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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 (VI)

Posted by on Mag 27, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 (VI)

Dovremmo smettere di definire certi storici “borbonici” e chiamarli semplicemente “preunitari” o “napolitani” nel nostro caso. Non si  capisce per quale motivo il Colletta che non scrive certo un trattato di obiettività scientifica sia considerato uno storico e i napolitani che scrissero al tempo di Ferdinando II siano considerati dei lacchè di regime.

Gli esuli pagati profumatamente in quel di Torino dal conte di Cavour per scrivere le loro ricostruzioni storiche antiborboniche che cos’erano? I depositari  della verità rivelata?

Buona lettura e soffermatevi sul profluvio veramente impressionante di innovazioni normative operate dal Re Ferdinando II.

CAPITOLO IV

MANIFATTURE ED OPERE PUBBLICHE.

Sommario

.Protezione particolare di Ferdinando alle manifatture. Agevolazioni, e premii ai Fabbricanti. Esposizione biennale delle patrie manifatture. Lavori pregevoli di Lana, di Cotone, Lino, e Canapa, Seta, Cappelli, Paglie, Cuoj, e Pelli, Cartiere, Vetri, Argilla ed altre terre. Metalli. Altri lavori diversi, e prodotti chimici. Innumerevoli quantità di Opifìcii. Ferdinando s’interessa grandemente delle Opere Pubbliche. Le strade della Capitale. La Torre del Faro, Il porto militare. Illuminazione a gas. La Reggia. I cavalli di bronzo. Ospedali, il grande Archivio del Regno. Il Real Museo. I Campisanti. Inalveamenti. Emissario del Fucino. Le strade Ferrate. Ponti, e segnatamente i sospesi a catene di ferro sul Garigliano e sul Calore. L’Osservatorio meteorologico. Templi, fontane, ed altre opere pubbliche. Consigli Edifizii. Diversi atti legislativi sol proposito. Il Real Corpo dei Pompieri.

La copiosa dovizie delle materie prime o grezze che produce il nostro Regno, ridonderebbe a non lieve danno e a massimo disdoro nostro, ove la industre mano dell’operaio variamente non la immutasse, rendendola opportuna agli usi della vita. Troppo invilita sarebbe la nostra condizione ove dovessimo spedire allo straniero quelle materie, perché egli ce le ritornasse sotto altra forma o apparecchio. Vero é, che nel nostro paese le braccia possono essere applicate utilmente all’agricoltura, alla pastorizia, al commercio e simili; ma è pur vero, che molto ancora ne restano le quali torpirebbero nella ignavia, o nell’ozio, se alle manifatture non si applicassero ed incentrerebbero tutt’i danni che ne derivano, e segnatamente l’intorpidimento delle facoltà intellettuali e morali, la povertà, e quell’abbrutimento al quale spinge l’impero dei bisogni materiali.

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Epperó le manifatture sono state mai

Immegliava, sì come si è sparsamente notato innanzi,1′ agricoltura e la pastorizia, e quindi la produzione e la moltiplicazione dei generi grezzi; favoriva la introduzione di nuovi strumenti concegni, ed ordigni, e di nuove macchine che meglio agl’industriali usi rispondono, le quali al dire di un filosofo, sono addivenute come le ali che il genio dell’umanità fa muovere nell’ordine materiale, tendendo sempreppiù a far dell’uomo che era l’operajo principale, l’ispettore ed il direttore del lavoro che si eseguo a seconda delle leggi e delle combinazioni, cui egli ha soggettate le forze della natura. Concedeva molti privilegi agli autori o introduttori di novelli opifici, ed ai Fabbricanti di segnare con un bollo particolare i loro prodotti; affinché con quelli degli stranieri non si confondessero, dando all’uopo utili deposizioni. Ordinava a stimolo di util gara la esposizione biennale delle manifatture, e largiva premi medaglie guiderdoni, ed altre maniere d’incuoramenti alle più stimate fra queste. Decretava, che i concussionari di privative depositassero negl’Istituti d’Incoraggiamento i modelli e i disegni delle macchine i o strumenti, o altre cose per le quali si domandano premi. Si faceva a concedere spesso le privative, mezzo opportuno ad adescare e forbire l’umana intelligenza, e voltarla a bene del progresso; stabiliva in Palermo un Istituto d’incoraggiamento per le arti e manifatture delle terre transfarane; accordava a vari fabbricanti l’uso gratuito di monasteri soppressi, o di altri pubblici edifici.

