoborbonica” anche se bisognerebbe differenziare le colpe distinguendo quelle più gravi dei corruttori ancora acriticamente definiti “padri della patria” (in qualsiasi governo e in qualsiasi tempo è facile trovare chi si sarebbe fatto e si farebbe corrompere, soprattutto se parliamo di “fiumi di denaro”).
Detto questo, non esiste un supporto documentario relativo alla prima tesi (“quei napoletani diventati tutti piemontesi”). Lo scrittore, evidentemente, cade in contraddizione se lui stesso dichiara che “la camorra diede un grande contributo all’unità e pestava a sangue chi inneggiava ai Borbone”. Evidentemente, allora, non tutti erano diventati “piemontesi” ed evidentemente non era facile mantenere posizioni diverse se quelle posizioni furono “regolate” dalla camorra complice dello stato italiano, come evidenziato da anni, del resto, oltre che dai neoborbonici, da studiosi attenti come Gigi Di Fiore, Benigno, Fiore o Sales. E quella complicità è una colpa tutt’altro che lieve e per giunta drammaticamente attuale in Sicilia come in Campania e forse lo stesso Cundari dovrebbe rettificare alcune sue tesi visto che qualche anno fa scriveva un articolo del tutto contrario a questa tesi (“I Borbone con la camorra per fermare Garibaldi”). Allo scrittore forse sfuggono alcune fonti.
Ad esempio quelle presso l’Archivio di Stato di Napoli (fondi Ministero Polizia, Archivio Borbone e Sezione Giustizia, Processi politici) quando si attestano circa 7000 prigionieri il giorno prima dell’arrivo di Garibaldi (quasi tutti liberati dal dittatore) e ben 18.472 prigionieri (in gran parte per motivi politici) appena 23 giorni dopo l’arrivo dei “liberatori garibaldini” a Napoli e provincia. Allo scrittore saranno sfuggiti i dati riportati anche da Giovanni Gentile in merito alle “epurazioni” delle classi dirigenti “borboniche” o i casi esemplari delle carriere negate a grandi matematici “borbonici” come Fergola o Flauti (cfr. i recenti studi del prof. M. Lupo) o le migliaia di schede della Polizia per “pedinare” finanche i ferrovieri indicati come “reazionari” o le centinaia di inchieste e di processi contro i “congiurati di Frisio” o per i tumulti e le sommosse al Ponte di Casanova, a Sant’Eframo, a San Giovanni a Teduccio, alla Sanità, al Carmine (“decapitati i busti dei Savoia”) o quello “specchietto con 80.702 nominativi di dissidenti” sequestrato durante quelle inchieste o le seimila copie del “Conciliatore” (giornale borbonico) sequestrate dal questore Nicola Amore (lo stesso che diede ordine di sparare sugli operai che protestavano a Pietrarsa nel 1863). Allo scrittore sarà sfuggito anche che, quasi mezzo secolo dopo, il poeta napoletano Ferdinando Russo fu costretto a subire un processo per “borbonismo” solo per un paio di frasi antigaribaldine in una “macchietta”.
Altro che “i Napoletani diventati tutti piemontesi”…
Al di là dell’esempio del tradimento del generale Landi, non esattamente uno “scoop” e diventato ormai proverbiale e al di là dei gravi errori (da parte dei Borbone) di sottovalutazione del nemico e dell’organizzazione internazionale che con il nemico si muoveva, come si può definire “inaffidabile” o “traditore” un esercito composto da decine di migliaia di soldati che preferirono morire piuttosto che rinnegare il giuramento fatto al Borbone e alla patria napoletana (“uno Dio uno re”)? Come si fa a non considerare le decine di migliaia di soldati deportati al Nord o incarcerati con esempi come quelli dei ragazzi della Nunziatella fuggiti dal collegio per andare a combattere e a morire a Gaeta con Francesco II (tra essi l’eroico diciassettenne Carlo Giordano)? Tutti “piemontesi”?
In quanto ai Borbone che “non spendevano nulla per il bene del popolo” e alla ferrovia (ancora?) che “serviva agli interessi privati dei regnanti” ricordiamo solo gli oltre 15 milioni di biglietti staccati da quella ferrovia in circa 20 anni (comica l’immagine dei “regnanti” che vanno e vengono da Portici 15 milioni di volte) e ricordiamo, a proposito di spesa pubblica, i dati relativi agli indici al Sud più alti del Nord su redditi medi, pil, industrializzazione, alimentazione, salari e crescita demografica (popolazione raddoppiata in meno di 100 anni) e per questo lo invitiamo a dare un occhio a studi recenti e documentati (Daniele, Collet, Fenoaltea, De Matteo, Malanima o Davis, tra gli altri).
Per la cantieristica “che non aveva commesse private” solo un dato: le oltre 11.600 imbarcazioni registrate nei porti delle Due Sicilie (e dimezzate nei 10 anni successivi all’unificazione). Se poi si arriva, infine, a pensare che Francesco II avrebbe potuto lui unire l’Italia e “marciare su Torino”, vuol dire che non si è capito il mondo dei Borbone e delle Due Sicilie, un mondo fatto anche di valori cristiani che spingevano i soldati a salvare i nemici caduti nel Volturno e che non avrebbero mai consentito a Francesco II di invadere uno stato legittimo e magari massacrare quelle popolazioni come fecero i Savoia da queste parti. In conclusione possiamo evidenziare che è opportuno continuare a studiare e a divulgare verità storiche finora negate sui metodi e i mezzi dell’unificazione ma è anche necessario evitare affermazioni generiche e poco fondate sul resto delle problematiche e, forse, anche di evidenziarle, come accade in questo articolo, se l’obiettivo principale del libro, forse, è un altro e si fa correre all’autore il rischio di pubblicizzare in maniera negativa il suo libro…
Gennaro De Crescenzo
Spero che questo articolo fatto di dati e di puntuali osservazioni sia stato pubblicato dallo stesso giornale e con la stessa evidenza se veramente è interessato alla verità da diffondere e non solo alla condiscendenza… caterina Ossi