Storia della Sicilia del professore Massimo Costa 9/ Gli Arabi nell’Isola, Palermo diventa una Capitale
- Il primo assalto e la conquista del Val di Mazara
- Con gli arabi nasce il nome di Marsala
- Eufemio da Messina: un fantasma sempre più grottesco
- Palermo diventa una Capitale
- Saccheggi, stupri, uccisioni, schiavitù
- La flotta e i pirati saraceni
Il primo assalto e la conquista del Val di Mazara
Ma Ziyâdat-Allah non dà molto peso a Eufemio. Per lui è solo una nuova occasione di jihâd, una guerra santa per ampliare i confini dell’islam. In realtà quelli erano già anni di declino per il califfato. Dopo la travolgente avanzata all’epoca dei califfi elettivi e della dinastia degli Omayyadi, questo ormai stava andando in frantumi. La nuova dinastia degli Abbasìdi sposta la capitale da Damasco a Baghdad, muovendo così il centro dell’Impero verso l’area iranica, peraltro incapace di accrescerne i confini. All’estremo occidente un ramo fuggitivo degli Omayyadi si impadronisce della Spagna, non riconoscendo la signorìa di Baghdad (l’Emirato, poi Califfato, di Cordova). In questo contesto il Nordafrica è affidato ad emiri che, teoricamente, dipendono tutti dal Califfo Abbasìde di Baghdad, ma che in realtà danno luogo a regni indipendenti. Tra questi gli Aghlabiti di Kairuan, nella cd. Ifrîqiya (Africa), cioè l’odierna Tunisia. Il padre di Ziyâdat-Allah I, con un colpo di stato, aveva rovesciato l’ultimo governatore della lontana dinastia Abbasida, si era fatto riconoscere emiro dai califfi di Baghdad, e poteva ancora sembrare un governatore come gli altri. Ma già quando lascia l’emirato al fratello e predecessore di Ziyâdat-Allah I, si comprende che ormai la Tunisia (allora con capitale Kairuan), è diventata una monarchia ereditaria di fatto indipendente.
Con gli arabi nasce il nome di Marsala
In questo contesto la Sicilia quindi sarebbe stata l’ultima conquista degli Arabi, l’unica di fase abbasìde, quando ormai lo slancio della prima espansione si era progressivamente spento. Fu dato il comando della spedizione ad Asad ibn al-Furât, settantenne giurista islamico, già cadì (qâdî in arabo) di Kairuan. Il vecchio commentatore del Corano dà alla spedizione il carattere ideologico di guerra santa. Pare sia stato investito come primo “emiro” della Sicilia; ma a nostro avviso può essere ancora definito solo come capitano della spedizione o capo provvisorio. A Eufemio sarebbe spettato un ruolo di “imperatore tributario” in caso di successo? Non è dato saperlo. La spedizione araba da subito lo emargina, i suoi progressivamente lo abbandonano, mentre i Siciliani non lo vedono più come un eroe ma come un traditore. Allo sbarco a Mazara (827) è una carneficina, Asad chiede ai sostenitori di Eufemio di stare a guardare, gli Arabi vincono e vi stabiliscono una prima “testa di ponte”. Mazara diventa la città che, più di altre, avrebbe tenuto i rapporti con la madrepatria. Dal nome dei primi governatori (wâlî), sarebbe appunto derivato il nome di “Vallo di Mazara”, con cui sarebbe stata designata tutta la Sicilia al di qua dei due Imera, sovrapponendosi grosso modo alla vecchia “sub-provincia” lilibetana che in contemporanea si dissolve. Abbandonata Lilibeo dai governatori bizantini l’amministrazione collassa. Gli Arabi l’avrebbero ribattezzata di lì a poco “porto di Dio” (Marsâ Allah) o più probabilmente “porto di Alì” (Marsâ ‘Ali), cioè l’attuale Marsala.
Eufemio da Messina: un fantasma sempre più grottesco
Gli inizi sono molto incerti. Nell’828 gli Arabi tentano invano di assediare Siracusa, poi ripiegano nell’interno, guidati da Eufemio che si aggira come un fantasma nei suoi grotteschi abiti imperiali. Morto Asad, i primi Saraceni, che al loro interno avevano un’organizzazione quasi democratica, eleggono un altro capitano, che chiamano genericamente Sâhib, cioè “Signore”. Da Kairuan intanto non arrivano rinforzi. Dopo alcuni scontri presso Mineo e Girgenti e la presa di alcuni castelli, tentano velleitariamente un assedio a Castrogiovanni. Qui i Siciliani, attirato con un inganno Eufemio, fingono sottomissione; tra gli ennesi che si prostrano all’imperatore posticcio due fratelli che lo conoscono o fingono di conoscerlo escono dal gruppo, uno dei due fa segno di abbracciarlo, lo stringe forte a sé in un finto afflato da vecchio amico, mentre l’altro fratello gli pianta un coltello nella nuca. È la fine dell’allucinazione di potere liberare la Sicilia con l’aiuto di nuovi invasori. Da ora in poi gli Arabi non devono neanche tentare una finzione di alleanza con i cristiani di Sicilia, la loro è una semplice guerra di conquista. Le truppe sono in gran parte nordafricane, alcune di stirpe araba, altre di stirpe berbera (queste si sarebbero stabilite per lungo tempo a Girgenti, l’antica Agrigentum). Dopo aver subito alcune sconfitte dal patrizio Teodoto, agli Arabi resta solo l’avamposto di Mazara e un manipolo a Mineo, proprio vicino ai laghetti di Naftìa che erano stati santuario sacro degli dei Palici ai tempi di Ducezio (829).
