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Paride Del Pozzo e la Napoli aragonese

Posted by on Giu 12, 2018

Paride Del Pozzo e la Napoli aragonese

Preziosa figura di erudito della Napoli aragonese, Paride Del Pozzo fu giurista a suo tempo celebrato quanto oggi dimenticato.

La famiglia del Pozzo, di origine longobarda, proveniva da Alessandria della Paglia e da tempo aveva concluso il suo pellegrinare al cospetto dei Monti Lattari, a Pimonte dove, nel 1410, nacque il nostro Paride.

Del Pozzo fu al servizio di Re Alfonso guadagnandosi encomi e fiducia. Ricoprì incarichi di grande rilevanza, fu infatti Uditore generale nonché Inquisitore generale del Regno di Napoli. La sua fama crebbe anche sotto re Ferrante al punto tale che veniva consultato da tutta Europa intervenendo sulle più

svariate questioni, dal duello all’omicidio, mostrandosi colto esperto di scritture antiche e sacre.

Gli si attribuiscono due testi di grande interesse. Il primo di essi è il singolare “De Syindicatu”.

In quest’opera riferì alcune strane vicende che ebbero per interpreti visibilissime ferite che sanguinavano al cospetto di probabili o improbabili assassini seguendo l’assunto alla base dello “jus feretri”.

La convinzione che un cadavere, alla presenza del suo assassino, potesse iniziare a perdere sangue era ancora ben viva in pieno Rinascimento e Paride Del Pozzo se ne fece difensore. Ad esempio, nel libro raccontò l’incredibile vicenda di parenti di un morto ammazzato, che, sospettando del crimine due cacciatori, li fecero sottoporre allo ius feretri smascherando la loro responsabilità. I due toccarono il cadavere giurando di essere innocenti ed una copiosa sprizzata di sangue sgorgò davanti a tutti. La cruentatio cadaveris, cioè il sanguinamento del corpo in presenza dei suoi assassini, pose fine alla querelle garantendo una “affidabile e definitiva” prova indiziaria.

Il fatto desta sicuramente sconcerto e ci catapulta nel pieno di un’epoca ancora lontana dalla modernità, ma Paride del Pozzo pubblicò anche un’altra opera di successo che ben descrive il suo tempo: “Duello”.

In una Napoli che ribolliva di spirito cavalleresco, giostre e duelli impegnavano continuamente la nobiltà. Del Pozzo, che di questo ambiente fu figlio, ammetteva l’uso delle armi in una contesa personale servendosi di erudite citazioni bibbliche che davano al duello la

configurazione di istituto giuridico lecito. Il duello, al pari delle guerre, procedeva da Dio per punire gli “inobedienti” e per la “ruina de tiranni”: l’esempio di Davide che combattè con Golia valga su tutti.

Nella “particulare battaglia”, pur espressione di giudizio divino, i cavalieri combattevano per “chiara fama conservare, et sempre guardare lo honore immaculato, et inleso per la gloria del mundo, et per la verità non permectendose denigrare, ne maculare da nullo improbo che offendere se disponesse”.

Del Pozzo escluse che il duello potesse permettersi tra non nobili o non cavalieri. Era ammessa solo “gente d’armi” che desse prova, nel tutelare il proprio onore, di valore e perizia nella disciplina militare. Fissate delle regole a garantire condizioni di equità tra i duellanti, le sorti dello scontro non apparivano a Del Pozzo dettate dalla forza, nè dai pianeti, ma dovute a “virilità, ingegno e gagliardia” (G. Monorchio, Lo specchio del cavaliere).

Il testo ebbe tale rinomanza da essere citato in tutti i successivi trattati come fonte fondamentale, garantendo fama europea all’autore che pure G. Tiraboschi nella sua “Storia della letteratura italiana” stimò “uomo più erudito, che non solevano comunemente i Giureconsulti di quell’età”. Primo trattatista del duello giudiziario d’onore, Paride Del Pozzo morì a Napoli nel 1493 e fu sepolto nella Chiesa di Sant’Agostino.

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

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