Papa Francesco e la Bibbia da usare come il cellulare
“Che cosa succederebbe se trattassimo la Bibbia come il nostro cellulare?”. Parole estremamente chiare quelle di Papa Francesco che vanno a toccare i milioni di utenti di telefonia sparsi per il mondo, tutti quelli, e sono tanti, che senza il telefono cellulare si sentono persi. Già, persi davanti ad uno strumento costosissimo e che va sempre aggiornato e del quale si deve possedere l’ultimo modello? E la Bibbia? Ecco le parole del Pontefice.
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno! In questa prima domenica di Quaresima, il Vangelo ci introduce nel cammino verso la Pasqua, mostrando Gesù che rimane per quaranta giorni nel deserto, sottoposto alle tentazioni del diavolo (cfr Mt 4,1-11). Questo episodio si colloca in un momento preciso della vita di Gesù: subito dopo il battesimo nel fiume Giordano e prima del ministero pubblico. Egli ha appena ricevuto la solenne investitura: lo Spirito di Dio è sceso su di Lui, il Padre dal cielo lo ha dichiarato «Figlio mio, l’amato» (Mt 3,17). Gesù è ormai pronto per iniziare la sua missione; e poiché essa ha un nemico dichiarato, cioè Satana, Lui lo affronta subito, “corpo a corpo”. Il diavolo fa leva proprio sul titolo di “Figlio di Dio” per allontanare Gesù dall’adempimento della sua missione: «Se tu sei Figlio di Dio…», gli ripete (vv. 3.6), e gli propone di fare gesti miracolosi – di fare il “mago” – come trasformare le pietre in pane per saziare la sua fame, e buttarsi giù dalle mura del tempio facendosi salvare dagli angeli. A queste due tentazioni, segue la terza: adorare lui, il diavolo, per avere il dominio sul mondo (cfr v. 9). Mediante questa triplice tentazione, Satana vuole distogliere Gesù dalla via dell’obbedienza e dell’umiliazione – perché sa che così, per questa via, il male sarà sconfitto – e portarlo sulla falsa scorciatoia del successo e della gloria. Ma le frecce velenose del diavolo vengono tutte “parate” da Gesù con lo scudo della Parola di Dio (vv. 4.7.10) che esprime la volontà del Padre. Gesù non dice alcuna parola propria: risponde soltanto con la Parola di Dio. E così il Figlio, pieno della forza dello Spirito Santo, esce vittorioso dal deserto. Durante i quaranta giorni della Quaresima, come cristiani siamo invitati a seguire le orme di Gesù e affrontare il combattimento spirituale contro il Maligno con la forza della Parola di Dio. Non con la nostra parola, non serve. La Parola di Dio: quella ha la forza per sconfiggere Satana. Per questo bisogna prendere confidenza con la Bibbia: leggerla spesso, meditarla, assimilarla. La Bibbia contiene la Parola di Dio, che è sempre attuale ed efficace. Qualcuno ha detto: cosa succederebbe se trattassimo la Bibbia come trattiamo il nostro telefono cellulare? Se la portassimo sempre con noi, o almeno il piccolo Vangelo tascabile, cosa succederebbe?; se tornassimo indietro quando la dimentichiamo: tu ti dimentichi il telefono cellulare – oh!, non ce l’ho, torno indietro a cercarlo; se la aprissimo diverse volte al giorno; se leggessimo i messaggi di Dio contenuti nella Bibbia come leggiamo i messaggi del telefonino, cosa succederebbe? Chiaramente il paragone è paradossale, ma fa riflettere. In effetti, se avessimo la Parola di Dio sempre nel cuore, nessuna tentazione potrebbe allontanarci da Dio e nessun ostacolo ci potrebbe far deviare dalla strada del bene; sapremmo vincere le quotidiane suggestioni del male che è in noi e fuori di noi; ci troveremmo più capaci di vivere una vita risuscitata secondo lo Spirito, accogliendo e amando i nostri fratelli, specialmente quelli più deboli e bisognosi, e anche i nostri nemici. La Vergine Maria, icona perfetta dell’obbedienza a Dio e della fiducia incondizionata al suo volere, ci sostenga nel cammino quaresimale, affinché ci poniamo in docile ascolto della Parola di Dio per realizzare una vera conversione del cuore. Dopo l’Angelus il Papa è partito per gli esercizi spirituali quaresimali Ascolto la voce del Signore, che parla in modo umile, oppure metto il mio personale tornaconto