“SULLE LINGUE E SUI DIALETTI” RIFLESSIONI DEL NOTAIO DEL RE
pensierini sparsi ed arruffati, non in difesa d’ ‘o nnapulitano, ché non ha bisogno d’esser difeso: è lingua che si difende da sola!
Carissimo Claudio,
scrivo a te, magnanimo, per interloquire sul “nostro” blog con l’altrettanto carissimo Ermino in risposta ad un suo scritto “posted on Mag 31, 2020) in analogo argomento e magari (ardisco? ardisco!) per scatenare tra noi (briganti identitari!) una proficua e feconda discussione in materia, di tal che ognuno di noi (ardisco!) possa trarne giovamento, da estendere magari (continuo ad ardire!) all’universo creato.
A Roma, nell’antichità, ciò era detto “otium”; a Napoli in quest’epoca, e da sempre, lo chiamiamo “pariamiento”; c’è oggettivamente una sostanziale differenza!
Per definizioni da vocabolario (Treccani) della lingua italiana (non me ne vogliano gli illustri professori citati a sostegno delle sue tesi dal carissimo Erminio):
= “Lingua” (per quel che qui interessa) è:
“Sistema di suoni articolati distintivi e significanti (fonemi), di elementi lessicali, cioè parole e locuzioni (lessemi e sintagmi), e di forme grammaticali (morfemi), accettato ed usato da una comunità (quale? Dal 1861 fratello di nessuno!) etnica, politica o culturale come mezzo di comunicazione per l’espressione e lo scambio di pensieri e sentimenti, con caratteri tali da costituire un organismo storicamente determinato, con proprie leggi fonetiche, morfologiche e sintattiche”;
ovvero anche (altro vocabolario):
“insieme di convenzioni necessarie per la comunicazione fra singoli, consacrate dalla storia (quale? “chella buciarda ca ce hanno ‘mparato ‘int’ ’e libre d’ ‘a scola!”), dal prestigio degli autori, dal consenso dei componenti della comunità che ad essa dà il nome”.
Viceversa, sempre secondo il suddetto (Treccani),
= “dialetto” è:
“Sistema linguistico di ambito geografico o culturale limitato, che non ha raggiunto o che ha perduto autonomia e prestigio di fronte ad un altro sistema divenuto dominante e riconosciuto come ufficiale, col quale tuttavia, e con altri sistemi circostanti, forma un gruppo di idiomi molto affini per avere origine da una stessa lingua madre.”
ovvero anche (altri vocabolari ancora; la zuppa non cambia, è sempre la stessa, c’è sempre quel senso storico d’inferiorità!):
“sistema linguistico di ambito geografico, che soddisfa solo alcuni aspetti (p. es. il popolare e l’usuale) e non altri (p. es il letterario o il tecnico) delle nostre esigenze espressive”;
ovvero ulteriormente:
“parlata locale di una più ampia nazione, limitata ad una sua minor area geografica”.
Girovagando per il web ho pure “acchiappato” che la parola “dialetto” è termine di derivazione (ed invenzione!) degli anglofoni (a loro volta utilizzatori di lemma di antiche origini greche), utilizzato (denigratoriamente!) dagli inglesi per definire il modo di parlare (per pronunce, costruzioni sintattiche, ecc.) dagli altri sudditi di “donna Elisabetta”, che non sono inglesi “doc”, ovvero scozzesi, gallesi, irlandesi.
Va da sé che, in tal senso, per gli inglesi è dialetto pure, ed ovviamente, l’inglese parlato dagli abitanti degli U.S.A.!
Un tantino spocchiosi sti sudditi con “copyright” di “donna Elisabetta”!
Segnalo a chi mi legge (“bontà sua”) senza conoscermi, che cronologicamente, prima di essere un brigante sono un giurista dunque a tal proposito evidenzio che il legislatore costituzionale e repubblicano, consapevole del senso sostanzialmente denigratorio del termine “dialetto”, all’art. 9 Cost. così testualmente si esprime: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.
Dal dispregiativo “dialetto” a “minoranza linguistica” è già un sostanziale progresso!
E tuttavia, senza qui anticiparmi ma per dirla solo alla Totò: “carissimo legislatore, Lei, proprio Lei, che si esprime in lingua italiana, “minoranza” sarà Lei!”.
