Alta Terra di Lavoro

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Scene dall’impresa garibaldina – di Biagio Napoli 3 Puntata

Posted by on Gen 26, 2023

Scene dall’impresa garibaldina – di Biagio Napoli 3 Puntata

Si va a Gibilrossa

“Allorquando i mille si rimisero in marcia dopo un giorno di riposo a Calatafimi…gli abiti borghesi indossati dai nove decimi cadevano loro di dosso a brandelli; le loro scarpe andavano in pezzi, molti si trascinavano arrancando penosamente, altri avevano la testa o qualche membro fasciato” ( 21 )

Il 20 maggio, attraverso la montagna, faticosamente, e disposti per uno, giunsero a Parco ( oggi Altofonte).

Durante il cammino “la pioggia non cessava. Eravamo fracidi fino alla pelle…verso mezzanotte si udì un colpo d’arma da fuoco, che scosse tutti sino all’ultimo della fila…trovammo un cavallo disteso morto sul margine del sentiero, e si disse che era di Bixio: il quale irato, perché coi nitriti poteva scoprirci al nemico, gli aveva scaricato nel cranio la sua pistola”. ( 22 )

Era quasi la mezzanotte del 25 quando entrarono in Misilmeri dove non vi era casa che non avesse illuminate le sue finestre. Alle 3 antimeridiane del 26, nella casa che alloggiava Garibaldi e dove s’era recato il capo delle guerriglie di Gibilrossa Giuseppe La Masa, si svolse il consiglio di guerra che decise, alle sei meno un quarto, l’assalto su Palermo.

Racconta Abba: “All’alba ci raccogliemmo, e ci fu detto che entro un’ora si sarebbe pigliata la montagna…Entrai in un bugigattolo per bere una tazza di caffè, e vi trovai Bixio
d’un umore sì nero a vederlo, che me ne tornai indietro e andai sulla piazza, dov’era un acquaiolo che andava dondolando la botticella come una campana, e vendeva bevande ai nostri che gli affollavano il campo. Egli guardava quel che bevevano con certi occhi, con certo riso, che mi pareva volesse avvelenare i bicchieri. M’allontanai anche di là”. 
( 23 )

Erano quasi le sette del mattino quando i Mille, tolti ai luoghi che li alloggiavano dagli squilli d’una tromba, marciarono fuori di Misilmeri per Gibilrossa. Là “si erano accozzate parecchie bande siciliane, altre venute da Mezzojuso col La Masa, altre da Bagheria col Fuxa, altre dai dintorni raggranellate dai fratelli  Mastricchi”. ( 24 )

Il campo delle guerriglie di Gibilrossa si era cominciato a formare dal 20 maggio; era  variopinto e, sicuramente, rumoroso.

In una lettera del 21 maggio, a firma di Liborio Arrigo, vice presidente  del Comitato Rivoluzionario di Termini Imerese, inviata al “prode generale La Masa in Gibilrossa”,  leggiamo: “Signore. Si presentano al campo in servizio delle guerriglie num. 6 individui qui sotto segnati  cioè, n. 2 trombette, n. 2 clarini, un trombone, ed una cornetta, spesati da questo comitato i quali  serviranno a tutto quello che ella disporrà”. ( 25 )

E da una lettera del 24 maggio, a firma di Pietro Scaduto, vice presidente del Comitato Rivoluzionario di Bagheria, anch’essa inviata al La Masa, apprendiamo che: “La banda musicale non può venire in cotesta contrada…poiché alcuni musicanti trovansi ammalati, ed alcuni allontanati dal paese, in guisa  che il numero per la musica non trovasi completo e capace a poter suonare”. ( 26 )

In quel campo, ove non era difficile sentire i suoni di un qualche strumento musicale o di una banda al completo, i garibaldini, e quelli delle squadre rimasti dopo Calatafimi, si congiunsero quella mattina con gli altri siciliani; questi erano circa quattromila e Garibaldi li passò in rivista.

Là arrivarono anche due ufficiali americani e tre inglesi, marinai di navi ancorate nel porto di Palermo, portando notizie ed informazioni sui napoletani; vi giunse anche il corrispondente del Times, Nandor Eber, ungherese, che Garibaldi avrebbe nominato colonnello delle camicie rosse.

