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Sviluppo, modernità’ e civiltà nel Regno delle due Sicilie

Posted by on Dic 15, 2019

Sviluppo, modernità’ e civiltà nel Regno delle due Sicilie

Il 20 marzo 1861 cessa di esistere il Regno delle due Sicilie. Battaglie violente, plebisciti d’annessione poco democratici e una serie di calunnie contro il governo dei Borbone, pongono fine ad uno degli stati italiani più potenti di quel secolo.

Non sono pochi i documenti storici che testimoniano il potere economico e l’avanzamento sociale di Napoli, del Sud e dell’intero regno meridionale. La conquista piemontese capovolse la situazione a tal punto da generare la cosiddetta “questione meridionale” e nacque un movimento di uomini e di idee che lottò per ridare lustro ad un Mezzogiorno martoriato e sfruttato.

Il Regno delle due Sicilie, lo Stato preunitario più industrializzato

Una serie di primati del Regno delle Due Sicilie testimoniano di una realtà storica soffocata dall’ancora attuale “dittatura” settentrionale. Nel 1861 un censimento effettuato dal neonato Regno d’Italia dimostrò che il Regno delle due Sicilie era lo Stato preunitario più industrializzato in assoluto, essendo infatti circa 1.600.000 gli addetti su circa 3.130.000 complessivi di abitanti per un totale del 51% di lavoratori industrializzati.

Il Regno poteva vantare il maggior complesso industriale metalmeccanico d’Italia, grazie soprattutto al Real opificio meccanico e pirotecnico di Pietrarsa (NA), al polo siderurgico di Mongiana (VV) e alla fonderia Ferdinandea (RC).

Inoltre, aveva cantieri navali sparsi per tutta la costa tirrenica, ionica ed adriatica. Solo il Real opificio meccanico e pirotecnico di Pietrarsa dava lavoro a 1125 operai. Da questo importante polo metalmeccanico sono nate le prime locomotive a vapore d’Italia.

Il Real opificio meccanico e pirotecnico di Pietrarsa (Napoli)

Nel 1830 Ferdinando II di Borbone (1810-1859), appena salito al trono, fa costruire a Torre Annunziata una piccola officina per la produzione di materiale meccanico e pirotecnico per usi militari.

L’iniziativa si inserisce nel processo di rinnovamento che il giovane Re, abbandonata la politica reazionaria dei suoi predecessori, mette in atto per affrancare il Regno delle Due Sicilie dalla supremazia industriale e tecnologica straniera. Il 3 ottobre del 1839 viene inaugurato nel Regno il primo tratto ferroviario italiano lungo 7.406 metri: da Napoli a Portici in 10 minuti. Il treno inaugurale era composto da due convogli trainati da locomotive gemelle: la Bayard e la Vesuvio, progettate dall’ingegner Armand Bayard de la Vingtrie, su prototipo dell’inglese George Stephenson.

Lo sviluppo delle strade ferrate è la punta di diamante della strategia politicoeconomica del sovrano. Occorreva quindi individuare un luogo più ampio dove realizzare un nuovo e più grande opificio in grado di provvedere alla costruzione di materiale ferroviario.

La scelta cade su Pietrarsa, l’antica Pietra Bianca divenuta Pietrarsa dopo essere stata raggiunta e “arsa” dalla lava del Vesuvio durante l’eruzione del 1631. Pietrarsa confina con i comuni di Portici, S. Giovanni a Teduccio e S. Giorgio a Cremano.

Nel 1842 nell’Officina lavorano circa 200 operai. Un editto reale ordina: “E’ volere di Sua maestà che lo stabilimento di Pietrarsa si occupi della costruzione delle locomotive, nonché delle riparazioni e dei bisogni per le locomotive stesse degli accessori dei carri e dei wagons che percorreranno la nuova strada ferrata Napoli-Capua”. Inizia a Pietrarsa la costruzione delle prime sette locomotive costruite con materiali inglesi su modello della locomotiva Veloce acquistata in Inghilterra nel 1843.

Questi i nomi delle locomotive: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna, Partenope. Le locomotive si aggiungono a quelle di fabbricazione inglese arrivate nel regno tra il 1842 e il 1844: Papin, Pompei, Sorrento, Ercole, Parigi, Lampo, Freccia. Nel 1845 lo Zar Nicola I di Russia visita le officine su invito di Ferdinando.

L’interesse e l’ammirazione per il complesso è tale che lo Zar ordina al suo ingegnere Echappar di rilevare la pianta dello stabilimento con la sistemazione delle macchine, perché venga riprodotta esattamente nel complesso industriale di Kronstadt in costruzione in Russia.

Qualche anno dopo l’opificio è in pieno sviluppo, vi lavorano 500 operai. Il complesso si è arricchito di nuovi edifici: l’officina delle locomotive; la gran sala costruzioni con macchine utensili con l’impianto di trasmissioni ed il banco per aggiustatori e grandi gru; la fonderia; il reparto per le lavorazioni delle caldaie; il reparto fucineria; la sala modelli con ampi magazzini.

Sorge, poi, la palazzina della direzione con vicino la biblioteca e il gabinetto di chimica. Con l’Unità d’Italia, dal 1861 l’opificio di Pietrarsa entrò in una fase difficile; una relazione dell’ingegnere Grandis, voluta dal governo piemontese dipingeva negativamente l’attività e la redditività dell’opificio consigliandone addirittura la vendita o la demolizione.

L’anno dopo avveniva la cessione della gestione alla ditta Bozza; ciò portò alla riduzione dei posti di lavoro, a scioperi e gravi disordini repressi nel sangue. Il 6 agosto 1863 una carica di bersaglieri provocava 7 morti e 20 feriti gravi. Tuttavia, nonostante la parziale dismissione degli impianti, nel successivo decennio vennero prodotte oltre 150 locomotive. Il ridimensionamento di Pietrarsa continuò sino alla riduzione a 100 dei posti di lavoro finché nel 1877 lo Stato assunse direttamente la gestione sotto la direzione dell’ingegnere Passerini.

segnalato da Gianni Ciunfrini

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