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PREMIO TURNER PER LE ARTI VISIVE CONTEMPORANEE

Posted by on Giu 15, 2022

PREMIO TURNER PER LE ARTI VISIVE CONTEMPORANEE

Il Premio Turner per le arti visive contemporanee fu creato nel 1984 dall’associazione “Tate Gallery’s Patrons of New Art” e immediatamente divampò la polemica.  La sua storia, segnata persino da una bancarotta degli sponsor nel 1990 che portò alla sua temporanea sospensione, rimane tribolata fino ai nostri giorni.

Già alla sua creazione la questione su quale dovesse essere lo spirito che anima, nonchè le norme che regolano, un premio per l’“arte nuova” nella società moderna, fu oggetto di accese polemiche.

Era giusto scegliere quale eponimo il Turner, famoso ed originale pittore paesaggista dell’ottocento, considerando l’ovvia differenza tra le sue produzioni e quelle degli artisti contemporanei?

Non era il concetto stesso di premio, e quindi di gara, e quindi di vincitore, avvilente ed indegno del sacro nome dell’arte?

Il proporre una lista di potenziali candidati al premio non avrebbe forse avvilito I non premiati facendone dei perdenti loro malgrado, perdenti per giunta di una gara cui non avevano mai chiesto di partecipare.?

Le opere di quali artisti avrebbero dovuto considerarsi?  Dei “vecchi” con una reputazione già fatta o dei “giovani” talenti sconosciuti?  Questione pertinente, giacchè nel primo caso il premio avrebbe avuto il carattere di un riconoscimento del merito, nel secondo di uno sprone ed un incentivo.  E se la lista dei candidati fosse stata mista, come allora regolarsi?

Infine non mancarono iniziali allarmi sui “misteriosi” finanziatori del premio –poi rivelatosi un filantropico gentiluomo di ampi mezzi- e sul suo possibile sfuttamento ai fini di manovre speculative tendenti a far aumentare il valore di mercato delle opere di Tizio o di Sempronio.

Queste discussioni e nei loro contenuti e nelle soluzioni proposte, proteiformi e sempre cangianti, rispecchiano pienamente gli atteggiamenti e le preoccupazioni della società contemporanea.

Facciamone brevente la storia.  Il primo vincitore del premio, nel 1984,, viveva all’estero da quasi 30 anni e non si prese neppure il fastidio di ritirarlo.  Fu deciso quindi, nel 1987, che il premio sarebbe stato assegnato a chi avesse dato il contributo più “rilevante”, non necessariamente il “maggiore”, all’arte in Gran Bretagna.  In tal modo questo non sarebbe più stato esclusivo appannaggio di chi la fama proclamava il maggiore artista britannico vivente. 

Ulteriori, e contraddittorie, modifiche vennero introdotte l’anno successivo, in seguito alle quali fu deciso che il premio sarebbe stato riservato esclusivamente ad artisti propriamente detti, nè la lista dei candidati avrebbe più incluso, come fino ad allora, ed in omaggio alla precedente definizione del “contributo rilevante”, critici d’arte, soprintendenti di musei e addirittura amministratori.  La lista stessa dei potenziali candidati, da sempre invisa, fu soppressa nello stesso anno per poi essere in seguito reintrodotta, benchè con alcune modifiche.  Nel 1991. trovato un nuovo sponsor e raddoppiato l’ammontare del premio, per la prima volta si introdusse un limite di età per i partecipanti.  Per enfatizzare il fatto che sarebbero stati considerate meritevoli soltanto opere recentissime, non solo gli artisti di più di 50 anni furono esclusi, ma anzi, per far meglio, nella lista furono subito inseriti tre “bambini prodigio” di meno di 30 anni. 

Ma la tormentata storia della lista non finì qui.  Suscitò infatti l’indignazione dei benpensanti liberali nel 1996 per non contenere il nome di nessuna donna, e ancora l’anno successivo quando, nuovo scandalo, per rimediare fu compilata una lista di sole donne, in omaggio, si protestò, alla correttezza politica. 

Ci si chiese infine chi fosse questa elite, o meglio questa conventicola, dal momento che elite presuppone il concetto di superiorità, che si arrogava il diritto di formare una lista e quindi di assegnare il premio.  Tanta sicumera in una società moderna, illuminata e democratica, si disse, era intollerabile.

