Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 (II)

Posted by on Mag 23, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 (II)

Dovremmo smettere di definire certi storici “borbonici” e chiamarli semplicemente “preunitari” o “napolitani” nel nostro caso. Non si  capisce per quale motivo il Colletta che non scrive certo un trattato di obiettività scientifica sia considerato uno storico e i napolitani che scrissero al tempo di Ferdinando II siano considerati dei lacchè di regime.

Gli esuli pagati profumatamente in quel di Torino dal conte di Cavour per scrivere le loro ricostruzioni storiche antiborboniche che cos’erano? I depositari  della verità rivelata?

Buona lettura e soffermatevi sul profluvio veramente impressionante di innovazioni normative operate dal Re Ferdinando II

CAPITOLO PRIMO.

PRINCIPI ED ANTECEDENZE DEL REGNO.
Sommario

Come e quando il Reame succede a Ferdinando II. Suoi primi anni. Assenti i suoi Angusti Genitori compie landevolmente pubbliche funzioni di Corte, Religiose, e Militari. È nominato Comandante in Capo dell’Esercito, e poi Vicario Generale del Re, e negli altissimi uffici! mirabilmente si comporta. Disposizioni e leggi per Lui date o fatte. Morte di Francesco I., e suo cenno storico. Ferdinando II. ascende al Trono, ed emette un proclama memorando. Gaudio dei popoli. Stato politico universale. Brevissimo schizzo del nostro stato prima dei Borboni.

La pregerol Corona delle Due Sicilie, fermata nella Borbonica Stirpe dalla invitta virtù di Carlo, e per Lui stesso tenuta infino a che destini più solenni non Io richiamarono altrove, passata poscia fra varie e lunghe vicende al I. Ferdinando, e per breve ora al buon Francesco, si posò nel novembre del 1830 sul capo a Ferdinando II.

Egli respirate le prime aure di vita in Palermo ai 12 Gennajo del 1810, quando appunto la napoleonica spada percuoteva tutti i Troni di Europa, venne innanzi negli anni con la guida di. Uomini preclari e commendevoli, i quali su di opportuno terreno lavorando, gittarono nell’animo di Lui i semi di quelle alte e nobili virtù, onde lumaio spirito s’abbella, e si addestra nella grande e sublime scienza del governo dei popoli.

– 2 –

Varcato appena il terzo lustro ebbe a mutare il titolo di Duca di Noto in quello di Duca di Calabria, chc teneva il suo Padre Francesco ormai salito al Trono. Questo titolo già lo avvicinava al seggio al quale Iddio avea

10 destinato. Guari non andò e i suoi Augusti Genitori ebbero a viaggiare fino alle austriache regioni d’Italia, e lasciarono il Giovine Ferdinando a Capo della Real Famiglia, a fine di rappresentarli in tutte le pubbliche funzioni. Ed in fatti rappresentolli in varie circostanze, mostrando tutte quelle ‘virtù, che ad un Giovane saggio ed accorto si addicono. Ai 27 di Aprile del 1825, correndo

11 dì natalizio della Sorella Maria Cristina, ed ai 30 del susseguente maggio, essendo il dì suo onomastico, compiva con decoro e gentilezza le funzioni di Corte, ricevendo gli omaggi di molti Personaggi illustri del Regno e Stranieri, i quali della bontà e delle maniere di Lui serbarono grata memoria.

Viderlo le domestiche pareti in pubblica funzione, videlo anch’esso l’amato popolo nella circostanza di religiosa funzione. Ai 2 del cennato Maggio rccavasi al Duomo in forma pubblica per venerare il sangue ancora vivente del Mitrato Protettore di Napoli, e nel secondo dì del seguente Giugno assisteva alla pubblica festa del Corpo di Cristo. Con indicibile compiacimento e somma letizia vedea l’accalcato popolo Colui, che un dì dovea governarlo, far bella mostra di modestia, di benevolenza, e di altre virtù; adempiere degnamente alle veci del Re assente, e compiere mirabilmente quelle pie, antiche, e solenni funzioni. Il popolo metteagli mollo amore. Napoli tutta ne andò sovrammodo lieta, e contenta.

