Quanto è costato al Sud l’unità d’Italia: uno scritto di Nitti
Un passo di un celebre scritto del grande meridionalista fa giustizia di tutte le menzogne che ancora oggi si raccontano sulle vere ragioni dell’impoverimento del mezzogiorno
Francesco Saverio Nitti (1868-1953), insigne uomo politico, fu Presidente del Consiglio (dal 1919 al 1920), economista di rango, saggista, scrittore ed antifascista che nei suoi scritti e nei suoi saggi affrontò, come daltronde lo fece dal canto suo con lucide analisi il socialista Gaetano Salvemini (1873-1957), la nascita e levolversi in Italia della questione meridionale. I due – tra i massimi esponenti del meridionalismo – nei loro saggi e nei loro scritti approfondirono le cause dellarretratezza del Sud a seguito dellunificazione nazionale.
Gaetano Salvemini nei suoi scritti
pose la necessità di ancorare il movimento socialista su posizioni
meridionaliste, sollecitando la strategica alleanza tra operai del Nord e
contadini del Sud. Francesco Saverio Nitti, la cui attività di economista fu
apprezzata a livello internazionale, approfondendo le cause che determinarono,
dopo lUnità dItalia, larretratezza e limpoverimento del Sud, elaborò nei suoi scritti, dopo averne
sviscerato le cause, numerose proposte per affrontare e superare la questione meridionale, analizzando, tra laltro, le ragioni del brigantaggio
nel Sud Italia che andava inteso, non come fenomeno criminale, ma come rivolta
sociale popolare e contadina repressa nel sangue dalle truppe italo-piemontesi
del generale Cialdini in una guerra civile che durò diversi anni.
A tal fine per zittire i falsi risorgimentalisti unitari e i mestatori della
storiografia ufficiale freschi reduci dalle celebrazioni del 150° anniversario
dellunità ed ancora i leghisti che, dal canto
loro, si ostinano a dire che il Sud è stato ed è la palla al piede del nostro
Paese, sarebbe cosa buona e giusta che costoro per documentarsi, rinfrescarsi
la memoria e correggere le loro distorte visioni della storia si vadano a
rileggere, facendosene una ragione , a proposito di quanto anzidetto, quello
che Francesco Saverio Nitti ebbe a scrivere nella sua opera: LItalia del Nord e lItalia del Sud e traendone alla fine le debite
conclusioni
Francesco Saverio Nitti: “L’Italia all’alba del XX secolo (1901)Discorso Quarto”
Il
grande dissidio della vita italiana. L’Italia del Nord e l’Italia del Sud. Due
cose sono oramai fuori di dubbio: la prima è che il regime unitario, il quale ha
prodotto grandi benefizi,non li ha prodotti egualmente nel Nord e nel Sud
d’Italia; la seconda è che lo sviluppo dell’Italia settentrionale non è dovuto
solo alle sue forze, ma anche ai sacrifizii in grandissima misura sopportati
dal Mezzogiorno. Quando per la prima volta sollevai la questione del Nord e del
Sud e cercai farla passare dal campo delle affermazioni vaghe, in quello della
ricerca obbiettiva, non trovai che diffidenze.
“Molti
degli stessi meridionali ritenevano pericolosa la discussione e non la
desideravano. Poichè appartengo a una razza di perseguitati e non di
persecutori, ho appunto perciò maggiore il dovere della equità; e trovo che a
quaranta anni di distanza cominciamo ad avere, non solo l’obbligo, ma anche il
bisogno di giudicare senza preconcetti. Ora, ciò che noi abbiamo appreso dei
Borboni non è sempre vero: e induce a grave errore attribuire ad essi colpe che
non ebbero, ed è fiacchezza d’animo per noi tutti non riconoscere i lati
manchevoli del nostro spirito e della nostra educazione, e voler attribuire
ogni cosa a cause storiche.