Così la critica si divise sulla questione quando nel 1999 fu premiato il “capolavoro” di Tracy Emin,My Bed”, (il mio letto), semplicemente un letto disfatto, ed anche alquanto sudicetto, che fece passare in secondo piano tutte le altre opere esposte.

Anzicchè riderene, si discusse seriamente se la comprensione dell’opera d’arte dovesse essere accessibile al pubblico in generale o a pochi eletti.  I mass media si gettarono nell’arengo e, poichè si era all’alba della strabiliante vittoria Laburista al governo e il “Popolo” entrava dappertutto, la brava Tracy fu acclamata quale “artista del Popolo” dal “Financial Time”, al tempo entusiasta sostenitore del nuovo ordine.  A rigor del vero, va ricordato però che l’allora ministro laburista per la cultura, e ciò sia detto interamente a suo onore, protestò, asserendo che i giovani artisti britannici redevano la nazione ridicola all’estero.  Passarono quindi un paio d’anni e nel 2001, dalle pagine dell’“Evening Standard”, l’oracolo di Brian Sewell invitò i lettori a formare la “loro” lista di candidati, denunciando nel contempo la natura poco democratica del processo di selezione.  Il vincitore di quell’anno?  Martin Creed, con una sua opera, senza titolo, consistente in una stanza in cui la luce era alternativamente accesa e spenta, nè piu’, nè meno.  A buon intenditor…

Il 2002 segnò un’altra decisiva vittoria per la democrazia sull’elitismo.  Fu in quest’anno infatti che il quotidiano di sinistra il “Guardian”, pubblicò, mettendoli alla portata del grande pubblico, i moduli per la nomina dei candidati, fino allora introvabili se non in specializzate riviste d’arte.  Inoltre, alla Galleria Tate stessa, sede del premio, i visitatori furono incoraggiati a lasciare i loro commenti, scrivendoli su appositi tabelloni, così da poter decidere “autonomamente”.

Il 2004, dominato dalla politica e dalle tensioni internazionali a seguito del dibattito sulla guerra in Iraq, vide una lista in cui gli artisti, fossero anche scultori come Yinka Shonibare, senza alcuna eccezione, non presentarono che film.  C’è bisogno di dirlo?  La polemica sulla differenza e iI confini tra film d’arte e documentario scoppiò immediatamente accesissima.  Al contario l’annuncio della scelta del vincitore fu accolta con equanimità e per una volta tutti, critici, pubblico e…ricevitori di scommesse…si trovarono d’accordo che nell’assegnare il premio a Jeremy Deller si era presa la decisione giusta.

Ma quali sono state le opere presentate, o meglio ancora premiate e quindi considerate più rappresentative della arte moderna britannica e che tipo di individui ne sono gli autori?  Basterà ricordarne alcuni.  Si sono già citati Tracy Emin con il suo letto e Martin Creed con il suo interruttore della luce.  Non mancano altri esempi significativi.  Rachel Whiteread vinse nel 1993 con la sua opera “House”, (casa), il modello a grandezza naturale, ottenutoper mezzo di una gran colata di gesso e resine, dell’interno dell’ultima casa rimasta intatta in una fila di edifici dell ‘800, nell’East End di Londra, che l’amministrazione locale si era intestardita ad abbattere.  Di più difficile comprensione sarebbe forse potuto risultare l’opera di Vong Phaophanit “Neon Rice Field”, (campi di riso al neon). Al contrario, il pubblico intervistato dal quotidiano conservatore Daily Telegraph sembrò trovarlo intelligibilissimo.  Fortunati loro.  Si trattava in pratica di un mucchio di riso su cui erano stati tracciati dei solchi nei quali, a loro volta, erano stati collocati dei tubi al neon fluorescenti.  I commenti, tradotti verbatim dal sito internet ufficiale del premio Turner, la dicono lunga: “Molti membri del personale (sic) commentarono che il caldo alone di luce rossa (dei tubi al neon) dava loro un forte senso della forza vitale contenuta in questo semplice alimento da cui dipende la vita di metà del pianeta, ed il pubblico sembava godere della sua bellezza priva di artifici”.  Beati I poveri di spirito.

