Spigolando tra Basile, Cortese e Sgruttendio
Fu qualche decennio fa che, nell’ambito di una ricerca sulle traduzioni inglesi del Cunto de li cunti, approfondii le conoscenze della poesia napoletana del Seicento, che fino ad allora erano state per me molto approssimative.
E fu quindi quasi a fare ammenda dell’ingiustificabile ritardo con il quale avevo scoperto la folgorante bellezza del capolavoro di Basile, che sulle colonne di questa rivista mi precipitai a dare ordine ai miei appunti di lettura su quest’opera, riservandomi di rinviare a successiva pubblicazione quelli relativi alle opere del Cortese e dello Sgruttendio, la cui lettura avevo pure ultimato. Per qualche motivo, che non ricordo, questi ultimi appunti rimasero nascosti in un cassetto, dal quale per caso sono spuntati fuori solo ora. Illudendomi che possano servire a integrare quanto scrissi sul Basile, ho pensato di sottoporli, sia pure a distanza di anni, all’attenzione dei lettori di «Vesuvioweb». Con una doverosa precisazione, però: che essi non pretendono di aggiungere alcunché di nuovo o rimarchevole a quanto la critica specialistica ha detto sull’argomento. Mi piace ribadire che sono, e restano, appunti di lettura di un docente di lingua e letteratura
inglese, la cui competenza in questa disciplina, da lui acquisita attraverso lo studio, non ha saputo mai resistere alla tentazione di misurarsi con quella maturata naturaliter in napoletano, sua lingua madre, anche se nella variante dell’Agro sarnese-nocerino.
Il riferimento alla letteratura inglese consente di entrare in medias res, e definire subito il contesto storico-culturale in cui collocare una produzione letteraria che, per temi, atteggiamenti, stilemi, e, soprattutto, esiti artistici, è in linea con la cultura europea del Seicento, tout court. Al pari dei loro colleghi d’oltralpe, Basile, Cortese e Sgruttendio fecero propri i dettami dell’estetica barocca, e nelle loro mani il napoletano mostrò la stessa duttilità e capacità espressiva che la lingua inglese in Shakespeare, o la lingua spagnola in Cervantes, come spero di dimostrare con i pochi brani da me presi in esame nel corso dell’esposizione.
Vincenzo Pepe