Ma era giornalista e scrisse dei seguaci più fidi di Garibaldi e di quegli stranieri, di “quella svariata folla di gente…raccolta intorno ad una fumante caldaia, dentro cui era a bollire gran parte di una vitella, e un altro recipiente pieno di cipolle, e una catasta di pane fresco e un barile di vino di Marsala.Ciascuno servivasi da sé in modo comunistico, adoperando dita e coltello e bevendo nel solo bicchiere di stagno che c’era. Gli è solo nelle guerre irregolari che possono nella loro maggior perfezione godersi siffatte scene” ( 27 ) 

Potevano essere le sette pomeridiane, quando ci riponemmo in via, e a notte chiusa, uno dietro l’altro, ci trovammo a scendere giù per un sentiero, appena tracciato”. ( 28 )

Perchè si vegga con quanta prudenza bisogna attin­gere alle memorie scritte da Garibaldini, basterà ricor­dare due casi: uno è l’episodio della presa della ban­diera dei Mille a Calatafimi, che il Luzio narra sulle testimonianze del Bandi. E il Bandi non è esatto. Il Bandi ha tratto in ballo un sergente Certosini, che sarà certamente esistito, che si sarà fatta strappar la testa dalla mitraglia sotto Capua, dopo aver disertato; ma che non ebbe mai la ventura di prendere la bandiera donata a Garibaldi dagli Italiani di Valparaiso. Non dice egli stesso, sulla scorta del corrispondente dell’Allge­meine Zeitung, che colui che la prese era un soldato dell’ 8.o Cacciatori? Infatti, fu proprio il soldato Luigi Lateano; che, per quel fatto ebbe la promozione a ser­gente, la medaglia d’oro al valor militare, la nomina di cavaliere del Real ordine militare di San Giorgio della Riunione e cento scudi; e scusate s’è poco. Le quali cose constano da documenti posseduti dal figlio del La­teano, che era professore di agraria a Caltagirone, e che li comunicò a Francesco Guardione il quale ne tenne conto nell’opera Il Dominio dei Borboni in Sicilia; opera stampata nel 1907, che il Luzio avrebbe avuto l’obbligo di consultare.

L’altra cosa, è il concorso dei Siciliani a Calatafimi. Il Luzio si limita a ricordare i frati francescani, che combattevano valorosamente, che erano 6 o 12, pel Bandi, e due per l’Abba, più esatto.

Ma quanto alle squadre, gli scrittori garibaldini o tacciono o travisano o calunniano: chi scrisse che esse erano di imbarazzo; e che Garibaldi, a Calatafimi, le relegò sopra un colle dove stettero a vedere; e chi, misero cuore e più misero cervello, aggiunse che stavan lì per gittarsi dalla parte del vincitore: tutti tacquero o negarono che esse si fossero battute accanto ai Mille sul colle fatale: salvo quei frati francescani. E non mancò chi scrisse che solo quattordici “valentuomini” spacconi, si presentarono a Garibaldi, ma per rubare i fucili ai volontari e sparire!

Or bene degli storici venuti dopo, e il Luzio con essi, nessuno si domandò come mai Garibaldi avesse potuto formare a Salemi una nona compagnia al comando del Grizziotti. La verità è invece che a Salemi raggiun­sero Garibaldi le squadre di monte San Giuliano con Giuseppe Coppola; di Alcamo coi fratelli Sant’Anna; di Partanna, di Santa Ninfa; non tutte armate pei disarmi avvenuti pochi giorni innanzi; inoltre una quarantina di Marsalesi e più di trenta Salernitani che vi si aggiun­sero; molti di costoro che non formavano distinte squa­driglie, incorporati nei Mille, resero possibile la for­mazione della 9.a compagnia. Il 15 Garibaldi pose le squadre del Coppola alla sua sinistra: la squadra di Salemi sopra un colle a destra. Sui colli più lontani mandò quelli armati di lance, a gridare e spaventare il nemico.