Il 1995 fu un anno dei piu emozionanti, con articoli sui giornali popolari al limite della frenesia.  Fu infatti l’anno della vittoria del famigerato Damien Hirst, l’artista della formaldeide.  Il suo capolavoro, “Mother and Child, Divided” (madre e figlio divisi) “era”, letteralmente, non “rappresentava”, una mucca ed il suo vitellino dissezionati longitudinalmente e preservati appunto in folmaldeide.  L’afflusso di visitatori fu senza precedenti, benchè curiosità simili, anche se su scala ridotta, si possano “ammirare” in qualunque gabinetto anatomico.  Nel1998 il vincitore, Chris Ofili, volle rettificare la diceria sparsasi sul suo conto che egli usava per dipingere colori mescolati… ad escrementi di elefante!  Ci tenne anzi a precisare che egli si avvaleva di riferimenti culturali che spaziavano dalla Bibbia, alle riviste pornografiche, naturalmente, dai fumetti a William Blake.  Gli escrementi d’elefante c’entravano, ma, siamo giusti, venivano usati solo per creare un senso di “tensione”, presentando con il loro aspetto repellente un “piacevole”contrasto, con la bellezza delle sue pitture.

Per i disegnatori di vignette satiriche tutto ciò, si comprende bene, fù una vera manna dal cielo. 

Il 2000 fu un altro anno all’insegna The shock value.  Il vincitore, altro giovane talento, Wolfgang Tillmans, ci spiegarono I critici d’arte, usava la fotografia per attaccare l’estetica ed I canoni raffigurativii convenzionali.  Si venivano così a creare, sono sempre I critici che parlano, “poderose immagini di grande risonanza artistica” quali ad esempio quella che vede… un uomo mezzo nudo urinare su una sedia!

Grayson Perry, vincitore per il 2003, applicava evidentemente l’onorato principiodell’insegnare dilettando.  In pratica egli aveva prodotto delle terrecotte su cui erano dipinte scene ritraenti i mali che affliggono la nostra società.  Sembrerebbe un concetto abbastanza semplice, ma non è così.  Le sue creazioni furono definite “belle e conturbanti”.  Il mondo artistico e quello dell’artigiananto si dichiararono entrambi confusi da oggetti che trascendevano sia l’uno che l’altro.  L’autore stesso si considerava un guerrigliero che combatteva, e probabilmente ancora combatte, una importante battaglia ideologica, insinuando, novità inaudita, un “messaggio” o una polemica attraverso oggetti apparentemente creati solo per il piacere degli occhi.  Contribuì alla sua fama il fatto che essendo un “travestito” apparve in tal guisa sui maggiori quotidiani, sotto il grazioso pseudonimo di Clara.  L’alternativa?  Non vinsero per un pelo I fratelli Chapman, considerati i grandi favoriti di quell’anno, che presentavano sculture di carattere esplicitamente sessuale affiancando delle bambole gonfiabili ad una serie di stampe del Goya modificate all’uopo.  Ma fermiamoci qui.

È facile comprendere come tutto ciò “faccia notizia” e faccia vendere I giornali, in una società in piena decadenza, avida di scandali e che non desidera altro che essere divertita.

C’è poi un’altra considerazione più grave.  Se l’eccentricità inglese è rinomata, è forse meno noto l’elemento anarchico presente nel carattere di questa nazione in generale tanto disciplinata.

La sua espressione più tipica per quanto riguarda l’avanguardia artistica, e non solo questa, è il famigerato ‘shock value’.  Questa è la capacità di sbalordire, considerata per se stessa un “valore”, non si capisce bene se positivo o negativo, indipendentemente dal suo effetto, dalla reazione cioè e dalle conseguenze che seguiranno allo “scossone”, allo “shock” appunto.  È in pratica la provocazione gratuita, l’offesa voluta e premeditata al decoro, alla dignità e al senso morale.  Che ormai per il premio Turner lo shock ed il sensazionalismo siano non più un accidente ma la sostanza, è dimostrato dal fatto che nel 2004 la sua assegnazione fu considerata “una barba” perchè prevedibile, incontroversa e non oggetto di polemiche.