davanti al Regno di Dio? Nella prima meditazione degli Esercizi spirituali predicati a Papa Francesco e alla Curia Romana, padre Giulio Michelini ha esortato i presenti (74) a porsi alcune domande sulla propria vita spirituale. Base di partenza della meditazione odierna è “la confessione di Pietro e il cammino di Gesù verso Gerusalemme” nel Vangelo di Matteo. Gesù prendeva le sue decisioni nella preghiera non attraverso sogni o maghi, come faceva invece Alessandro Magno, secondo il racconto di Plutarco. Padre Michelini quindi ha invitato i presenti a domandarsi come si prendano le decisioni importanti della propria vita: “Sulla base di quale criterio faccio discernimento? Decido d’impulso, mi lascio prendere dall’abitudine, metto me stesso e il mio tornaconto personale davanti al Regno di Dio? Ascolto la voce di Dio, che parla in modo umile?”. Pietro e la tradizione rabbinica sulla voce di Dio attraverso i piccoli: umiltà di ascoltarci. Quindi padre Michelini si è concentrato sulla figura di Pietro e sulla tradizione rabbinica. Pietro riconosce che Gesù è il Messia per rivelazione. Da qui il francescano suggerisce che il Padre abbia parlato non solo per mezzo del Figlio, ma abbia parlato al Figlio, Gesù, anche attraverso Pietro. E’ Gesù che rivela poco per volta la sua vocazione, ma compie gesti anche perché sollecitato da altri. Nella vita di Gesù di Nazareth molto spazio è lasciato agli incontri, che incidono sulla sua missione. Secondo la tradizione giudaica, poi, con la fine della grande profezia, si riteneva che Dio continuasse a parlare in modi molto umili, come ad esempio attraverso la voce dei bambini e dei folli. Con una comunicazione simile al sussurro di un vento leggero come accadde ad Elia sul monte Oreb. Ho l’umiltà di ascoltare Pietro? Abbiamo l’umiltà di ascoltarci gli uni gli altri, facendo attenzione ai pregiudizi o alle pre-letture che certamente abbiamo, ma attenti a cogliere quello che Dio vuole dire nonostante – magari – le mie chiusure? Ascolto la voce degli altri, magari debole, o ascolto solo la mia voce?”. Padre Michelini si sofferma poi sull’interpretazione di quegli studiosi che ritengono che Gesù sapesse quanto stava per accadere. Nel Vangelo di Matteo si dice che Gesù si ritirava, un verbo che nel greco antico indicava la ritirata degli eserciti di fronte a una sconfitta o ad un pericolo. Anche Gesù sembra ritirarsi alla notizia della arresto del Battista e quando sa che i farisei vogliono ucciderlo ma tutte queste ritirate strategiche, non sono per fermarsi: dopo essersi ritirato, Gesù fa delle cose concrete cioè inizia ad annunciare il Regno e guarisce i malati. Tra i tanti riferimenti che arricchiscono la meditazione del frate minore anche quello ad Hanna Arendt che parlava della banalità dal male, in riferimento a come i gerarchi nazisti parlavano delle atrocità da loro compiute, e questo in riferimento all’efferatezza con cui viene compiuta l’uccisione di Giovanni Battista in seguito alla richiesta di Erodiade. E al rabbino Hillel, perché Gesù continua la missione assumendo sempre nuove responsabilità fino a quella che lo porterà a Gerusalemme. Da qui lo spunto per l’ultima riflessione: “Mi chiedo se ho il coraggio di andare fino in fondo per seguire Gesù Cristo, mettendo in conto che questo comporta portare la croce, come lui ha detto, annunciando la risurrezione, la gioia, ma anche la prova: ‘Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua’. Dopo la sosta per il pranzo e qualche ora di riposo e meditazione nel pomeriggio sono ripresi gli esercizi spirituali con la seconda meditazione dedicata al tema: “Le ultime parole di Gesù e l’inizio della Passione” nel Vangelo di Matteo. “Terminati tutti i discorsi”, Gesù annuncia che sarà consegnato per essere crocifisso. Il brano del Vangelo di Matteo da cui parte la meditazione pomeridiana dà l’opportunità a padre Michelini di soffermarsi sul silenzio di Gesù davanti agli oppositori, caratteristico della Passione. Potremmo dire che le parole in alcuni momenti non servono affatto come quando gli interlocutori