Mostrossi alla Corte il giovine Principe, al popolo si mostrò, dovea mostrarsi all’armata da Lui tanto prediletta, e nel marzo del 1826 passava una rivista in Napoli e poscia altre n’eseguiva in Portici, in Nocera, io Nola, in Caserta ed in altre città conterminali ove erano acquartierate le nostre truppe.

– 3 –

Sovente portavasi ai campi d’istruzione, andava osservando le opere, che allora si costruivano in Castellamare, ed in Napoli, e molte altre cose facea nel ramo militare, le quali ben mostravano quanta virtù guerriera nel suo animo albergasse, quanta maturità di senno in fresca età facesse mirabile contrasto.

Impertante nel Maggio del 1827 incominciò veramente a dare opera alle pubbliche faccende; imperciocché instituito in quel tempo dal Re un Comando Generale delle Armi, fu Egli nominato Comandante in capo dell’Esercito, ed a buon dritto; perché fino dalla prima infanzia avea dato segni non dubbii di genio militare, e volto l’animo suo alla nobile o sublime carriera delle armi, e addentratosi nel nuovo aringo, ben diede a vedere quanto nel fatto le preconcette speranze si avverassero.

Diligenza somma in osservare, franchezza ed aggiustatezza di giudizio, precisione o prontezza di comando, mirabile operosità costituivano i pregi, che in Lui ancor giovane, si ammiravano. Conoscendo di buon ora, che il soldato si forma nel Campo, e che la militare virtù si distempera, e si sperde fra le blandizie di una vita molle ed inerte, assiduamente traeva i Reggimenti a campeggiare, facendosi Capo ed esempio dei disagi e delle fatiche più aspre. Quanta utilità sia derivata e derivi da tanti e si moltiplicati bellici esercizi!, ben si comprende da chi scorge nella pratica il tesoro di ogni arte.

Spingereimi al di là dei limiti segnati, ove discender volessi a notare le disposizioni, le fatiche, le cure, che per Lui si fecero in bene dell’Armata; cennerò soltanto, che ricordevoli sono la Ordinanza per gli ascensi militari dei 13 aprilo 1828; la legge risguardante la sorte delle vedove e dei figli degli Ufficiali, non che la norma per la contrattazione dei matrimonii; quella che spetta all’ingaggio dei cambii per leva militare; e soggiun

– 4 –

che innumerevoli furono le colonne mobili, le passeggiate militari, i campi di evoluzione, le ispezioni, i simulacri di guerra, le riviste, ed altre operazioni volte al progresso della milizia; cosicché per tal modo il nostro esercito prese l’abrivo di una nuova era, la quale per onore, per gloria, e per istruzione dalle passate grandemente si diparte.

Le cure, le premure, l’esempio di un Re sono di vivido sprone e d’incitamento per gli eserciti. E Ferdinando Il da Principe, e da Re seppe infonder nella nostra Armata illimitata fidanza, disciplina severa, istruzione teorica e pratica compiuta, religione, coraggio, e tutte quelle altre solenni virtù onde le milizie incivilite si decorano. Giustamente ne restarono ammirate tutte le Persone Reali o Imperiali, e Personaggi di grido, che da quell’epoca viaggiando il nostro Regno, osservarono da vicino lEsercito, che era il fruito delle assidue cure di Ferdinando. La gloriosa ed onorata fama, che corsene fin d’allora per tutto il mondo, fu grata ricompensa a tante fatiche I

Né solo militari talenti in Lui da Principe si osservarono, ma benanche sapienza civile, la quale costituisce con la militare virtù pregevole assieme nel diadema dei Re; imperciocché senno civile forma le nazioni, virtù guerriera le preserva e garentisee. Già pervenuto alla maggioretà, secondo lo Statuto di Famiglia, negli anni in cui più possono gli ardori giovanili, che la posatezza della meditazione, sedeva Egli di fianco al Re nel Consiglio di Stato, ed apprendeva di buon ora la pratica governativa, la quale svegliando in Lui la scintilla del genio, preparava quella civile sapienza di cui ridondano i fasti dal suo Regno, e di cui si ebbero le prime pruovo nel suo Vicariato; imperciocché l’Angusto Genitore, allontanandosi dal Regno per condurre la Figliuola Maria Cristina al Trono della Spagna, Sposa al vedovo Ferdinan