Io vorrei presentare alcune considerazioni affatto personali.  Viviamo in una epoca Barocca, nel senso più deteriore.  Vivere sotto lo stesso sole che ha illuminato Omero e cioè in sintonia di gusti, aspirazioni e ideali con le generazioni che ci hanno preceduto, è sentimento tanto poco diffuso quanto poco raccomandato.  Ne consegue che Prassitele è considerato una fonte di ispirazione inferiore all’umile artista africano, Le Corbusier un architetto superiore a Fidia. 

Ma se il rigetto della tradizione classica e dei canoni, rigetto si badi e non superamento, richiama alla mente, mutatis mutandis, l’antica “Polemica dei moderni e degli antichi”, forse allora è il mio povero parere, davvero piuttosto che il povero Turner, sarebbe stato più appropriato scegliere quale eponimo del premio un equivalente anglosassone di Giovambattista Marino.

Mi si conceda di parafrasare quel capo ameno del mio connazionale e proclamare: “È dell’artista il fin la meraviglia/ chi non sa far stupir vada alla striglia!”.

Che le opere presentate alla Tate Britain alla commissione giudicante del premio Turner abbiano del meraviglioso, è cosa innegabile.  Tuttavia, mentre una società cattolica e monarchica, e quindi autoritaria quale quella del XVII secolo, aspirava necessariamente “ad altiora” e la “meraviglia” vi erà generata dalla contemplazione dell’Empireo da un canto e dell’Olimpo dall’altro, in una società agnostica, democratica e quindi egualitaria e libertaria quale quella inglese moderna, I sillogismi sono difettivi, come diceva il padre Dante, e “verso terra fanno batter l’ali”..

I risultati sono quelli descritti, tanto che, a rischio di essere tacciati di reazionaria ignoranza e mancanza di gusto, non si può fare a meno di pensare che molti giovani artisti contemporanei, nonostante la meraviglia, o piuttosto lo sgomento, che indubbiamente si prova dinanzi alle loro opere, troverrebero un’occupazione assai più consona, onesta e dignitosa se si impiegassero come mozzi di stalla.  Infatti, se al “concettismo” barocco corrisponde la concettualizzazione dell’arte moderna e ad una “Bella pidocchiosa” un vero letto disfatto, il meno che si possa dire, o pensare, èche almeno il Narducci sapeva far le rime, mentre la poveraEmin è una sciattona che non sa neanche rifarsi il letto….

Il che ci riporta al Turner, laddove è difficile comprendere cosa abbiano in comune l’uso davvero geniale, e solidamente innestato nella tradizione accademica, che questi faceva dei pigmenti della sua tavolozza, con un interrutore della luce o una mezza dozzina di tubi al neon e un paio di sacchi di riso.  A ciò si risponde che anche il Turner ai suoi tempi, in quanto innovatote fu oggetto di aspre critiche; ma oggi, è considerato un grande maestro, ergo…Ma il sofisma mi pare evidente.  Se il Turner fu oggetto di critiche ai suoi tempi per le sue innovative soluzioni pittoriche, ed è oggi considerato un vero genio della pittura, uno dei grandi maestri del colore, aggiungo doverosamente “benchè senza seguaci”, non ne consegue che sia considerato un genio perchè fu oggetto di critiche, o che chi sia oggetto di critiche oggi sarà necessariamente considerato un grande artista un domani… e così via dicendo.

Non bisogna però prendersela troppo a cuore.  La polemica, da venti anni ricorrente, è entrata ormai nella tradizione e scandisce il ritmo dell’anno londinese, così come l’Esposizione estiva alla Regia Accademia delle Belle Arti, I saldi di Harrod’s e lo spuntare dei primi mughetti o il fiorire dei rododendri nei parchi reali.  I disegnatori di vignette umoristiche hanno ampio materiale per le loro satire e, da quando c’è stata una “vocatio ad populum”, il bonario pubblico inglese, grazie al suo senso dell’umorismo, si diverte tanto alle eccentricità della “sua” avant-guarde, dei suoi “artistic lions”, quanto alle avventure, o disavventure, dei suoi calciatori ultramiliardari.  Forse ormai, con buona pace di qualche filantropico intellettuale, al “popolo” chi vincerà il Turner Pize interessa poco più, o poco meno, di chi perderà l’“Eurovision Contest”.

Paolo Ferrante

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