sono dei potenziali antagonisti o il potere non permette di pronunciarne, ha sottolinea l’oratore francescano. Anche Francesco d’Assisi dice ai frati di stare fra gli infedeli in due modi: annunciando il Vangelo se possono oppure con la loro semplice presenza vivificante. A volte anzi le parole possono danneggiare, come diceva il Baal Shem Tow, rabbino e ritenuto il fondatore del moderno chassidismo: “Le parole che escono dalle labbra dei maestri e di coloro che pregano, ma non da un cuore rivolto al cielo, non salgono in alto, ma riempiono la casa da una parete all’altra e dal pavimento al soffitto”. Gesù quindi tace di fronte a chi lo riteneva un bestemmiatore, a chi lo vuole distruggere. E’ un silenzio che si spezza con il colpo di lancia e il grido con cui termina la sua esistenza terrena. Ci sono però vari tipi di silenzio, nota il francescano: c’è un silenzio rancoroso di chi medita vendette oppure il silenzio che, come disse Elie Wiesel, “non aiuta mai la vittime”. Quello di Gesù nella Passione è un silenzio disarmante, disarmato e sereno. Ma oltre al silenzio di Gesù, c’è “il silenzio più bruciante, quello di Dio”. E Gesù si affida a quel silenzio del Padre. “Pensando al silenzio di Gesù, mi domando anzitutto se comunico la fede solo con parole o se la mia vita è evangelizzante. Mi chiedo poi di che tipo sono i miei silenzi, e in relazione all’ufficio ecclesiale che svolgo, se sono colpevole di silenzi che non ci sarebbero dovuti essere”. Altri personaggi che compaiono in questo brano del Vangelo di Matteo sono Caifa, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, che decidono di catturare Gesù ma non durante la festa per evitare una rivolta. Non si tratta di stigmatizzare gli ebrei, perché questo atteggiamento riguarda una gerarchia religiosa che può esserci in ogni forma di istituzione umana. Si tratta di un atteggiamento che perde la prospettiva giusta credendo di servire Dio. Emerge quindi il confronto fra due logiche: da una parte c’è Gesù, un ebreo osservante ma laico che si prepara a celebrare la Pasqua e dall’altra i sommi sacerdoti che si preparano a uccidere un innocente, che si preoccupano della festa nel senso dello svolgimento esteriore. Subito dopo, il Vangelo propone l’unzione di Betania: una donna versa del profumo prezioso sul capo di Gesù. La scena viene trasmessa da tutti e quattro i Vangeli anche se in con alcune differenze. Gesù difende questa donna che sembra l’unica a capire quanto sta per accadere a Gesù, e fa un gesto fortemente simbolico. L’unzione è un’unzione regale ma può essere interpretata anche come un’unzione funebre. Gesù loda il gesto di quella donna e respinge le argomentazioni di chi dice che i soldi spesi per quel profumo caro potevano essere dati ai poveri perché, come ricorda Sergio Quinzio, quello era il momento per servire Gesù. Padre Michelini quindi ha ricordato i tanti poveri: “molti poi sono quelli che non hanno il coraggio di bussare alle nostre porte, e verso i quali dovremmo andare noi. Se poi siamo sinceri e ci guardiamo dentro, non possiamo non mettere anche noi tra quei poveri: ognuno è, in fondo, un povero per l’altro. Le parole di Gesù dicono che la sua missione non termina con la sua esistenza storica, e infatti procede con l’impegno della comunità credente verso tutti i poveri, noi compresi”. Per concludere la sua riflessione padre Michelini ha raccontato un’esternazione ricevuta da una clarissa in merito proprio allo “spreco” del profumo prezioso da parte della donna che unge Gesù. Quella donna, come le claustrali rende visibile con tutta la vita il dono che per primi abbiamo ricevuto da Gesù: che tutto si è offerto a noi. Quindi l’esortazione a tenere assieme l’amore per Dio e quello per il prossimo: “Mi domando se scelgo solo una parte – quella più congeniale a me, o quella più ‘facile’, e quindi ungo i piedi a Gesù, magari con la liturgia, la preghiera, tralasciando i poveri, oppure mi dedico ai poveri, ma dimentico di pregare e dare onore a lui. Riesco a tenere insieme l’amore per Dio e quello per il prossimo”.