Terracina : 50 scheletri umani, un enigma che attende una spiegazione
Da oltre un cinquantennio l’oblìo sulla scoperta di cinquanta uomini di alta statura, rinvenuti nello scavo di un terreno, dove doveva sorgere un fabbricato, non più edificato perché soggetto a vincolo archeologico.
Nell’area delle rovine romane ( cospicue strutture murarie in “opus reticulatum” interrotto da fasce di laterizio, databili ai primi anni dell’Impero), identificate nelle “Terme alla Marina” o “Terme delle Arene”, alle spalle dell’attuale Piazza Mazzini, compresa tra il viale della Vittoria, Via Leopardi, Via S. Rocco e Via Due Pini, furono scoperti casualmente, nella primavera del 1969, ben cinquanta sarcofagi di terracotta, con altrettanti scheletri umani, tutti molto alti (la statura era compresa fra il m. 1,83 e il 2,13, il che fa escludere che si trattasse di antichi romani, che non superavano, di molto, il metro e mezzo).
L’archeologo Luigi Cavallini, esaminati i resti, dichiarò che queste ossa umane, insolitamente grandi, erano di età tra i 35 e i 40 anni e che i denti erano in eccellenti condizioni. I sarcofagi erano privi di iscrizioni e di ornamenti. Nelle mappe del nostro sapere vi sono vaste regioni ignote e, a volte, proprio a casa nostra. Una di queste è caduta nella generale dimenticanza, apparendo remota, nonostante siano passati solo cinquanta anni dalla scoperta, perché l’interessante, intrigante ritrovamento non è mai stato oggetto di pubblicazioni scientifiche, dato che è pericoloso occuparsi di fatti insoliti potendo i paleontologi incappare nel sospetto e nel ridicolo. Ci si chiede se questo mistero di inumazione in massa, in un complesso termale, di “deplorevoli negligenze” , rimarrà impenetrabile, privo di determinatezza, visto che nulla è trapelato circa la sistemazione di questi resti di inusitate proporzioni, che, oltre a non essere stati esaminati scientificamente, non furono protetti dai furti.
Il mito di uomini eccezionalmente alti, di giganti, è certamente dei più antichi dell’umanità.
Ad essi vengono spesso attribuite qualità sovrumane. Rammentiamo che già Omero, nel libro X dell’ “Odissea”, parla dei favolosi Lestrigoni, un popolo di giganti antropofagi, ricordati nella leggenda di Odisseo. Un’interpretazione dei terrifici e gagliardi Lestrigoni , che scagliavano, dall’alto delle rupi, enormi macigni contro le navi ancorate nel curvo porto, infilzando gli uomini a guisa di pesci e portandoseli via per il loro orribile pasto, ne pone la sede nella cittadina laziale,. L’abate siciliano Pietro Matranga, in “La città di Lamo stabilita in Terracina”, Roma, Camera Apostolica, 1853, identifica Lamo , cantata da Omero, con la vetusta Anxur, l’attuale Terracina , tacciato, per questo, di elucubrazioni dal Bianchini, storico terracinese.
Pensiamo che questi uomini così alti, d’era imprecisata, stipati in posizione seduta, entro tombe romane a tetto, di solito in sacchi di iuta, facessero parte di uno speciale corpo militare e fossero morti, tutti, un una battaglia. Sappiamo che nella zona i Goti, nel 536 , posero un accampamento. . Essi “si raccolsero , come scrive ne “La guerra gotica” lo storico greco Procopio di Cesarea, segretario del generale bizantino Belisario, “ in un paese a 280 stadi da Roma, che i romani chiamano Regata : ivi ritennero ottimo partito accamparsi, perché ci sono molte pianure che offrono pascolo ai cavalli. Di lì corre anche un fiume, che gli indigeni chiamano in latino “Decennovium, perché descrive un arco di 19 miglia, il che vuol dire 113 stadi circa, sfociando in mare presso la città di Terracina, vicinissima a quel monte Circeo dove si dice che Odisseo stette con Circe – tradizione non fededegna, a mio credere, perché Omero afferma che il palazzo di Circe stava in un’isola. Posso solo dire che codesto Circeo, sporgendo molto nel mare, somiglia a un’isola e, sia a chi vi naviga accanto sia a chi percorre a piedi quel litorale, sembra effettivamente un’isola; quando poi ci si arriva, ci si accorge di essersi sbagliati alla prima impressione. Forse per questo Omero chiamò isola il posto”.
I Goti, raccoltisi a Regata, dove trovarono “ricchi pascoli verdeggianti per i loro cavalli”, elessero, in sostituzione del deposto Teodato, Vitige, uomo di oscuri natali, loro re e degli italiani, che si era messo in evidenza nella battaglia attorno a Sirmio, antica città della provincia romana, nella Pannonia inferiore, quando Teodorico, il più importante dei capi barbari, re degli Ostrogoti, faceva la guerra ai Gepidi, popolazione di origine gotica, e stanziatasi , nel IV secolo, sulle rive del Tibisco, della regione danubiano-carpatica, e sconfitta da Teodorico nel 489.
Verso il solstizio d’estate, secondo anno della guerra gotica, i corazzieri del persiano Artasire, del massàgeta Boca e del Trace Cutila si scontrarono con i Goti, messi in fuga. Lo scontro fu duro, in cui caddero numerosi uomini valorosi, d’ambo le parti . In quell’ inizio del sostizio d’estate, ci fu la carestìa e la peste, che dovette decimare i goti, ridotti a pochi da tanti che erano. Rammentiamo che la guerra gotica, intrapresa da Giustiniano per riconquistare l’Italia occupata dagli Ostrogoti (535), si concluse con la vittoria bizantina (553).
Alfredo Saccoccio