Palermo diventa una Capitale
A questo punto (830) arrivano poderosi rinforzi dall’Africa, ma affluiscono anche molti volontari dalla Spagna islamica. Gli Arabi abbandonano Mineo e dilagano nel Val di Mazara dove occupano castelli e casali, ma soprattutto diffondono il terrore. La svolta decisiva è l’assedio e la conquista di Palermo (831). Poche migliaia di superstiti all’assedio assistono alla valanga saracena. A Palermo si stabilisce una folta colonia islamica che prende a governare la provincia in fase di conquista in modo assai autonomo da Kairuan, anzi quasi da paese indipendente. Alla conquista di Palermo si può dire nasca quindi lo stato arabo-siculo. Kairuan invia un emiro di stirpe regale (832): Abû Fihr, cugino di Ziyâdat Allah, poi sostituito tre anni dopo dal fratello Ibrahim (più correttamente “Ibrâhîm” in arabo), dopo essere stato ucciso il primo per una congiura di palazzo. Ibrahim si dimostra buon governatore. Diede buoni ordinamenti al nuovo Stato, diresse le operazioni di terra e di mare, entrambe militari e di saccheggio, senza mai aver bisogno di uscire dal Castello di Palermo, da loro chiamato Qasr, da cui il nuovo nome per la cittadella romano-punica da loro occupata (oggi Cassaro). Palermo cresceva, al di là dei due fiumi che la circondavano, diventando una vera capitale. Non era nato quindi solo lo Stato arabo di Sicilia, ma anche Palermo capitale, la quale, se lo è ancora oggi, lo deve a questa scelta dei nuovi conquistatori, mentre Siracusa andava declinando, man mano che la Sicilia greca si contraeva. Teoricamente l’Emirato di Sicilia era un emirato “vassallo” (se questo termine può essere usato in ambito islamico), la cui investitura spettava ai principali emiri di Kairuan. In realtà, però, né l’amministrazione fiscale, né quella militare furono quasi mai integrate tra Sicilia e Africa. La sudditanza feudale si traduceva soltanto nell’investitura, in alcuni doni mandati a Kairuan e nella promessa all’occorrenza di aiuti militari. Molto spesso, ancora, l’assemblea dei coloni (o dei maggiorenti tra questi), la potente gemaa di Palermo (“jamâa” più correttamente in arabo), eleggeva l’Emiro, poi soltanto ratificato dagli Aghlabiti senza alcun’altra intromissione.
Saccheggi, stupri, uccisioni, schiavitù
In soli 10 anni tutto il territorio che va da Mazara ai fiumi Imera e Salso è strappato ai Greci (831-841). Durante questo periodo muore l’emiro di Kairuan che aveva voluto la spedizione (Ziyâdat Allah, nell’838); i suoi successori si disinteressano della colonia siciliana. I metodi di conquista consistono nel partire con i saccheggi del territorio, incendio dei campi e dei raccolti e distruzione di tutte quelle che oggi chiameremmo le “infrastrutture” (mulini, frantoi), mentre i Greco-siculi si rinserravano nelle città. Seguivano assedi e, dopo la vittoria, uccisioni sommarie, stupri, riduzioni in schiavitù. In una parola il terrore. I cristiani arresi più fortunati diventavano “dhimmi”, al pari degli ebrei, cioè “umiliati”, cittadini di serie B che a stento mantenevano la libertà personale e un diritto di culto semiclandestino. Lo Stato siculo-arabo prende a battere moneta nel nome degli emiri di Kairuan, ma anche di quelli locali. La monetazione si inserisce in quella superstite bizantina di Siracusa, sempre più inflazionata, ibridandola con quella ufficiale islamica, attribuita ad epoca Omayyade, incentrata su dinar aurei, dirham argentei, e per gli usi divisionali i fuls di rame, ponendo le più lontane basi di quello che, dopo la conquista normanna, sarebbe diventato il sistema monetario siciliano moderno.
La flotta e i pirati saraceni
Altro elemento importante di questo Stato è la flotta. A Palermo i Saraceni costruiscono una flotta con la quale infestano il Tirreno, lo Ionio, l’Adriatico, dando manforte agli avamposti di pirati saraceni stabiliti in Italia, soprattutto al Sud. In questo quadro stipulano un’alleanza con Andrea, console di Napoli, aiutandolo a liberarsi del tributo dovuto al Ducato di Benevento (836). L’alleanza tra Siculo-arabi e Napoletani durerà, con fasi alterne, circa mezzo secolo. Già due anni dopo troviamo la flotta siciliana solcare l’Adriatico, fino quasi a Venezia, ancora non assurta alla grande potenza dei secoli successivi. I pirati Saraceni occupano Taranto (839), più altri presidi sulla costa calabrese. Il Governo di Siracusa non riesce in Sicilia ad opporre una valida resistenza se non quella di resistere sull’asse Castrogiovanni- Madonie, con la fortificazione di vari centri, sotto il controllo della città di Castrogiovanni, dove ha sede un comandante che guarda la frontiera, ma non può impedire i saccheggi e il terrore islamico.
Massimo Costa
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