Anche perché come ben evidenziava il chiarissimo mio prof. Michele Scudiero al suo corso universitario quella disposizione costituzionale è rimasta meramente programmatica, dunque totalmente lettera morta.
Tant’è che che nella scuola italiana al conterraneo malcapitato di turno, che si esprimeva in idioma nativo, era assai facile sentirsi aspramente rimbrottare con un “Parla BENE! Non parlare in DIALETTO!”.
Smetto di girovagare tergiversando e torno alle definizioni da vocabolario, secondo le quali:
= lingua, evidentemente, non resi innocui i riferimenti alla storia ed al consenso, nella penisola è SICURAMENTE l’ITALIANO, difatti è quello che si studia e si apprende nella sua scuola.
E sia ben chiaro tanto di cappello all’ITALIANO, anche se nacque “volgare”, come l’Alighieri può confermare.
= dialetti sono SICURAMENTE il ladino, il veneto, il milanese, il bergamasco, il piemontese, il sardo ed il romano (tutti geograficamente sopra il Garigliano ed il Tronto!)
E il napoletano???
(Anzi no; e “‘O NNAPULITANO”; così è lessicalmente corretto!)???
Questo è il dilemma!
Ma non per me!
Perché, tornando solo brigante, anticipo subito le mie convintissime conclusioni: (in senso treccanisticamente/anglofono, quindi) “dispregiativamente” dialetti sono il ladino, il veneto, il milanese, il bergamasco,il piemontese, il sardo ed il romano.
Viceversa “‘O NNAPULITANO”, esattamente come l’italiano, sono (senza dispregiativi!) lingue. Anzi “‘O NNAPULITANO” lo è magari di più!
Ed infatti a tal proposito noto e faccio notare che:
a) – causa il cospicuo fenomeno post-unitario dell’emigrazione, “‘o nnapulitano” è nella penisola la parlata più diffusa da Roma a Milano;
b) – sempre a causa del deleterio fenomeno di cui sopra, “‘o nnapulitano” è il principale prodotto di esportazione italiano; magari in sé con un “P.I.L.” pari a zero ma questo è un altro discorso.
Anzi qui viene il bello!
Se infatti io napulitano da turista mi reco all’estero metti a caso a Berna, Stoccarda, Anversa, Londra, Toronto, New York, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Melbourne, ecc. e là chiedo un’informazione esprimendomi in italiano nella migliore delle ipotesi mi guardano come un extra-terrestre.
Se viceversa in quegli stessi posti mi esprimo in “nnapulitano”, con un po’ di fortuna (ne basta veramente poca!), non solo mi capiscono e mi rispondono ma è assai facile che, socializzando assai affettuosamente, mi offrano anche un caffè;
c) – per produzione letteraria, musicale ed artistica in genere (cito molto sommariamente ed a caso Giulio Cesare Cortese; Gianbattista Basile; Raffaele Viviani; Antonio Petito; Salvatore Di Giacomo; Ferdinando Russo; Pasquale Ruocco; Edoardo Nicolardi; Eduardo Scarpetta; Antonio Angelo Clemente (originari dati all’anagrafe; in arte Totò); i fratelli De Filippo; Pino Daniele; Massimo Troisi; Federico Salvatore; chiedo scusa ai tanti, altrettanto prestigiosissimi, omessi!) ‘o nnapulitano (LENGUA!) non ha niente, assolutamente nulla, da invidiare alla lingua italiana;
d) – negli anni ‘80 del secolo passato il compianto Pino Daniele compose una magica canzone (‘A pucundria), ivi descrivendo, con magistralissima commistione di musica e versi, uno stato d’animo a noi napulitani molto ben noto, che non ha corrispondente lemma italiano.
L’italianissima ipocondria, infatti vuol dire tutt’altro: un po’ di meno, un po’ di più.
Tendenzialmente più coincidenti con “pucundria” sono, viceversa, la portoghese e famosissima “saudade” e la, meno famosa, “Sehnsucht”, che, invece, è tedesca.
Tant’è che nel 2015 la prestigiosissima Treccani (sempre lei!), consapevole della carenza semantica italiana, ha cooptato quel lemma napulitano (“pucundria”) nel suo vocabolario italiano, ma storpiandolo in “Appucundria”.