– 5 –

Il nuovo ed alto uffizio non rattiepidì in Lui punto né poco la sua virtù, anzi gli fa di sprone a distender le sue pratiche, a mettere ad effetto le già preconcette idee, a moltiplicare le sue cure. Ritornato nella Capitale dai confini del regno, dove aveva accompagnato gli Augusti Genitori e la Sorella Sposa, applicò l’animo alle supreme e diffìcili cure del governo con tanta solerzia, agevolezza, e sapere da recare sentita meraviglia a coloro che erano incanutiti nel diriger le fila governative, ed a tutti quelli che tenevan d occhio le operazioni del giovin Vicario, che dovea un giorno, e questo non lontano, stringer lo scettro.

Un momento non intermise ed in tutti i rami governativi apportò modifiche, immegliamenti, completamenti, giustizia, ed ogn’altro bene che al progresso del Reame si attenesse. Apriva, correndo il giorno onomastico di Re assente, la pubblica esposizione delle industrie patrie; volgeva le sue premure pel rinettamento dell’emissario di Claudio, ordinava la riunione della commissione intesa all’ammortizzazione del debito pubblico, non che il mantenimento del sistema finanziero che in mezzo ai tempi torbidi avea servato il credito pubblico; emanava una provvida legge con opportuno regolamento per impedire i contrabbandi, un’altra era intesa ad ovviare il monopolio sulla introduzione dei generi esteri che in diversi luoghi debaccava; emetteva utili provvedimenti intorno al Tavoliere di Puglia; faceva risorgere la utile istituzione dei monti frumentarii; ordinava la riunione o la separazione dei comuni sì come meglio richiedessero il bene delle rispettive popolazioni, determinava la contribuzione fondiaria per l’anno seguente; decretava opportune modifiche intorno alla trascrizione sui registri delle conservazioni delle ipoteche; portava saggi

– 6 –

e dei disastri apportasse miseria e danni; né in mezzo a tante cure pretermetteva l’amato esercito, anzi lo menava più volte in mezzo ai campi pei soliti esercizii; infine nel breve giro del suo Vicariato il giovin Ferdinando operò in modo che molta laude gliene tornasse dall’Augusto Genitore allorché rientrava nel Regno, molta meraviglia nell’animo dei Sapienti lasciasse, e pari speranze nel cuore di tutti i popoli sorgessero. Breve fu quella luce ma intensa e salda.

Intanto Re rimpatriato appena di Spagna, rincruditasi pel viaggio la sua abituale malsania, passava di questa vita agli 8 novembre del 1830. Fu Egli Clemente, Saggio, Religioso: poco più di cinquantatré anni visse, dei quali molti da Principe, pochi da Re, e quelli per guerre ribellioni, e domestiche sventure acerbi, questi per brevità poco men che lieti. Più volte Vicario del Regno in tempi calamitosi seppe della prudenza farsi schermo, e in mezzo alle procelle recarsi a porto. Sposò, in prime nozze Maria Clementina d’ Austria, ed in seconde Isabella di Spagna, delle quali l’Una per brevità di nozze, per tempi crudeli, per la perdita del suo figliuolo, e per immatura morte, grandemente infelice; e l’Altra per contrarie venture felice. Molte cose in bene dei suoi popoli fece, più molte ne avrebbe fatto, se Fato avverso non lo avesse spento. Amato in vita di vero amore, e di vere lacrime rimpianto in morte. Di tempi migliori degno.

Grave era il dolore che tanta perdita straziava il cuore del Giovin Re, ma più grave era il debito che Iddio, affidandogli il Reame, gl’imponea; si che un solo istante non intermise, ed a suoi diletti popoli volgea un proclama che rimarrà mai sempre documento di sapienza, di rettitudine, di religione, e di ogni altra virtù che ornar l’animo di un Re. Quest’esse sono le sue solenni parole.

