Quando l’asino era simbolo di conoscenza… del male
Nel suo Metamorphoseon, l’unico romanzo antico latino giunto fino a noi in forma integrale, Apuleio descrive la trasformazione di un uomo in asino in modo grottesco-caricaturale. Nell’antichità, a partire almeno da Platone, l’asino era simbolo non tanto di ignoranza, come nella cultura attuale, bensì del male e di istinti bassi, animaleschi, libidinosi.
Sant’Agostino ribattezzò il Metamorphoseon libri XI (ovvero Gli undici libri delle Metamorfosi) con l’espressione Asinus aureus. Con questo nome si diffuse spesso quest’opera di Apuleio, l’unico romanzo antico latino giunto fino a noi in forma integrale, un genere composto da una mescidanza eterogenea di generi letterari differenti.
A differenza dell’altro romanzo antico latino (il Satyricon), il Metamorphoseon ha un profondo significato religioso nascosto all’interno di vicende avventurose e segnalato dal numero dei libri in cui è strutturata l’opera: undici è un numero anticlassico, simbolo dell’iniziazione al culto di Iside (perché undici erano i giorni che occorrevano per diventare adepti della dea). Virgilio aveva strutturato l’Eneide in dodici libri, dividendola in due esadi: l’iliadica e l’odissiaca. I due grandi poemi greci, l’Iliade e l’Odissea,erano composti di ventiquattro libri. Uno scrittore classicodi età augustea non avrebbe mai diviso la propria opera in undici libri. Proprio l’undicesimo libro del Metamorphoseon è, invece, fondamentale per la comprensione del piano religioso del testo.
La struttura dell’Asinus aureus è quadripartita: la prima parte (I-III) racconta il viaggio del protagonista Lucio in Tessaglia fino alla sua trasformazione in asino, la seconda (IV-VI) è costituita dalla storia di Amore e Psiche, la terza (VII-X) include le vicissitudini di Lucio fino alla risoluzione finale (libro XI), quando la bestia può riprendere forma umana grazie all’intervento salvifico della dea Iside.
La parte introduttiva è, quindi, il racconto che funge da cornice alla storia. Partito per la Tessaglia, terra di magia, teatro delle arti magiche anche della maga Eritto nell’opera epica lucanea Pharsalia, Lucio trova ospitalità presso l’usuraio Milone, marito della maga Panfile. Anche lui desidererebbe diventare un gufo, come la padrona di casa Panfile, che sa trasformarsi avvalendosi degli unguenti che ha preparato. Lucio assiste alla trasformazione della donna:
Ecco allora che cominciano a spuntare le piumette più soffici, crescono quindi le più forti penne, il naso si fa curvo e s’indurisce, le unghie si trasformano in artigli. E Panfile diventa un gufo! Allora emette uno stridulo grido, si sperimenta già saltellando per terra poco alla volta, poi, slanciatasi all’improvviso in alto, se ne vola di fuori ad ali spiegate (Metamorphoseon III, 21).