“I
primi deputati meridionali, scelti presso che tutti fra i patrioti più
notevoli, ignoravano quasi completamente il Mezzogiorno. Erano in gran parte
ideologi; antichi profughi; avvocati, maestri della parola e viventi di vecchie
tradizioni letterarie. Da dieci anni la ricchezza dell’Italia settentrionale è
grandemente cresciuta; nel Mezzogiorno vi è invece arresto e in qualche
provincia vi sono anzi tutti i sintomi della depressione. La Lombardia, il
Piemonte e la Liguria, godendo tutti i benefizi di un regime doganale fatto
quasi ad esclusivo loro benefizio, dopo avere goduti i frutti di una politica
finanziaria, che per quaranta anni riserbava ad essi i maggiori benefizi e al
Sud i maggiori danni, sono in trasformazione profonda; sicchè il distacco fra
il Nord e il Sud si accentua. E qualunque finzione per negare, non serve a
nascondere la verità, che si manifesta in tutte le forme.
“Quando
nel 1860 il regno delle due Sicilie fu unito all’Italia, possedeva in sé tutti
gli elementi della trasformazione. L’Italia meridionale aveva infatti un
immenso demanio pubblico. Le imposte dei Borboni erano mitissime e Ferdinando
II avea cercato piuttosto di mitigarle che di accrescerle. Le accuse che
Antonio Scialoja movea alla finanza borbonica, esaminate ora onestamente, sulla
base delle pubblicazioni ufficiali, non resistono alla critica. Dal 1820 al
1860 il regime economico e finanziario dei Borboni determinò una grande
capitalizzazione. Il commissario governativo mandato a Napoli da Cavour, dopo
l’annessione, il cavaliere Vittorio Sacchi,riconosceva tutti i meriti della
finanza napoletana, e nella sua relazione ufficiale non mancava di additarli.
All’atto della costituzione del nuovo Regno, il Mezzogiorno, come abbiam già
detto, era il paese che portava minori debiti e più grande ricchezza pubblica
sotto tutte le forme.
“Furono
venduti per centinaia di milioni i beni demaniali ed ecclesiastici del
Mezzogiorno, e i meridionali, che aveano ricchezza monetaria, fornirono tutte
le loro risorse del tesoro, comprando ciò che in fondo era loro;furon fatte
grandi emissioni di rendita nella forma più vantaggiosa al Nord; e si spostò
interamente l’asse della finanza. Gl’impieghi pubblici furono quasi invasi
dagli abitanti di una sola zona.
“Ebbene:
dal 1860 a oggi i 56 miliardi che lo Stato ha preso ai contribuenti sono stati
spesi in grandissima parte nell’Italia settentrionale. Le grandi spese per
l’esercito e per la marina; le spese per il lavori pubblici; le spese per i
debiti pubblici; le spese per tutti gli scopi di civiltà e di benessere, sono
state fatte in grandissima parte nel Nord. Perfino le spese fatte nel
Mezzogiorno furono in gran parte erogate per mezzo di ditte settentrionali.
“Ho
un elenco quasi completo dei grandi appaltatori dello Stato dopo il 1862; non
figurano che pochissimi meridionali. Le grandi fortune dell’Italia
settentrionale sono state compiute mediante lavori pubblici o forniture
militari; la storia del regime ferroviario da venti anni a questa parte, (la
conversione delle obbligazioni tirrene è classico esempio) spiega non pochi
spostamenti di ricchezza. Anche le tendenze imperialiste del Sud, frutto più
che di ogni altra cosa, di ignoranza, sono state sfruttate ( ironia dei fatti!)
da grossi interessi del Nord.
“La
pochezza dei rappresentanti del Mezzogiorno e la confusione delle idee è stata
tale che, per tanti anni, si è detto e si è pubblicato nella Camera e fuori che
il Mezzogiorno pagava poco e viceversa otteneva il maggior benefizio delle
spese allo Stato!In altri termini si è aggiunta la ironia crudele al danno;
ironia dei fatti, se non delle intenzioni.[Ora dalle mie indagini risulta che,
proporzionalmente alla sua ricchezza, il Sud paga per imposte di ogni natura
assai più del Nord; e viceversa lo Stato spende molto meno].
