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Stampa e privacy (1849)

Posted by on Nov 13, 2022

Stampa e privacy (1849)

Sapevi che nel Regno delle Due Sicilie ai giornali e ai periodici in genere non era permesso pubblicare né notizie relative ad atti istruttori, a processi e procedimenti in corso, né i commenti dei giudici su qualsiasi materia.

Così stabilì, in effetti, un corposo decreto firmato nel marzo 1849 da Ferdinando II. In sostanza il terzo sovrano duosiciliano stabilì, in assenza e nell’attesa di una legge sul diritto di stampa, disposizioni che – da una parte – ne garantissero l’esercizio, disciplinando però – dall’altra parte – il disordine e la licenza de’ periodici e delle scritture volanti stampate nel Regno, o provenienti dall’estero. In primo luogo, il citato decreto sanciva che ogni cittadino maggiorenne del Regno, nel pieno godimento dei diritti civili e politici e non imputato di reati, potesse, al pari di enti morali e società commerciali regolarmente riconosciuti, compilare e stampare giornali, effemeridi, fogli sia volanti sia a fascicoli. Previo rilascio di una dichiarazione all’Intendente e al procuratore generale presso la Gran Corte criminale. E previo versamento, nel caso di pubblicazioni riguardanti materie politiche ed economiche, di una cauzione. Gli stranieri potevano partecipare alla redazione di una pubblicazione, ma non assumerne la proprietà, l’edizione e la responsabilità. In secondo luogo, la pubblicazione doveva avere un direttore o un gerente responsabile, carica che poteva assumere anche il proprietario, figure comunque rigorosamente regnicole e in possesso di tutti i requisiti sopra ricordati. In caso di richieste dell’Autorità, circa l’autore di un articolo non firmato o firmato con pseudonimo o siglato, essi non potevano invocare il segreto professionale, ma dovevano dichiararne il nome, potendo incorrere in caso contrario nel reato di falsa testimonianza. Gli stessi erano obbligati, prima della distribuzione, a cifrare ogni singolo foglio di un solo esemplare, che doveva restare dal tipografo o stampatore, il quale, in assenza di tale adempimento, non era autorizzato a rilasciare le copie. In terzo luogo, i chiamati in causa da articoli potevano esercitare il diritto di replica, con una risposta o una dichiarazione alle quali, indipendentemente dalla lunghezza, non potevano essere aggiunti commenti o note editoriali. Infine, non era possibile pubblicare: le discussioni delle commissioni parlamentari; i dibattimenti dei giudizi penali e, se chiusi al pubblico, di quelli civili; gli atti istruttori delle cause penali in pendenza del giudizio; i voti di ciascun giudice su questioni di fatto e di diritto. La trasgressione comportava la reclusione, oltre ad un’ammenda.

fonte

http://decretiamo.blogspot.com/2010/02/stampa-e-privacy-1849.html

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