– 7 –

» Avendoci chiamato Iddio ad occupare il Trono dei Nostri Augusti Antenati, in conseguenza della morte del Nostro Amatissimo Padre e Re I, di gloriosa memoria; nell’atto che il Nostro Cuore è vivamente penetrato dalla gravissima perdita che abbiamo fatta, sentiamo ancora l’enorme peso, che il Supremo Dispensatore dei Regni ha voluto imporre sulle nostre spalle nell’affidarci il governo di questo Regno. Siamo persuasi che Iddio, nell’investirci della sua autorità, non intende, che resti inutile nelle Nostre Mani, siccome neppur vuole dio ne abusiamo. Vuole, che il Nostro Regno sia un Regno di giustizia, di vigilanza e di saviezza, e che adempiamo vèrso i nostri sudditi alle cure paterne della sua Provvidenza. Convinti intimamente dei disegni di Dio sopra di noi, risoluti di adempirli, rivolgeremo tutte le Nostre attenzioni ai bisogni principali dello Stato e dei Nostri attintissimi sudditi, e faremo tutti gli sforzi per rammarginare quelle piaghe che già da più anni affliggono questo Regno».

» In primo luogo, essendo convinti, che la nostra Santa Cattolica Religione è la fonte principale della felicità dei Regni e dei popoli, perciò la prima e principale Nostra cura sarà quella di conservarla, e sostenerla intatta in tutti i Nostri stati, e di procurare con tutti i mezzi l’ esatta osservanza dei suoi Divini Precetti. E siccome i Vescovi, per la speciale missione che hanno avuto da Gesù Cristo, sono i principali Ministri e Custodi della stessa Religione, così abbiamo tutta la fiducia che seconderanno col loro zelo le Nostre giuste intenzioni, e che adempiranno esattamente i doveri del loro Episcopato».

» In secondo luogo, non potendo esservi alcuna ben ordinata società senza una retta ed imparziale amministrazione della Giustizia, così sarà questa il secondo scopo al quale rivolgeremo le Nostro più attento sollecitudini.

– 8 –

Noi vogliamo, che i nostri tribunali siano tanti Santuari i quali non debbono mai esser profanati dagl’intrighi, dalle protezioni ingiuste, né da qualunque umano riguardo o interesse. Agli occhi della legge tutti i Nostri sudditi sono eguali, e proccureremo, che a tutti sia resa imparzialmente la giustizia».

» Finalmente, il ramo delle Finanze richiama le nostre particolari attenzioni, essendo quello che dà moto e vita a tutto il Regno. Noi non ignoriamo esservi in que. sto ramo delle piaghe profonde, che devono curarsi, e che. il Nostro Popolo aspetta da Noi qualche alleviamento dei pesi ai quali, per le passate vertigini, è stato sottoposto. Speriamo, con l’ajuto e l’assistenza del Signore, di soddisfare a questi due oggetti tanto preziosi al paterno Nostro Cuore; e siamo pronti a fare ogni sagrifizio per vederli adempiti. Speriamo, che tutti imiteranno, per quanto possono, il Nostro esempio, a fine di restituire al Regno quella prosperità che deve essere l’oggetto dei desideri di tutte le persone virtuose ed oneste».

» Riguardo poi alla Nostra Armata, alla quale già da diversi anni abbiamo consacrato le particolari Nostre cure, siccome con la sua disciplina ed ottima condotta già si è resa degna della Nostra stima e particolare compiacenza, così dichiariamo che non lasceremo occuparci di essa e

del suo bene, sperando che dal suo canto ci darà in tutte le occasioni le prove della sua inviolabile fedeltà, e che non macchierà mai l’onore delle sue bandiere».

I fatti che di breve seguirono a cotanto benefiche promesse, alla fama precorsa ed alle luminose pruove già date come Vicario Generale, mossero nell’animo dei Popoli sentita gratitudine, ed alto contento. Non eravi Città, non Paese, non Borgata del Reame, in cui gli animi a confortevoli e grandi speranze non si aprissero, e da cui una Deputazione non si approntissc, o spedisse per alla Capi

– 9 –

Feste svariate, letterarie accademie, composizioni d’inimistà, largizioni ai poveri, ed altre esternazioni e gare di affetto rallegrarono quei giorni. Dal Tronto al Lilibeo unanime fa il giubilo, una sola famiglia parea che tutto il reame componesse.