Inoltre estendeva alla Sicilia il sistema per la bollazione di talune manifatture estere suscettive di un bollo che per la legge dei 19 giugno 1826 non sono soggetto alla bollazione; parimenti emetteva delle disposizioni per lo bollamento

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delle manifatture indigene di Sicilia confondibili con le straniere, e stabiliva l’epoca dalla quale dovesse

In fatti pregevoli oltre a modo sono i nostri lavori di lana, e se ne sono grandemente moltiplicate le fabbriche, e migliorate le qualità. La capitale e le provincie gareggiano. Ogni classe di cittadini trova di che vestirsi, eziandio le più cospicue; di nostri panni veste l’armata tutta per lo addietro ci venivano dall’estero immense quantità di tessuti di lana, i quali non più che quarant’anni fà tolsero al nostro regno meglio di un milione di ducati, ed ora a ben poca cosa si riducono, e servono più al capriccio, che al vero bisogno ed alla decenza: per contrario abbondante era prima la estrazione delle nostre lane grezze, ed ora scarsissima, tuttoché si fossero moltiplicati ottremodo gli armenti: similmente copiosa è la introduzione delle materie coloranti estere, e scemata la esportazione di quelle indigene.

Medesimamente degni di lode sono i lavori di cotono condotti maestrevolmente in molte fabbriche maestose, le quali presentano tintorie tessitorie filande stamperie biancheggio apparecchio laboratori chimici, e quanto altro abbisogna per produrre tessuti che gareggiano con quelli di tutti gli altri paesi manifatturieri di Europa, dai quali sono ricercati.

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Perlocbé grande argomento di progresso del

le nostre cotonerie formano la minorata esportazione dei nostri cotoni grezzi, o la scemata introduzione dei lavori di cotone esteri. Progrediti assaissimo sono i lavori di lino e canapa.

Le nostre sete godono oggimai di una fama europea; i setifici si sono moltiplicati di anno in anno, e mettendo fuori tessuti magnifici, i quali, sia notato a nostro compiacimento, sono richiesti da molte Capitali estere per servire alla eleganza ed al lusso. Ammirevoli sono le fabbriche di S. Leucio e di Catania, per non dire di molto altre di minor conto. Scarsa o quasi nulla si è renduta la immissione delle sete estere, la quale fu strabocchevole nel cadere del primo decennio del presente secolo, ed all’opposto grande è la estrazione di quelle per molti porti esteri, e per sino degli Stati Uniti di America. Non v’è paese del nostro regno in cui la industria della seta non alligni, salvo quei pochi che sono sotto la influenza di un clima rigido. Molta cura si ripone nella coltura dei gelsi, moltissima nei filugelli, non minore nella estrazione e nella preparazione della seta: due volte all’anno s’intende l’animo a tale industria e quasi esclusivamente dalle donne.,

Non lieve avanzamento ha ricevuto fra noi l’arte del cappellajo, e i laudevoli lavori in seta felpa, e pelo han fruttato a molti fabbricanti i premi dell’Istituto d’incoraggiamento. Pochissimi son quelli che si provveggono di cappelli stranieri, e sovente vanno per esteri i nostrali. Degni di ricordo sono i feltri impenetrabili all’acqua, e i cappelli della cosi detta seta vegetabile. Pel passato si estraevano dal regno le pelli di lepre, e recentemente s’immettevano in gran copia; parimente la immissione dei cappelli esteri era strabocchevole trent’anni dietro, ed ora è scarsa, ed al contrario non poca la estrazione dei nostrali.

Le manifatture di paglia sono eziandio mirabilmente progredite, e se non toccano il grado di quelle di Toscana e di Francia, non però di meno son tali che possano fornire alla bisogna dei più.

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Nella fine del terzo lustro di questo secolo era quasi sconosciuta appo noi siffatta fabbricazione, ed ora è abbastanza estesa e perfezionata.

Son salite giustamente in fama le fabbriche dei cuoi e delle pelli, che innumerevoli si osservano in Napoli Castellammare Penne Sora Teramo Tropea Messina Palermo, ed in moltissimi altri luoghi. Le nostre polli gareggiano con quelle di Francia; non pia paghiamo a prezzi gravi i guanti di Francia, ma noi ne mandiamo grandi quantità per l’estero e infino alle lontane Americhe; si che sono straordinariamente cresciute le nostre fabbriche di guanti. Non poca era nei tempi trascorsi la immissione delle pelli e dei cuojami esteri, ed ora è quasi che nulla, e per converso scarsa prima, ed ora grande è la estrazione delle nostre pelli conciate.

