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RICONQUISTIAMO LA LEGITTIMA INDIPENDENZA

Posted by on Lug 26, 2018

RICONQUISTIAMO LA LEGITTIMA INDIPENDENZA

“Unirsi ai napoletani è come unirsi ai lebbrosi”

Scrisse il patriota italiano Massimo D’Azeglio

 

Antonio Gramsci: “L’unità d’Italia non è avvenuta su basi di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno, nel rapporto territoriale città-campagna. Cioè, il Nord concretamente era una “piovra” che si è arricchita a spese del SUD e il suo incremento economico-industriale è stato in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale.

 L’Italia settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole, riducendole a colonie di sfruttamento”.

Gaetano Salvemini: “L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziamenti nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali”.

F.sco Saverio Nitti: Già nei primi quarantacinque anni di vita unitaria il Mezzogiorno aveva funzionato come colonia di consumo e aveva permesso lo sviluppo della grande industria del Nord”.

F.sco Saverio Nitti. 1903: Il Regno delle Due Sicilie avea due volte più monete di tutti gli altri Stati della penisola uniti assieme.”

F.sco Saverio Nitti, nel suo libro “Nord e Sud”, calcolava che lo Stato, nel ‘900, spendeva 71,15 lire annue per ogni abitante della Liguria e solo 19,88 lire annue per ogni abitante della Sicilia.

Nel 1861 la Sicilia, a fronte di una bilancia commerciale attiva quattro volte superiore a quella del Piemonte, concorreva al debito pubblico unificato con appena 6.800.000 lire, su un totale di 111.000.000 e contro i 62.000.000 del regno Sabaudo.

La ricchezza immobiliare siciliana superava, fino al 1890, quella industriale del Nord, ottenendo l’unico risultato di attirare su di sé un’ingente massa di tributi, che si risolvevano inevitabilmente nel potenziamento dell’economia industriale settentrionale. Per questo motivo il Colajanni affermava che le tariffe del 1887 avevano consentito la creazione dell’industria italiana, a danno interamente dell’agricoltura del Meridione e delle Isole.

La vendita dei beni ecclesiastici incamerati e del demanio “antico”, unitamente a tutte le rendite dei beni ecclesiastici censiti, fruttava allo Stato, nel corso di qualche decennio, l’incredibile somma di quasi 800 milioni di lire (più di centomila miliardi di lire attuali).

Aristide Buffa in “Tre Italie”, ESA editrice, 1961: “I danni esercitati dalla vendita dei beni ecclesiastici … furono incommensurabili e hanno i loro effetti fino ad oggi…”; i soldi ricavati, “…se spesi nell’Isola, l’avrebbero trasformata in uno dei paesi più progrediti del tempo…ma allora urgeva la costruzione delle ferrovie nel Piemonte e nell’Alta Italia, per cui, praticamente, al dissanguamento della Sicilia corrispose la creazione, a nord del Po, dell’ambiente adatto per l’impianto delle nuove industrie…”

Luigi Einaudi: “Sì, è vero, noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano, peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale“.

fonte

http://sudindipendente.superweb.ws/index_file/Page568.htm

 

 

 

 

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