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“No agli adulti eterni adolescenti: ostacolano la crescita dei figli”

Posted by on Giu 22, 2017

“No agli adulti eterni adolescenti: ostacolano la crescita dei figli”

Papa Francesco a tutto campo nel Convegno diocesano di Roma a San Giovanni in Laterano: «L’adolescenza non è una patologia, alcuni ragazzi impegnati come manager»; «le prime parolacce le ho imparate da uno zio zitello»; «oggi si spende in cosmetici quanto in alimenti»; «che pena vedere gli uomini che si tingono i capelli»

Adolescenti inquieti e per questo «medicalizzati» dai genitori come se le paturnie tipiche di questa «fase-ponte» fossero una «patologia». Madri e padri che cercano di occupare il tempo dei figli riempendogli l’agenda di impegni quanto quella di «un alto dirigente». Adulti eterni Peter Pan che occupano lo spazio dei giovani e fanno di tutto – dalla tinta ai capelli ai lifting anche «al cuore» – pur di dissimulare il tempo che passa, come se «crescere, invecchiare, “stagionarsi” sia un male». Zii «zitelli» che per guadagnarsi la simpatia dei nipoti insegnano parolacce o offrono sigarette. E ancora: una società «sradicata» che spende in cosmetici quanto in alimenti, anziani lasciati soli perché improduttivi, una «golosità» che porta a «divorare» più che a nutrirsi, a «consumare il consumo».

In una mano l’Amoris laetitia, nell’altra la Retorica di Aristotele, e citando addirittura «la grande» Anna Magnani, Papa Francesco si addentra nel complesso mondo dell’educazione dei genitori ai figli adolescenti, tema sul quale la diocesi di Roma ha voluto dedicare quest’anno il suo tradizionale Convegno ecclesiale che si apre oggi a San Giovanni in Laterano con l’intervento del Pontefice e prosegue con workshop e laboratori nelle 38 Prefetture della diocesi.

Una scelta mirata della Chiesa capitolina che vuole far sentire la sua vicinanza alle tante famiglie spesso schiacciate da routine e ritmi folli di vita. Se infatti quello del rapporto genitori-figli durante l’adolescenza è un tema già di per sé delicato, assume connotati rischiosi in una città come Roma segnata da problematiche come: «Le distanze tra casa e lavoro (in alcuni casi fino a 2 ore per arrivare); la mancanza di legami familiari vicini, a causa del fatto di essersi dovuti spostare per trovare lavoro o per poter pagare un affitto; il vivere sempre “al centesimo” per arrivare alla fine del mese, perché il ritmo di vita è di per sé più costoso (nel paese ci si arrangia meglio); il tempo tante volte insufficiente per conoscere i vicini là dove viviamo; il dover lasciare in moltissimi casi i figli soli…».

«Sfide» e «tensioni» di cui il Papa parla con grande realismo nel lungo discorso in Basilica, dove arriva al fianco del cardinale vicario uscente Agostino Vallini e del successore, il vescovo Angelo De Donatis. «La vita delle famiglie e l’educazione degli adolescenti in una grande metropoli come Roma esige alla base un’attenzione particolare e non possiamo prenderla alla leggera. Non è la stessa cosa educare o essere famiglia in un piccolo paese e in una metropoli. Non dico che sia meglio o peggio, è semplicemente diverso», sottolinea.

Bergoglio indica dunque dei «presupposti»; anzitutto chiede di pensare, ma anche riflettere e pregare, «in romanesco», il dialetto proprio dei romani. Perché? Perché «non di rado – spiega – cadiamo nella tentazione di pensare o riflettere sulle cose “in genere”, “in astratto”. Pensare ai problemi, alle situazioni, agli adolescenti… E così, senza accorgercene, cadiamo in pieno nel nominalismo. Vorremmo abbracciare tutto ma non arriviamo a nulla». Allora bisogna pensare «in dialetto», cioè «con volti di famiglie ben concreti e pensando come aiutarvi tra voi a formare i vostri figli all’interno di questa realtà».

Un altro aspetto importante, prosegue il Papa è «l’esperienza di sentirci “sradicati”». Alla «società liquida» – o meglio «gassosa» – si affianca infatti «il fenomeno crescente della società sradicata», vale a dire «persone, famiglie che a poco a poco vanno perdendo i loro legami». Un grave pericolo perché, avverte il Pontefice, «una cultura sradicata, una famiglia sradicata è una famiglia senza storia, senza memoria, senza radici». E «quando non ci sono radici, qualsiasi vento finisce per trascinarti».