Commendabili sono benanche le fabbriche di carta. Nella costiera di Amalfi, in quel di Loreto, sulle rive dei Liri e del Fibreno, per tacere di molti altri luoghi, sorgono magnifiche Cartiere, in cui havvi varietà e novità di macchine, fra le quali è ricordevole quella inventata recentemente in Inghilterra, e che fu la prima ad introdursi io Italia, la quale in poco di tempo somministra carta in copia e bella e fatta. Né solo ad uso dello scrivere si fabbricano le carte, ma eziandio per parali ed adornamenti di stanza. A ben poca si è ridotta la disorbitante quantità di carta che ci veniva dall’Estero, e per contrario le nostre fabbriche ne mandano fuori assaissimo. Le carte del Fibreno son richieste di frequente dall’Egitto, e dal longinguo Brasile.

Non debbono essere pretermessi i lavori di vetro, di cui non ba gran tempo difettavamo. Moltissime fabbriche sonosi stabilite, le quali gareggiano con le straniere nella produzione svariata di vetri piani e concavi, semplici e lavorati, bianchi e vagamente dipinti, e in cento altri modi pregiati.

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Le fucine di Posillipo somministrano in gran copia i cristalli in lamina, che prima ci venivano di Venezia e di Boemia, o che ora noi mandiamo copiosamente in Malta in Barberia, e nelle Americhe. E la immissione e la estrazione, che formano il termometro delle interne manifatture, presentano dati lusinghevoli, poiché di abbondante si è resa scarsa la prima, e di nulla si è resa abbondante la seconda.

I lavori di argilla e di altre terre sono molto innanzi appo noi, ed hanno ricevuto una non lieve pinta da poi che cadde in animo ai lavorieri di emulare, le ammirabili opere dissepolte in Pompei, in Ercolano, ed in altre dissepolte Città. Molte sono oggidì le fabbriche di tal sorta, dalle quali vengon fuora le maioliche invetriate, le terraglie ad imitazione inglese, vasi variamente e bellamente fatti, busti, figure, statue, vasi e stoviglie alla etrusca alla egizia ed alla foggia siculo-greca, molli lavori a musaico, ed altra maniere di opere; delle quali, quelle che imitano le antiche, sono tuttodì, ed avidamente desiderate dai forestieri. Pregevole oltre ad ogni credere era la fabbrica di porcellana in S. Maria della Vita.

Inoltre molto in progresso attrovansi gli svariati lavori di metalli diversi. Commendabili sono le manifatture di oro, vuoi per la qualità del metallo, vuoi per la leggiadria e la squisitezza della forma, né è da pretermettersi, che l’indorare su legni e su porcellane si è spinto a perfezione tale, che d’ oltremonte mandano porcellane per averle dorate nelle nostre orerie; similmente grande smercio dei nostri galloni si fa in Levante. Innumerevoli e galanti sono i lavori di ottone, commendabili anche quelli di bronzo, e molto più gli altri di ferro ed acciajo; pei quali i nostri lavorieri hanno agguagliato gl’inglesi, e sorpassati i francesi. Duolmi che i limiti di queste pagine non consentono di cennare a parte a parte siffatti oggetti, ma bastimi ricordare, che i primi ponti di ferro dell’Italia venner fuori dalle fucine calabresi,

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e che macchine a vapore, ed altre per altri uffici, e tutte eleganti solide complicate, magnifiche si fanno nel celebratissimo opificio di Petrarsa, oltre a statue, ed altri lavori pregevoli di ferro fuso.

Da ultimo brevemente mi farò a mentovare, che oltre alle tante manifatture di minor conto si segnalano quelle di ossa, di guscio delle testuggini e simili, per le quali i nostri lavorieri meglio istrutti ne’ metodi chimici di apparecchiare, si francarono dal commercio alemanno, e ne mandan fuori in copia. Contemplabili sono i lavori di cera; e le nostre candele sostengono il paragone con quelle tanto celebrate di Venezia. Molto progredite sono le fabbriche di candele steariche sì per candore per durezza, e per la chiarezza della fiammella. Ricordevoli sono i vari lavori di gioielli vuoi per la semplicità, vuoi per la precisione, non che quelli di vari granati, della nefelina, dell’adulania, dell’ossidiano verde, dei pleonasti, del pirosseno, e di altre maniere di pietre che vengon fuori dalle ribollenti viscere del Vesuvio e dell’Etna.