A questo punto voglio citare una testimonianza, quella di Alessandro Dumas padre. Un romanziere? Sì, un romanziere che assai spesso è più esatto di molti storici: e del resto, poichè il Luzio cita la testimonianza di Ippolito Nievo, poeta e romanziere, voglio ben ricor­rere anch’io a un romanziere. Dunque il Dumas che scrisse i primi capitoli dei suoi Garibaldiens, nel giu­gno del 1860, a Palermo, sulle notizie fornitegli da Gari­baldi e da Stefano Turr, descrivendo la battaglia di Calatafimi, dice: “Les volontaires essuient le premier feu assis et sans bouger; seulement, a ce premier feu, une partie des picciotti disparait”. (Disparait forse non è esatto, e bisogna dire che si sparpagliarono, non avvezzi a combattere all’aperto e in ordine serrato; ma non monta, andiamo innanzi). “Cent cinquante, à peu prés, tiénnent ferme, retenus par Sant’Anna et Cop­pola, leur chefs, et deux franciscains quì, armés cha­cun d’un fusil, combattent dans leurs rangs”.

Dunque solo una parte, concediamolo pure, si dileguò al primo fuoco; ma almeno centocinquanta siciliani com­batterono tra le file dei Mille, quel glorioso 15 Maggio. Perchè il Luzio non ha citato il Dumas? Che se egli sde­gnò la testimonianza del Dumas, perchè non raccolse e non citò quella dello stesso Garibaldi, sulla quale gli sto­rici passano allegramente sopra? Il domani del combattimento, scrivendo alla Direzione del fondo pel Milione dei fucili, l’ Eroe diceva: “Avvenne un brillante fatto d’armi avant’ieri coi Regi capitanati dal generale Landi, presso Calatafimi. Il successo fu completo, e sbaragliati interamente i nemici. Devo confessare però che i Napo­letani si batterono da leoni…. Da quanto vi scrivo, dovete presumere quale fu il coraggio dei nostri vecchi Cacciatori delle Alpi e dei Siciliani che ci accompagna­vano”. Ma rischiariamo un po’ l’ombra che avvolge que­sti Siciliani.

Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.

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Nella foto: Alexandre Dumas

Caltagirone, 22 ottobre 1903. — Pregiatissimo amico. — Ella può assicurare il prof.

Guardione che fu precisamente mio padre Luigi Lateano, soldato dei regi neH’8°

Battaglione Cacciatori, che alla Battaglia di Calatafimi conquistò la bandiera dei Mille

dopo avere alla testa di dodici compagni assaltato alla baionetta l’alfiere Schiaffino

uccidendolo, e ferito Menotti Garibaldi che aveva afferrato la bandiera dell’infelice

caduto.

Mio padre fu premiato con la promozione a sergente, inoltre ebbe la medaglia

d’oro al valor militare, un premio di 100 scudi e la nomina a cavaliere del Beai Ordine

Militare di San Giorgio della Riunione.

Fra giorni manderò a S. E. il Ministro della Guerra una particolareggiata relazione

in proposito.

Voglia salutare per me l’egregio prof. Guardione, e mi creda

Suo immutabile amico DOM. LATEANO.

Ill. mo sig. Salvatore Randazzini, Archivista Com. le in ritiro, Città.

Riferimenti bibliografici

21) George Macaulay Trevelyan, op. cit., p. 348,22)Giuseppe Cesare Abba, Da Quarto al Volturno, op. cit., p. 29,

23) Ivi, p. 34,

24) Giacinto De Sivo, op. cit., p. 66,

25) Rapidi cenni e documenti storici della rivoluzione del 1860 riguardanti la città di Termini estratti dagli atti di quel comitato distrettuale dei signori A.B. e M. S., Stamperia di G.B. Lorsnaider, Palermo  1861, p. 36, books.google.com/…/Rapidi_cenni_e_documenti_storici_della_r.htm…
 

26) Giuseppe La Masa, Alcuni fatti e documenti della Rivoluzione dell’Italia Meridionale del 1860 riguardanti i siciliani e La Masa, Tipografia Scolastica-Sebastiano franco e figli- Torino 1861, p. 111, books.google.com/…/Alcuni_fatti_e_documenti_della_Rivoluzio.htm ( Pietro Scordato )

27) La rivoluzione siciliana raccontata da un testimone oculare, Stabilimento Tipografico delle Belle Arti, Napoli 1860, p. 4, books.google.com …/La_rivoluzione_siciliana_raccontata_da_u.htm…

28) Giuseppe Cesare Abba, Da Quarto al Volturno, op. cit., p. 36,

http://risorgimentosiciliano.blogspot.com/2017/06/luigi-natoli-e-le-memorie-poco.html

lunedì 12 giugno 2017

Luigi Natoli e le memorie poco attendibili di alcuni garibaldini citate dallo storico Luzio. – Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

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