Il gufo era considerato animale legato alla malasorte per Greci e Romani. Immagini di gufi avevano valore apotropaico, servivano, cioè, a scacciare il malocchio. Panfile si è trasformata in gufo per volare dal suo amante. La dimensione della magia si lega così nell’opera a quella dell’erotismo e della libidine sessuale. Per la brama di diventare anche lui gufo Lucio chiede aiuto alla serva Fotide, con cui ha intrecciato una relazione amorosa, che, però, sbaglia ampolla. Il protagonista racconta direttamente in prima persona la sua disavventura:
Dopo avermi ripetuto più volte tali assicurazioni, entrò tutta emozionata in quella stanzetta e prese dallo scrigno il vasetto. Come io l’ebbi fra le mani, me lo strinsi al petto e cominciai a baciarlo pregando che mi facesse fare voli felici, poi, liberatomi in fretta di tutti i vestiti, immersi avidamente le dita nel barattolo e preso un bel po’ di unguento me lo spalmai su tutto il corpo. Poi, agitando le braccia su e giù mi misi a fare l’uccello, ma niente: penne non ne spuntavano e nemmeno piume; piuttosto i peli cominciarono a diventare ispidi come setole, la pelle, delicata com’era, a farsi dura come il cuoio, alle estremità degli arti le dita si confusero, riunendosi in una sola unghia e in fondo alla colonna vertebrale spuntò una gran coda. Poi eccomi con una faccia enorme, una bocca allungata, le narici spalancate, le labbra penzoloni, mentre smisuratamente pelose mi erano cresciute le orecchie. Nulla in quell’orribile metamorfosi di cui potessi per qualche verso compiacermi, se non per il mio arnese diventato grossissimo, ma proprio quando, ormai, non potevo più tener Fotide tra le mie braccia (Metamorphoseon III, 24).
La descrizione della trasformazione in asino ha una chiara valenza comica. La gradazione di cui si avvale Apuleio è quella grottesco-caricaturale. Il grottesco consiste nell’esagerazione di una caratteristica del personaggio tanto che la complessità della persona è ridotta a un solo aspetto che viene presentato come l’unico, cifra che contraddistingue e definisce il personaggio stesso. Il grottesco svilisce e degrada la complessità dell’umano. Una particolare forma di grottesco è quello caricaturale, tipico della descrizione letteraria come pure della pittura. Che cosa simboleggia l’asino? Platone scrive nel Fedone:
Quelli, per esempio, che si dettero a gozzoviglie e a violenze carnali e a stravizi del bere, e da codeste passioni non si guardarono, è verosimile che prendano corpo in forma di asini e di simili bestie.
Apuleio conosce bene il Fedone perché l’ha tradotto in latino. Anche nella religione egizia l’asino è legato al male, tanto che il dio Seth è rappresentato con la testa di quell’animale. Nell’antichità l’asino era simbolo non tanto di ignoranza, come nella cultura attuale, bensì del male e di istinti bassi, animaleschi, libidinosi. I simboli sono sempre figli di un certo contesto storico, geografico, culturale.
Nel suo viaggio Lucio incontra un mondo pervaso dall’empietà, ma conosce anche il suo male, i suoi vizi, la lascivia, la gola, la violenza. La sua trasformazione in asino è una vera e propria catabasi, una discesa agli Inferi, dove sperimenta, con le nuove fattezze, la bestialità del degrado dell’uomo ad animale, dedito solo alla corporeità e privo della parola. Spinto da un’insana curiositas, divenuto asino, Lucio vorrebbe prendersela con Fotide «per questo bel guaio». Comprende, però, che la serva è la sua sola speranza, l’unica che è a conoscenza della trasformazione avvenuta. Ecco come il narratore protagonista Lucio racconta le sue vicende:
privo ormai del gesto e della voce, feci quel che potevo: chinai il muso e guardandola di traverso con gli occhi umidi mi raccomandai a lei in silenzio. Quand’ella, intanto, mi vide in quello stato, cominciò a picchiarsi il viso e: «Disgraziata che sono», cominciò a gridare, «l’emozione e la fretta mi hanno tradita e mi ha ingannata la somiglianza dei vasetti. Meno male che per questa trasformazione è presto trovato il rimedio. Basta che tu mastichi delle rose e subito ti toglierai di dosso questo aspetto d’asino e tornerai il mio Lucio. Peccato che ieri sera non ho preparato per noi le solite coroncine di rose perché allora non avresti dovuto aspettare nemmeno una notte. Appena spunta l’alba, però avrai subito la medicina» (Metamorphoseon III, 25).
Le vicende andranno, però, diversamente. La curiosità di sperimentare ogni tipo di esperienza dovrà tramutarsi nella ricerca della verità di ciò che vale davvero.
Giovanni Fighera
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