San Giovanni a Teduccio
Spaccato di una periferia napoletana degli anni ’50 e un po’ di storia
In questo quartiere sono nato io, i miei genitori, i nonni, e forse gli altri antenati. Ci sono restato fino al matrimonio (1970), quando andammo ad abitare in una casa comprata al parco D’Alessio di Ercolano.
Questo luogo, di origine della mia famiglia, mi ha stimolato a fare qualche ricerca storica dei fatti più importanti che si sono verificati nel tempo, e fino ai giorni nostri. Non abitandovi più da decenni, le notizie che mi sono pervenute negli untimi anni non sono state “vissute”.
San Giovanni a Teduccio è ubicato nella periferia orientale di Napoli, e deve il nome agli antichi avvenimenti qui riportati.
Si narra che nel ‘600, nel mare della zona che oggi è Vigliena della contrada dell’allora Teodocia, alcuni pescatori tirando le reti in barca, vi trovarono una piccola statua in marmo di San Giovanni Battista. Nel riprendere la navigazione, si accorsero che la barca non si muoveva nonostante gli aumentati sforzi sui remi, e si accorsero che la statua era diventata pesantissima. Per capire ciò che stava accadendo, fermarono la barca sulla spiaggia, e la statua da quel momento divenne leggerissima. Per questo avvenimento ritenuto miracoloso, edificarono un’edicola dove fu custodita la statua, e nello stesso luogo, successivamente fu costruita la chiesa parrocchiale. Da quel momento quella località prese il nome di San Giovanni a Teodocia, oggi San Giovanni a Teduccio. Teodocia, era Il nome di quella zona dove anticamente era ubicata la villa di Theodosia figlia dell’imperatore romano Teodosio.
Nel 1840 Ferdinando II di Borbone per affrancare il Regno di Napoli ovvero delle Due Sicilie dalla egemonia inglese e francese, fece realizzare. Il Reale “Opificio Meccanico, Pirotecnico e per le Locomotive” oggi Pietrarsa, che fu costruito a S. Giovanni a Teduccio vicino alla prima linea ferroviaria italiana: la Napoli‐Portici, inaugurata il 3 ottobre 1839. Non lontano da quella zona vi era già l’industria siderurgica Corradini con migliaia di operai. Nella stessa epoca in quella periferia di Napoli, vicina al porto, nacquero molte attività industriali: fabbriche per la lavorazione e conservazione del pomodoro, mulini e pastifici, con tutte le attività dell’indotto: lavorazione delle trafile di bronzo per la pasta, fabbrichette per la produzione di scatolami di latta per la conservazione di salsa, di pomodori pelati ed altro. I mulini e pastifici, arrivarono dopo le ricerche agronomiche avviate dai Borbone poco prima, che portarono alla pasta. Gli opifici dovevano essere nelle vicinanze del porto per trasportare più velocemente le granaglie che arrivavano via mare. Il nuovo alimento era il risultato dell’impasto di farina di grano duro e acqua, al quale furono date forme diverse dopo l’impasto, per essere successivamente essiccato. Il tipo di pasta ad avere il maggiore successo furono gli spaghetti: si vendevano persino cotti per la strada, il piatto si chiamava “o’ doie” perché costava due soldi, e sui fumanti vermicelli o spaghetti si versava salsa di pomodoro non condita. Si mangiavano con le mani, come piaceva fare anche al Re con la disapprovazione della Regina Carolina, abituata a non toccare il cibo con le mani, tuttavia la Regina, avendo ben compreso l’importanza del nuovo alimento, per mangiarlo facilmente fece studiare arnesi adatti che furono chiamati forchette.
Prima dell’arrivo della pasta, i napoletani venivano chiamati mangia foglie per il grande uso che si faceva della verdura, che tuttavia in certi periodi dell’anno non riusciva a soddisfare i bisogni della popolazione in forte crescita.