Impertante sovrammodo dubbie corrcan le sorti politiche in quell’anno; imperciocché eravi moto o strepito d’ogni parte. Smantellato il Trono di Carlo X stavasi io trepidazioni sulla volubil Senna; rumoreggiavano le armi nei Campi dell’Algeria; fiero rivolgimento ardea nei Paesi Bassi, per lo quale il Belgio, dopo date o patite sconfitte, si emancipava dall’Olanda; Austria tutta in armi; Polonia tumultuante; le Renane Provincie in fermento, e Berlino istessa da lievi e brevi rumori conturbata; non quieta la Baviera, due volte in Munich si combatté; il Duca di Brunswich dopo furiosa sollevazione in bando dai suoi Stati; l’Assia Elettorale, ed Amburgo sovvertite; la Svizzera in conflagrazione; Piemonte vacillante; Lombardia invigilata; Spagna in uno dei suoi confini ribellata; movimenti sediziosi in Portogallo; desio d’indipendenza rinfocolava l’Irlanda, né senza disordini Inghilterra; la Russia pronta ad uscire in campo; sollevazioni nell’Albania; timori in Egitto; Buenos Ayres per accanita guerra lacero e sanguinoso, e perfino nel lontano Messico e nella Colombia agitazioni. Un turbine universale il politico Ciclo minacciava. Né in tanto ribollimento delle cose il veleno di novità non serpeggiava fra noi; sì pel cattivo esempio forastiero, e si per lo mal seme del novilunio, il quale non totalmente spento, parea che fosse parato a rigermogliare per opera di quella genia, la quale rotta ad ogni vizio, sorda alle voci della ragione, e non curante o ignara delle gravi ed eloquenti lezioni della Storia agogna di vivere e gavazzare fra le ribellioni. Vedremo in

-10 –

Quali fossero i bisogni e lo stato della pubblica cosa, e quando ad immegliarla intendesse l’animo il giovin Re non occorre qui dire; perocché risulterà dai particolari che formeranno materia ai venturi Capi. Se non che siami lecito di cennare qui di passaggio, che le migliorie civili vennero a noi dalla sapienza dei Borboni, e che al colmo del progresso e della felicità saremmo, ove tempi sinistri non avessero la benefica e grandiosa opera interrotta e ritardata. Carlo fondò, Ferdinando primo accrebbe, continuò, Ferdinando compié il nostro incivilimento; e chi si facesse a volger lo sguardo sullo stato in cui eravamo ammelmati prima che il Magnanimo Carlo ce ne sollevasse, inorridito altrove lo ritorcerebbe.

Un informe e mostruoso ammasso di undici legislazioni, e di consuetudini diverse formava ingombro non guida ai Magistrati, periglio non guarentigia ai dritti del Cittadino, addentellato vastissimo ai cavilli dei Curiali, di cui un incomposto e reo sciame ammorbava le caste aule di Temide. Erronea o arbitraria la procedura, in lontani luoghi gli ultimi appelli, le competenze non fermate; materia opportuna per la umana malizia, e però scaltrimenti intrighi, viluppi, disordini, oppressioni, ingiustizie. Non misura, non modo, non senno, ma ladre ed ingorde avarizie guidavano la Finanza: le proprietà, i consumi, le vesti, il vitto, i possessi, tutto ora materia a’ balzelli, e quando la rea bisogna non era fornita si vide il demanio regio spacciato, le Magistrature e i titoli di nobiltà messi a prezzo, cospicue ed innocenti Città infeudate, gli arrendamenti in campo. Le cose amministrative non in migliore posizione; perché ristrette erano, o erronee, o insidiose; quindi poche o nulle le opere pubbliche, abbiette o aneghittite le arti, man

– 11 –

Il feudalisimo, retaggio di barbara età, in essere. Né la milizia era ben regolata: la sedazione, l’arbitrio dei Baroni, i gaggi, la scelta dei condannati, la presa dei vagabondi, ed altri modi illegittimi e strani spingevano le persone nella carriera delle armi, le quali sotto vesto straniera, in straniere contrade, e per istraniere cagioni combattevano. Non eravi in fino ramo del civile consorzio che non fosse cangrenato, non Società che fosse più abbrutita e misera della nostra. Grave ed orrenda sventura premea gl’innocenti Popoli delle due Sicilie.

Tale nella somma era lo stato nostro allorché il braccio di Carlo venne a rilevarci di tanta abbietezza, ed a spingerci sotto il felice patrocinio della Sua Stirpe nella carriera del mornaccale e giusto progresso.

continua…….

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/01_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#ANTECEDENZE

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.