Né si debbono pretermettere le varie fabbriche di caratteri da stampa, per le quali ci siamo emancipati dallo straniero, e neppur quelle che ottimamente somministrano allume di rocca, cloruro di calce, acido solforico, e muriatico, e tacendo di altri prodotti, cremor di tartaro, il quale forma oggimai obbietto rilevantissimo del nostro commercio esterno.

Per le quali tutte cose facile si rende il rilevare quanto sia degno di commendazione e di laude il governo di Ferdinando li, il quale fu tanto energico ed assiduo nel promuovere, e favoreggiare le manifatture in un paese che prima ne difetta va, ed in cui l’agilità dei corpi, e la perspicacia delle menti rendono molto opportuni gli uomini ad ogni maniera di lavori. Gran numero di fabbriche, di opifici, dì stabilimenti son sorti nell’una e nell’altra Sicilia, sì che dal telajo della donnicciuola del paese fino allo magnifiche e grandiose fabbriche delle città,

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e tutte variamente fornendo alle bisogne diverse, se ne contano un numero innumerevole. Quanto vantaggio, quanta ricchezza siasi apportata al Reame non è chi no ‘I vegga, e soggiungerò quanto onore, poiché l’onore è ancor esso una inestimabile ricchezza.

Punto interessantissimo della storia di Ferdinando II formano le opere pubbliche da Lui fondate o condotte a fine o ristaurate o immegliate o modificate, coma quelle alle quali l’ingentilimento la grandezza e la gloria del Reame dall’un de’ lati, e l’utile la comodità pubblica, e ‘l vivere degli Artigiani dall’altro si rannodano. Noverare tutte le cose per Lui fatte su tal proposito sarebbe veramente opera lunga e interminabile, limiterommi a cennare alcuna cosa particolare per la Capitale e i suoi luoghi prossimani, ed alcun’altra generale per lo provincie.

La metropoli è stata ed è cotidianamente e per ogni verso abbellita ampliata, e resa magnifica, sì che ha mutato aspetto, ed è molto diversa dalla vetusta. Raddrizzate le vie, rese più solide, ampliate, e qui e colà munite di marciapiedi, adornate di alberi; segnatamente quelle della marina e di S. Lucia sottratte al vecchio luridume e conformate all’odierno incivilimento. Smantellate le vili casipole del Piliero, e riordinate in vaghi e simmetrici edifici, sorta con romane forme la nuova dogana ed assiepata da semplice e simmetrica inferriata, la quale un’altra somigliante ne tiene rimpetto che chiude il vicino porto commerciale, ed in una parte fra entrambe si distende il bel ponte della Immacolatella su di archi ferrei, il quale per la sveltezza e la solidità offre comodo passo ai pedoni ed ai cocchi nell’atto stesso che le barche solcano la sottoposta onda.

La strada del Molo rifatta, fornita di ampi marciapiedi, di saldi parapetti, di comode scalinate che nel sottostante lido ti menano.

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La Torre del Faro innalzata di molto, abbellita ed illuminata ad ecclissi col sistema di Fresaci irradia la sua accora luce in lontanissimi punti a conforto dei naviganti. Edificato un ampio, e magnifico porto militare ad oriente della Darsena, reso nei presenti giorni memorando e singolare per un grandissimo maestoso, e solido bacino, opera veramente romana, frutto della saggia mente di Ferdinando e delle assidue cure ed inflessibile costanza dell’Eccellentissimo Ministro, Principe d’Ischitella.

La incantevole strada di Mergellina fatta più larga, nuovamente acciottolata, meglio riparata dalle furie del vicino fiotto, costeggiata da un marciapiede, confortata dall’ombra di nuovi alberi, guarnita di ampia e bella terrazza, rende più delizievote e comodo il passo a chi voglia trarre a salutare l’urna dall’eccelso Vate. La larghissima strada di Foria resa magnifica per la bella Chiesa di S. Carlo all’Arena, e pel magnifico quartiere che fra le antiche torri grandeggia, e per altro nuovo sentiero con altra via comunicante. Dischiusa nella strada nuova di Capodimonte un’ampia scalea adorna di fiorenti ed ombrose piante, la quale comodamente e tosto mena in cima alla collina a chi non volesse percorrere la via rotabile che di lato dolcemente innalzandosi la costeggia, e poscia in vari rami scompartita si protrae innanzi per lungo tratto, ornati i lati di fronzuti alberi che di amico e piacevol rezzo la ricuoprono.