Di tal che è presumibile temere analogo scippo e storpiamento anche per l’altro intraducibile nostro lemma “arteteca”?;
e) – tutto ciò posto ‘o nnapulitano non solo non è “caricatura del sanscrito” ma è idioma (ASSAI NOBILE!) dotato di precisissime regole fonetico/grammatico/sintattiche sue proprie, spesso ignote a chi lo utilizza.
E’ uno dei tanti effetti della colonizzazione (anche culturale!) cui dal 1861 siamo stati sottoposti!
Tanto che nel web (e non solo!) capita spesso di imbattersi in espressioni scritte in “napolese” che veramente fanno accarponare la pelle e che (qui ha ragione Erminio!) sono più “caricatura del sanscrito”!
Sono assai consapevole di tutto quanto sopra ed anche assai memore dell’affettuosissimo (assolutamente non aspro!) rimbrotto che la buonanima della mia dolcissima mamma (maestra elementare in un plesso a Secondigliano) mi elargiva quando, io infante, mi udiva parlare ‘o nnapulitano.
Il rimbrotto della mia mamma era questo: “Il napoletano è LINGUA, CHE E’ COMPLICATISSIMA, c’è osco, greco, latino, tedesco antico, arabo, francese, spagnolo, inglese, da ultimo anche americano. VA STUDIATA NON STORPIATA.”
Tuttavia, circa il suddetto art. 9 Cost. Italiana è andata come è andata e come tutt’ora va.
E’ per questo che (dopo aver frequentato il classico) qualche anno fa ho frequentato con successo un corso di ‘o nnapulitano, che altro mio caro amico Davide Brandi (un altro Vesuvio, in perenne eruzione esattamente come te, Claudio) periodicamente tiene a Neapolis; infatti dopo la frequentazione, ho conseguito il goliardico diploma di “LAZZARO VERACE”.
I miei pensierini sparsi ed arrufati volgono al termine so già che Claudio, il mio indiscusso capo brigante, me li pubblicherà nel “nostro” blog.
Dunque -con buona pace del dialetto (nel senso angolofono e della Treccani) milanese utilizzato dal premio nobel per la letteratura, maestro Dario Fò- chiedo ad Erminio (e ad altri briganti “scettici” come lui) se val la pena di incontrarci per continuare il “pariamiento” magari programmando la goliardica costituzione di una “Accademia del cucuzziello” (o “Accademia del friariello”; fate voi!) finalizzata ad elargire diplomi/patenti di “napolesi” ad aberrazioni d’a lengua nosta per chi la storpia trasformandola in “caricatura del sanscrito”, con conseguente indizione di minuti di raccoglimento in memoria d’ “ ‘a lenga napulitana”?
Tengo già una proposta di patente: la prima è da conferire alla Treccani, avendo magari come ospite d’onore il sig. Feltri Vittorio! (Evidentemente a conclamata e scontata quarantena!).
Dal profondo Sud della “olim Campania Felix”
brigante Martummè
alias
Massimo Felice Abbate
Sono d’accordissima con l’Autore Massimo Felice Abbate… io che sono veneta e anche un po’ “studiata” parlo sempre il veneto con chi lo capisce, ma è chiaro che se vengo da Voi devo parlare “talian”… abbiamo pure letteratura noi e voi, perciò le nostre sono ufficialmente “lingue” a tutti gli effetti, anche secondo le classificazioni ufficiali…. ma teniamocele care, perché purtroppo un po’ alla volta, se non sappiamo farlo, spariranno! e dipende solo da noi…
Il buffo è che andando avanti se non usiamo l’inglese saremo fuori dal mondo…che nel frattempo è diventato informatico, forse col gusto sadico di farci sentire tutti “analfabeti”…o sorpassati!… ci vuol poco! caterina ossi
Un grato ed affettuoso saluto al compatriota brigante Martummè, che non conosco (ancora) personalmente, ma a cui va la mia stima e simpatia. Condivido ed apprezzo il suo articolo.
La rinascita dell’orgoglio e della consapevolezza della nostra Patria passa necessariamente attraverso il riscatto della memoria, storica, culturale e linguistica.