Per questo una delle prime cose a cui pensare come genitori, famiglie, pastori sono «gli scenari dove generare legami, trovare radici, dove far crescere quella rete vitale che ci permetta di sentirci “casa”». Le reti sociali sembrano «offrirci questo spazio di “rete”», ma in realtà esse, per la loro stessa virtualità, «ci lasciano come “per aria” e perciò molto “volatili”». E «non c’è peggior alienazione per una persona di sentire che non ha radici, che non appartiene a nessuno», afferma Bergoglio.

Che richiama i genitori sul fatto che «tante volte esigiamo dai nostri figli un’eccessiva formazione in alcuni campi che consideriamo importanti per il loro futuro. Li facciamo studiare una quantità di cose perché diano il “massimo”. Ma non diamo altrettanta importanza al fatto che conoscano la loro terra, le loro radici». I ragazzi vengono dunque privati «della conoscenza dei geni e dei santi» che li hanno generati, come pure dei «sogni profetici» dei loro nonni. «Se vogliamo che i nostri figli siano formati e preparati per il domani, non è solo imparando lingue (per fare un esempio) che ci riusciranno. È necessario che si connettano, che conoscano le loro radici. Solo così potranno volare alto, altrimenti saranno presi dalle “visioni” di altri».

Di qui l’invito ad affrontare «nella sua globalità» la fase dell’adolescenza che interessa non solo i ragazzi ma tutta la famiglia. «È una fase-ponte – evidenzia il Papa – e per questo motivo gli adolescenti non sono né di qua né di là, sono in cammino, in transito. Non sono bambini (e non vogliono essere trattati come tali) e non sono adulti (ma vogliono essere trattati come tali, specialmente a livello di privilegi). Vivono proprio questa tensione, prima di tutto in sé stessi e poi con chi li circonda. Cercano sempre il confronto, domandano, discutono tutto, cercano risposte. Passano attraverso vari stati d’animo, e le famiglie con loro».

Sembra un incubo invece è «un tempo prezioso nella vita dei vostri figli», afferma Francesco, perché nonostante i rischi, i cambiamenti e l’instabilità «è un tempo di crescita» per tutti. Guai allora a trattare l’adolescenza come «una patologia» da combattere: «Un figlio che vive la sua adolescenza (per quanto possa essere difficile per i genitori) è un figlio con futuro e speranza. Mi preoccupa tante volte la tendenza attuale a “medicalizzare” precocemente i nostri ragazzi. Sembra che tutto si risolva medicalizzando, o controllando tutto con lo slogan “sfruttare al massimo il tempo”, e così risulta che l’agenda dei ragazzi è peggio di quella di un alto dirigente».

«Inquadriamo bene i nostri discernimenti all’interno di processi vitali prevedibili», suggerisce il Pontefice, «esistono margini che è necessario conoscere per non allarmarsi, per non essere nemmeno negligenti, ma per saper accompagnare e aiutare a crescere. Non è tutto indifferente, ma nemmeno tutto ha la stessa importanza». È bene, inoltre, «discernere quali battaglie sono da fare e quali no», magari facendosi aiutare da coppie con esperienza che non offrono «ricette» ma sono d’aiuto con la loro testimonianza per «conoscere questo o quel margine o gamma di comportamenti».

Come, ad esempio, la voglia dei ragazzi di sentirsi protagonisti. «Non amano per niente sentirsi comandati o rispondere a “ordini” che vengano dal mondo adulto (seguono le regole di gioco dei loro “complici”). Cercano quell’autonomia complice che li fa sentire di “comandarsi da soli”». Per questo a volte si rifugiano negli zii, quelli non sposati e senza figli che «per guadagnarsi la stima dei nipoti» chiudono un occhio sulle prime sigarette o insegnano le parolacce: «Io le prime parolacce le ho imparate da uno zio zitello», racconta Bergoglio, «ci offriva pure le sigarette». Quindi «attenti, non dico che non fanno bene ma state attenti».

I ragazzi sono infatti in continua ricerca della «“vertigine” che li faccia sentire vivi». «Diamogliela!» sollecita il Papa, «stimoliamo tutto quello che li aiuta a trasformare i loro sogni in progetti», «proponiamo loro mete ampie, grandi sfide e aiutiamoli a realizzarle, a raggiungere le loro mete», «sfidiamoli più di quanto loro ci sfidano». Perché altrimenti andranno a cercare questa «vertigine» altrove, da chi «mette a rischio la loro vita».