Una considerazione sui Borbone napoletani:
questa dinastia, iniziò a Napoli con Carlo, primogenito del Re Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese. La madre lo inviò a Napoli per risollevare le sorti del regno. Infatti il giovane Carlo con grande impegno, fece di Napoli una grande capitale europea, in uno stato indipendente e prosperoso. Alla morte del padre. fu chiamato in Spagna per reggere quel trono col nome di Carlo lll. Dei Borbone di Napoli, di negativo si può dire che pure essendo stati incoraggiati, non vollero prendere l’iniziativa di unificare l’Italia, si crogiolarono nella loro agiatezza, e non vollero mettersi contro la chiesa, sottraendole i vasti territori. Non capirono il vento che spirava sull’Europa, e nemmeno che lasciando l’iniziativa ad altri, avrebbero perso il loro regno, come avvenne nel 1861, con la spedizione di Garibaldi, appoggiata dal Piemonte.
Il forte Vigliena.
Si riportano di seguito avvenimenti importanti che si verificarono nella fortezza che oggi è monumento nazionale e classificato come uno dei sette castelli napoletani. Fu costruito poco dopo il 1700 dal viceré spagnolo Viliena per la difesa della città. il nome fu italianizzato in Vigliena. Si potevano osservare le navi in arrivo al porto, e quelle nemiche potevano essere cannoneggiate dallo stesso forte che in quella posizione strategica aveva il totale controllo del mare antistante. Fu parzialmente distrutto nel conflitto del 1799 tra la Repubblica Partenopea appoggiata dai francesi di Napoleone e i Sanfedisti del cardinale Ruffo fedeli ai Borbone, che dopo l’occupazione francese si erano rifugiati in Sicilia protetti dalla flotta inglese, presente per proteggere le loro importazioni di zolfo e vino Marsala. I giacobini partenopei a guida francese che difendevano la struttura, prima di capitolare fecero esplodere l’arsenale pieno di esplosivi, per causare forti perdite al nemico, ma procurando anche ingentissimi danni alla fortezza. Come si sa, il cardinale per liberare il regno dai giacobini, organizzò un esercito popolare che partì dalla Calabria, e divenne sempre più numeroso attraverso il percorso verso Napoli e la vittoria.
Dopo l’unità d’Italia, i nuovi governi a guida piemontese, trasferirono molte attività industriali al nord, e Pietrarsa fu svenduta a privati che dovevano vendere i macchinari, per una definitiva chiusura che mandò sul lastrico gli oltre mille dipendenti di quello stabilimento. In quell’occasione vi fu la prima protesta operaia dell’Italia unita, e una forte reazione dei carabinieri che spararono, sugli scioperanti uccidendo 7 operai e ferendone 20.
Tutto questo avvenne per arricchire i sostenitori piemontesi del nord Italia e trasferire le commesse di Pietrarsa all’Ansaldo di Genova.
Dopo un periodo di oblio, tra il 2014 e il 2017 furono restaurati i padiglioni ottocenteschi di Pietrarsa, dove fu realizzato un Museo Nazionale prestigioso e affascinante. La Fondazione FS italiana è custode e gestore del grande patrimonio storico con un parco di locomotive e rotabili del passato di ben 400 mezzi.
In epoca più vicina: nel dopoguerra il crocevia corso S. Giovanni, via Vigliena, via Ottaviano, era la zona col maggior numero di negozi, si andava al rettifilo solo per gli acquisti più importanti. Oltre alla macelleria, una salumeria gestita da una signora che chiamavano “a scigna dint o specchio”, un coloniali la cui proprietaria era chiamata “a pucchiaccon”, un vinaio certo Simmon a Rocca, e una baccaleria, vi erano alcune bancarelle all’aperto per la vendita del pesce, vari fruttivendoli uno dei quali era il conosciutissimo “piscitiello”. Allora le persone più conosciute venivano indicate col soprannome.
Ovviamente c’era anche un bancolotto per avere la fortuna a portata di mano, interpretando tramite la smorfia curiosi avvenimenti o sogni. In quel periodo in occasione delle feste patronali c’era l’usanza di organizzare i “concertini”. Si allestivano palchi di legno con altezza intorno al metro, in modo che tutti potessero vedere bene gli artisti e cantanti delle melodie napoletane. Quando si facevano queste feste, con una grandissima partecipazione popolare, veniva sospeso anche il trasporto pubblico.