Una moltiplicata diramazione di canali e tubi di ferro fuso e di stagno prende sua origine da ampli serbatoi, e si diramano per la città, ascosi sotto alle strade, o incastrati nelle mura, a spandere fulgida luce per le vie

La Reggia, che sette Re, e trentacinque Luogotenenti non avevan compiuta, e che nel Febbrajo del 1837 fu per ben Ire giorni preda d’incidentali e voraci fiamme,

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ora sciolta dagli ammassi che ingombravanla in alcuni lati, e quasi totalmente rifatta, sorge elegante, maestosa, e bella; la qual magnificenza si è renduta più osservabile si per la nuova e larga strada che si spicca da una sua cantonata portandosi all’Arsenale, e si pel giardino dalla parte di S. Carlo, vago per verdeggianti e floride praterie, per larghi e tortuosi viali, e per ombrose piante, non che per la maestosa inferriata in mezzo alla quale s’innalzano opportuni piedistalli, su cui due nerboruti palafrenieri infrenano le ire di due generosi destrieri, degna opera delle fucine russe, degnissimo dono con che l’Autocrata delle Russie presentava il nostro Re.

L’Ospedale di S. Maria di Loreto, e l’Ospizio di S. Maria della Vita, l’uno nel 1834, e l’altro nel 1836 riedificati dalle fondamenta per accogliervi l’umanità languente.

Il grande Archivio del Regno stabilito nell’antico Monastero dei SS. Beverino e Sossio, che gareggia coi primi delle altre Nazioni. Il Reale Museo grandemente accresciuto dal grembo di vetuste e venerande città che sorgono alla luce del dì per opera dei Borboni, e fra le discoperte cose è a mentovare il magnifico Anfiteatro di Pozzuoli, per lunghissima stagione rimaso sotterra, ed ora per la solerzia di Ferdinando renduto agli occhi degli ammiratori della prisca grandezza.

Lasciando da parte molte altre opere pubbliche che in seno alla Città son surte, mi farò a cennare qualche cosa delle altre che fuori di essa, e nelle provincie son degne di nota. Primamente sono da mentovare i Campisanti, vera opera di civiltà e di progresso, i quali per le solerti

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Scelti i luoghi migliori per sito e per aere, si che di molti paesi potrebbesi affermare, che i morti meglio dei vivi albergano; quasi in tutti si educano le piante malinconiche dei sepolcri, ne mancano le meste viole di ricingere l’orlo delle tombe; qui e colà son disposti innumerevoli e svariati monumenti, opportuno alimento alle belle arti, dove ricchi di marmi di sculture e di statue, dove modesti e semplici, dove infino la sola croce, il più pregevole de’ monumenti, sorge. In tutti comune è la espressione dell’affetto, sono varie guise di lamento impresse nelle meste leggende dei muti marmi che compongono quel regno di morte: in tutti infine fra tanto sconforto e mestizia tanta, sublime si eleva il consolante pensiero della redenzione, e ‘I confortevole vessillo del Golgota.

Fra le pubbliche opere meritano di esser mentovati i vari inalveamenti fatti sì per bonificare non piccole estensioni di terre acquidrinose, o impaludate, sì per infrenare i fiumi nei loro letti e impedirne lo straripamento, e sì per dare un corso alle alluvioni, le quali, ingrato frutto del vandalismo esercitato nei boschi, si precipitano furenti e minacciose dall’alto dei monti, e gravi danni arrecano ai campi ed agli abitati; e già per queste utilissime opere sono grandemente scemate le apprensioni, e le iatture; in molte estensioni di terre s’infossa la vanga, o scorre l’aratro, dove prima infeconda mota era immelmata, e d’altronde molti paesi percossi per lo innanzi da endemiche pestilenze, ora da benigno aere avviluppati godono salutare influsso.