“In
queste landa la civiltà non è rappresentata spesso che dai carabinieri; e il
Governo non appare che sotto le forme della prepotenza e della violenza,
costretto, per conservare i suoi feudi politici, a consegnare ogni provincia,
ogni zona nelle mani dei peggiori avventurieri parlamentari. Si credeva che le
grandi spese per lavori pubblici fossero state fatte nel Mezzogiorno e ho
dimostrato che non è vero; si credeva che i meridionali avessero invaso gli
impieghi e ho trovato che tra gli impiegati il minor numero era di meridionali.La
trasformazione rapida dell’Italia del Nord non è suo merito: è conseguenza di
condizioni storiche e geografiche evidentissimi. E così anche la depressione
del Sud non risponde ad alcuna necessità etnica; ma solo a condizioni che
possono mutare e che noi crediamo dovranno mutare.
“Le
prime grandi industrie che sono sorte nel Nord sono state fatte nella più gran
parte da francesi, da tedeschi, da svizzeri: il libro d’oro dell’industria e
del commercio di Lombardia abbonda di suoni gutturali e di desinenze aspre.
Ora, invece, l’Italia meridionale è rimasta medioevale in molte province, non
per sua colpa,ma perchè tutto l’indirizzo della politica interna, economica e
doganale hanno determinato questo fatto. Tra l’Italia del Nord e l’Italia del
Sud è ora più grande differenza che nel 1860: e, mentre la prima si avvicina ai
grandi paesi dell’Europa centrale, per la sua produzione e per le sue forme di
vita pubblica, la seconda ne rimane lontana, e, per la produzione sua, rimane
anzi assai più vicina all’Africa del Nord.
“Sono
tutte nel Mezzogiorno quelle regioni che non solo danno proporzionalmente alla
loro ricchezza di più,ma quelle che ricevono meno in paragone di ciò che danno.
Mentre le imposte sono dunque più aspre nel Sud, le spese sono in tutte le
forme scarsissime. Si è detto e ripetuto sempre che lo Stato abbia fatto grandi
spese per lavori pubblici nel Sud: ora, invece, ènel Nord che le più grandi
spese sono avvenute. Le spese portuali, per le spiagge, per i fari, sono state
e sono destinate quasi tutte al Nord: e così quasi tutte le altre spese. La
massa degli impiegati dunque, alcontrario di ciò che si dice, è stata finora
sempre dell’Italia settentrionale e della centrale; l’Italia meridionale e la
Sicilia hanno avuto sempre nell’amministrazione dello Stato un’importanza
scarsa.
“L’Italia
meridionale, vivente degli impieghi, quale è stata dipinta, non è mai esistita:
non si tratta che di una immorale leggenda. I confronti stabiliti in Nord e Sud
fra Udine e Potenza: Alessandria e Bari; Verona e Avellino; Como e Salerno,
dimostrano che povere province del Sud pagano tuttavia assai spesso più di
ricche province del Nord, e che lo Stato, viceversa, fa minor numero di spese.
La burocrazia nei più alti gradi era quasi esclusivamente composta di elementi
settentrionali fin verso il 1880;anche ora è notevole la prevalenza di essi. La
situazione tra il 1899 e il 1900 era questa: mentre l’Italia settentrionale
rappresenta appena 36,8 di tutta lapopolazione del regno, ha 52,8 per cento di
tutti gl’impiegati superiori: l’antico regno delle Due Sicilie,rappresentando
una massa di popolazione superiore, cioè 37,9 ha appena 19,7 per cento
dell’amministrazione centrale superiore. Tenendo anche conto del personale
superiore del Ministero della guerra e della marina e degli ufficiali
ammiragli, l’Italia settentrionale, che dice di combattere il
militarismo,rappresenta 63,9 di tutto il personale indicato, l’Italia
meridionale e la Sicilia, che hanno popolazione superiore, appena 13,5.
“Così
dunque la leggenda, secondo cui i meridionali avrebbero una preponderanza nelle
pubbliche amministrazioni, non ha nessuna base di realtà. Fra il 1860 e il 1870
vi erano Ministeri interi che quasi non avevano un solo meridionale; dopo le
proporzioni si sono modificate, ma come ogni cosa, i meridionali sono rimasti
sempre in una situazione di notevole inferiorità.
fonte
https://palermo.meridionews.it/articolo/76324/la-storia-di-aldo-ed-helios-un-sogno-di-liberta-ricordi-di-un-giramondo-dalla-citta-che-amava/ lsd