In quei tempi la grande spiaggia vulcanica (sabbia scura) di Vigliena, dove successivamente fu costruita una nuova centrale elettrica, d’estate ospitava molti stabilimenti balneari. Era la spiaggia dei napoletani, che vi arrivavano facilmente col tram.
Negli anni ’50 nelle vicinanze del porto c’era il cantiere navale Pellegrini. In occasione del varo di una nuova nave, vi andai con un amico, accompagnati dal padre che lavorava in quel cantiere. Fu un varo catastrofico: dopo i rituali del caso; rottura della bottiglia di sciampagne sullo scafo, benedizioni ecc. la nave incominciò a scendere a mare di prua e quando ancora non era completamente a mare, si girò adagiandosi su di un fianco, con la costernazione dei presenti. Tornammo a casa e non si parlò più di quella disgrazia. Almeno a me non arrivarono altre notizie (ancora non c’era la TV con i telegiornali).
In quell’epoca e forse ancora adesso, a S. Giovanni i miniquartieri avevano un loro nome che indicheremo a partire da quello più vicino alla città che è il crocevia corso S. Giovanni, via Vigliena, via Ottaviano chiamato “abbascio e tavern” perché in tempi lontani in quella zona vi erano osterie con camere per passare la notte (taverne), prima di entrare in città passando per una postazione che riscuoteva il dazio, aperta solo di giorno. Via Vigliena è la strada che porta al forte Vigliena e al mare, chiamata “’ncopp a marina”. Nelle immediate vicinanze c’era Pazzigno, ora scomparso per far posto a nuove e più moderne costruzioni. Più avanti nella direzione di Portici, c’è un bivio chiamato “o sperone” che porta nella località “villa” e più avanti “a parrocchia” dove c’è la chiesa. Continuando c’è la zona “municipio” e subito dopo “i due palazzi”. Infine c’è “croce del lagno” dove c’è una caserma militare e Pietrarsa, dopo inizia Portici.
Oggi a San Giovanni a Teduccio, non ci sono più attività industriali (anche la raffineria di petrolio è stata chiusa) rimane tuttavia l’attrazione storica culturale del museo, e dell’antico forte Vigliena, che versa in pessime condizioni. Sarebbe auspicabile quanto prima un intervento di restauro. Questo quartiere importante per la sua storia e le sue industrie, recentemente è stato oggetto di una buona riqualificazione urbana, che ha visto l’insediamento di un nuovo complesso universitario dell’ateneo ”Federico II” di Napoli. nell’area ex Cirio. (opificio realizzato a fine ‘800 dal piemontese Cirio per la lavorazione del pomodoro) l’intera progettazione è opera del giapponese Ishimoto. La riconversione è stata necessaria per far rinascere San Giovanni a Teduccio con l’Università.
Il nuovo Polo universitario decongestiona peraltro la sede storica della facoltà di Ingegneria di Fuorigrotta, realizzando modernissimi laboratori per analisi ambientali, realtà virtuale, ingegneria dello sport, prove su grandi strutture, aule, una straordinaria Aula Magna, e la prima Academy europea Apple che formerà 1000 sviluppatori in un triennio. I laboratori e spazi Apple saranno aperti ai visitatori. Il progetto realizza un grande parcheggio sotterraneo con al di sopra un grande parco urbano, facciate in pietra vulcanica e moderne macchie colorate. La storica ciminiera della Cirio è utilizzata per l’impianto di condizionamento.
Sempre nell’ambito di una riqualificazione urbana, sarà ristrutturato l’ex complesso industriale Corradini, oggi di proprietà del comune di Napoli e abbandonato da circa 70 anni. Verranno costruite residenze universitarie, spazi per giovani, una piscina e forse un porto turistico. Verrebbe inoltre realizzato un accesso diretto al mare, oggi precluso agli abitanti del quartiere. Secondo un cronoprogramma firmato anche dal sindaco di Napoli Manfredi, i lavori avranno inizio nel 2024.
Aniello Gianni Morra
18/08/2023
.