Imperiamo trattandosi di aquidotti non si può passare sotto silenzio l’emissario del Fucino. Per verità fu grandiosa impresa di Claudio di schiudere un varco alle acque

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Troppo a lungo andrei, ove volessi partitamente ricordare tutte le strade che si sono ristaurate, o modificate, o fatte di nuovo, o condotte a fine. Basti rammentare che la piupparte dei paesi, per queste provvide opere, comunicano fra loro, e con le capitali delle provincie; che dalle strade maestre moltissimi rami si dipartono a ravvivare col commercio i luoghi più inospitali, e che finalmente nel periodo di cui discorriamo se ne noverano ben 1300 miglia nelle provincie cisfarane, e 400 miglia in Sicilia. In proposito di strade non possonsi pretermetter quelle che sono l’emblema del progresso, ossia le ferrate; poiché il Ile, andando in ciò innanzi a tutti i Principi Italiani, favoriva la costruzione di due strade a ruotate di ferro,

Parimente innumerevoli sono i ponti costrutti, o instaurati, o amplificati, che sulle opposte rive

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dei fiumi 0 sugli opposti fianchi delle valli si distendono, pei quali han securo passo i pedoni e i carri udì’ atto che più infuriano le larghe fiumane, o rimugghiano gl’impetuosi torrenti. Particolar menzione però meritano i due magnifici ponti a catene di ferro, sospesi con mirabil arte sulle opposte sponde del Garigliano e del Calore, de’ quali il primo fu compiuto, e l’altro fondato dal Re, entrambi i primi ponti di ferro che in grembo all’Italia sorgessero.

Ma ormai i limiti di queste carte non consentono che più oltre mi dilunghi; sì che mi farò raccoltamente a indicare che oltre alle sin qui esposte, infinite sono le altre opere pubbliche sorte nell’una e nell’altra Sicilia. Un osservatorio meteorologico sulla pendice del Vesuvio, negli Stati Italiani il primo: moltissimi Asili dischiusi alla umanità languente nelle metropoli delle provincie e de’ distretti: una maestosa carcere panottica in Palermo: nuovi Orfanotrofii sparsi di quà e di là: innumerevoli e mirabili edifizi manifatturieri surti in moltissimi paesi: parecchi teatri eleganti e magnifici edificati per le provincie: gradevoli e maestose fontane allietano le piazze di non pochi paesi: venerandi templi riedificati, o immegliati, o novellamente costrutti attestano la universale pietà: molli porti tolti dall’antico ed immeritato obblio, altri nuovamente fatti, ed altri designati; e così pel resto.

Infine quanto fosse la cura di Ferdinando pur lo pubbliche opere, si rileva eziandio dai moltiplici atti legislativi, che su tal proposito si faceva a pubblicare. In fatti: emetteva delle istruzioni pel servizio delle opere pubbliche provinciali in conformità dei decreti e dei regolamenti in vigore; creava Consigli Edilizi affin di sopraintendere a tutto ciò che riguarda sicurezza, eleganza, comodità,

simmetria delle città, concedendo loro in taluni casi dei poteri giurisdizionali.

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Stabiliva, come si è altrove detto un regolamento organico del personale della sezione dello opere provinciali presso la direzione dei ponti e strade, la quale aveva benanche appo lei una commissione per rivedere i lavori.

Decretava che le somme, che si pagano dalle diverse amministrazioni dello Stato agli appaltatori di Opere Pubbliche, non potessero essere sequestrate. Sanzionava un esteso e compiuto regolamento per l’amministrazione dei fondi assegnati alle opere provinciali, per la vigilanza, la verifica dei lavori, la formazione e l’esame dei progetti, e per la esecuzione, e gli appelli. Emanava un apposito regolamento, col quale ordinavasi la piantagione di alberi lunghesso i lati delle strade provinciali e dei comuni; davasene la custodia agli appaltatori; crearonsi dei guardiani; comminavansi opportune pene per le contravvenzioni in caso di decorticamento, tagli ecc.; e dichiaravasi per ultimo, che a norma delle leggi del 21 e 25 Marzo del 1817 si regolassero la competenza, e la procedura.

Per ultimo a tutela dei guasti che arrecar possono agli edilìzi gl’incendi instituiva nel 1833 il Real Corpo dei Pompieri, i quali veramente in quelle loro pericoloso operazioni, mostrano quanto in animi umani possano arte, coraggio, e filantropismo. Quant’incendi spenti in sul nascere, quanti altri limitati nelle loro furie! Quanti edifizii preservati dagli orrori d’impetuose e voraci fiamme! Gloria immortale siane resa a Ferdinando II, che seppe di sì utile instituto provvedere la patria!

continua……

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/01_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#AGRICOLTURA

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