Questo richiede educatori «capaci di impegnarsi nella crescita dei ragazzi», che ne seguono «il ritmo», e non si limitano ad «un modello di istruzione meramente scolastico, solo di idee» ma puntano a far acquisire loro l’autostima, «a credere che realmente possono riuscire in ciò che si propongono». Tale processo esige «una alfabetizzazione socio-integrata, cioè un’educazione basata sull’intelletto (la testa), gli affetti (il cuore) e l’agire (le mani)». «Urge creare luoghi dove la frammentazione sociale non sia lo schema dominante», sottolinea il Pontefice; «lungo il cammino lasciamo degli analfabeti emotivi e ragazzi con tanti progetti incompiuti perché non hanno trovato chi insegnasse loro a “fare”. Abbiamo concentrato l’educazione nel cervello trascurando il cuore e le mani. E questa è anche una forma di frammentazione sociale».

Nel suo discorso, il Papa riflette pure sulla nuova «dinamica ambientale» dei ragazzi che «vogliono essere “grandi”» e dei “grandi” che «vogliono essere o sono diventati adolescenti». «Oggi c’è una specie di competizione tra genitori e figli; diversa da quella di altre epoche in cui normalmente si verificava il confronto tra gli uni e gli altri», osserva Francesco. «Oggi siamo passati dal confronto alla competizione. I nostri ragazzi oggi trovano molta competizione e poche persone con cui confrontarsi. Il mondo adulto ha accolto come paradigma e modello di successo l’“eterna giovinezza”. Sembra che crescere, invecchiare, “stagionarsi” sia un male. È sinonimo di vita frustrata o esaurita. Oggi sembra che tutto vada mascherato e dissimulato. Come se il fatto stesso di vivere non avesse senso».

«Com’è triste che qualcuno voglia fare il “lifting” al cuore! Com’è doloroso che qualcuno voglia cancellare le “rughe” di tanti incontri, di tante gioie e tristezze!», esclama Bergoglio ricordando la famosa frase della celeberrima attrice Anna Magnani che al suo truccatore disse: «Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele venire».

Oggi è difficile sentire certe frasi. Anzi le statistiche raccontano che il maggior numero di spese viene riversato nel campo della cosmetica, quasi quanto per gli alimenti. E se prima «la cosmetica riguardava più le donne, adesso è uguale in entrambi i sessi». «È brutto questo», ammette Papa Francesco, confidando pure: «A me fa pena quando vedo uno, magari elegante, che si tinge i capelli». Per il Papa «una delle minacce “inconsapevoli” più pericolose nell’educazione dei nostri adolescenti» è proprio questo «escluderli dai loro processi di crescita perché gli adulti occupano il loro posto». Adulti «che non vogliono essere adulti e vogliono giocare a essere adolescenti per sempre». «Questa “emarginazione” – mette in guardia – può aumentare una tendenza naturale che hanno i ragazzi a isolarsi o a frenare i loro processi di crescita per mancanza di confronto».

Il Vescovo di Roma affronta poi un ultimo punto: l’austerità. In «un contesto di consumismo molto forte», in cui «sembra che siamo spinti a consumare consumo», è «urgente – dice – recuperare quel principio spirituale così importante e svalutato» dell’austerità. «Educare all’austerità è una ricchezza incomparabile», afferma il Vescovo di Roma, perché «apre agli altri» e tira fuori da quella «voragine» che induce «a credere che valiamo per quanto siamo capaci di produrre e di consumare, per quanto siamo capaci di avere». Il Papa la definisce una sorta di «golosità spirituale», l’atteggiamento dell’«ingozzarsi mangiando». Ci farà bene, allora, ribadisce, «educarci meglio, come famiglia, in questa “golosità” e dare spazio all’austerità come via per incontrarsi, gettare ponti, aprire spazi, crescere con gli altri e per gli altri».

Prima dell’appuntamento in Laterano, Papa Francesco ha incontrato un gruppo di circa 30 rifugiati e richiedenti asilo accolti dalle parrocchie di Roma, tra cui alcuni bambini . Al suo fianco c’era il cardinale Vallini che, in Basilica, ha poi pubblicamente ringraziato per il suo ministero decennale che si concluderà il prossimo 29 giugno. Con una battuta: «Il cardinale non va in pensione perché sta in sei congregazioni, e un napoletano senza lavoro sarebbe una calamità in Diocesi».

Pubblicato il 19/06/2017 –
salvatore cernuzio 
città del vaticano

 

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