Alta Terra di Lavoro

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Quando si fece l’Italia e si disfece il Sud (1860-1870) Lamentatori di professione

Posted by on Dic 21, 2019

Quando si fece l’Italia e si disfece il Sud (1860-1870) Lamentatori di professione

Qualcuno obietterà che si tratta di eventi normali durante il cambiamento di un regime. Il problema del Sud fu che questo periodo a causa della opposizione armata – passata alla storia come brigantaggio per sminuire il fatto che non tutti aderirono entusiasticamente alla novella patria – si protrasse per un decennio e oltre.

 Una vera e propria guerra civile, che vide i poteri concentrati nelle mani dei militari e la rappresentanza politica delle provincie napolitane costretta fra le legittime istanze del territorio di riferimento e l’accusa costante di andare contro i supremi interessi dell’Italia Una quando alzava troppo la voce.

A quel punto le scelte erano limitate: o passare a sostenere l’opposizione armata o continuare a lamentarsi che le cose non andavano bene per poi ritagliarsi la propria fetta personale, a livello di carriera politica o professionale. Quello che fecero tutti gli esponenti della potente consorteria napoletana e tanti membri del personale politico meridionale.

Come fecero, ad esempio, Antonio Ranieri e Pasquale Villari (9).

La politica annessionista non si è curata di studiar questi fatti, che pure appartengono alla storia. Essa ha negata la scienza nella terra della scienza: nella terra dove il Sommo Iddio, se ha permesso i Borboni, da un lato, ha voluto, dall’altro, che la face della sapienza fosse inestinguibile. E salvo ai pochissimi ch’essa s’immagina abbiano avuta l’opportunità di studiare altrove, ci ha concessa, a noi tutti, una patente d’ ignoranza!

Signori! Questa immaginaria patente ha partoriti frutti amarissimi a quelle nostre provincie. E solo la nostra ferma, inalterabile, invincibile, sempiterna e sacrosanta fede nell’unità della patria comune, sarà cagione che non ne partorisca degli egualmente amarissimi per tutta l’Italia.

E come spieghereste, o signori, senza questa chiave, l’assenza relativa di tutti gl’Italiani del mezzodì da tutti gli uffizi alti ed operosi dello Stato? Come spieghereste i giovanissimi, per non dire i fanciulli, delle antiche province preferiti agli uomini gravi delle nuove? Percorrete, o Signori, tutta la serie degli uomini che stanno per qualche cosa nella gestione dogli affari d’Italia. Vedete quanti o quali sono i Napoletani! Quanti e quali i Siciliani!… La Gazzetta Ufficiale è là; e l’aritmetica a una scienza!

Discorsi di Antonio Ranieri, deputato, circa le cose dell’Italia meridionale
Terzo discorso – XI Dicembre 1861

Inoltre qui v’è stata per un tempo una spaventosa furia di distruggere senza riedificare: e quel che è peggio non è ancora finito. Pareva che si volesse levar tutto a Napoli.

[…] In verità, noi abbiamo mille volte letto, nei giornali esteri, che le condizioni presenti delle provincie meridionali sono una prova che esse erano poco mature all’unità nazionale, che esse non comprendono e non vogliono l’Italia. Ma se quegli scrittori avessero avuto la bontà di venire qui a studiare il paese, e se avessero visto quanti errori si sono commessi dai governanti; se avessero – visto in che modo queste popolazioni sono ignoranti, che non vedono oltre il presente, che non possono indovinare i futuri beneficii del governo italiano; se avessero visto in che modo sono state travagliate, sconquassate, lacere da una serie continua di mali inevitabili sì, ma pur gravissimi, venuti dalla rivoluzione in poi; se avessero visto che sperpero del pubblico erario, che miseria, che fame li ha travagliati; quanti luogotenenti, governatori, generali si sono mutati, quante, dirò ancora, forme di governo abbiamo avute in un anno solo senza che ancora abbiamo finito; se tutto questo avessero veduto, e fossero poi andati nei più umili tugurii, ove per la prima volta in vita sua, il lazzaro napoletano canta canzoni italiane in lode dell’unità d’Italia; e se avessero un bel giorno interrogato tutto questo popolo come s’è fatto il 7 settembre, e per tutta risposta avessero udito, come abbiamo udito noi, un grido unanime: Italia e Vittorio Emanuele, a Roma, a Roma; forse che allora le conclusioni di codesti giornali sarebbero alquanto diverse.

Per ora pongo fine a questa lettera, già lunga. In altra mia cercherò d’esaminare più da vicino le cagioni dello scontento, che ancora non è cessato.

Napoli, 13 settembre 1861.

Le ragioni di un malcontento – LETTERE MERIDIONALI (1861) di Pasquale Villari

A fronte della denuncia di quanto stesse accadendo in quei mesi cruciali nell’ex-Regno delle Due Sicilie sia Ranieri che Villari faranno una brillante carriera professionale l’uno e una brillante carriera politica l’altro. La scelta di campo traspare già da una attenta lettura dei loro scritti del 1861, nei quali essi, più che preoccuparsi della sostanza di quanto stava accadendo, danno il via ad un nuovo animale politico quello del lamentatore di professione. Un po’ come il cane alla mensa del padrone, abbaia per farsi buttare ogni tanto qualche ossicino e magari a volte rimedia anche un cosciotto di pollo.

fonte https://www.eleaml.org/sud/den_spada/zde_Quando_si_fece_l_Italia.html

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