TRE PAESI, UNA TEMPESTA
Dal 7 al 14 agosto una grande ondata di violenze coinvolse Pontelandolfo, Casalduni, Campolattaro ……. Su ciò che avvenne a Pontelandolfo ed a Casalduni si è avuto un pullulare di scritti che hanno detto tutto sui fatti e sui personaggi. L’atrocità delle violenze e la gravità dei furti e delle rapine commessi in quei giorni hanno eccitato spesso lo sdegno e talvolta la fantasia di narratori, tanto da indurli a interpretazioni false o distorte dei fatti.
La bibliografia delle vicende di quei giorni è vastissima: va dal racconto romanzesco dell’Alianello alla rigorosa e documentata ricostruzione dello Zazo. Non mancano giudizi contrastanti su avvenimenti e personaggi. La vicenda è quindi troppo nota perchè qui si debbano ripetere le narrazioni e le analisi critiche che già apprendiamo da opere numerosissime; esse informano in maniera esaustiva su fatti terribili che converrà solo riassumere. Il 7 agosto la banda di Cosimo Giordano, di Cerreto Sannita, resa più numerosa da sbandati e da facinorosi di Pontelandolfo, tentò di invadere San Lupo ma ne fu respinta da un reparto di trenta soldati dell’esercito regolare e da militi della Guardia Nazionale. Questo scontro avvenne nel primo pomeriggio di quel giorno; verso sera un gruppo di venti o trenta individui, al comando di Cosimo Giordano, staccatosi dal grosso delle forze battute presso San Lupo poche ore prima, invase Pontelandolfo abbandonato dai maggiorenti, compreso il sindaco Lorenzo Melchiorre (che peraltro era stato già duramente minacciato e ricattato), e perfino il delegato del P. S. Si celebrava in quel giorno nel paese la festa di San Donato, con grande concorso di popolo; i reazionari incontrarono la folla che tornava dalla cappella del Santo, in cui erano stati celebrati sacri riti; imposero all’arciprete Di Gregorio e ad altri sacerdoti di recarsi nella Chiesa Madre alla testa del popolo, esaltato e tumultuante, per cantarvi il “Te Deum” in ringraziamento del ritorno di Francesco II. Ormai era stata innescata una vasta sedizione; i facinorosi immediatamente dopo (o forse durante) la cerimonia in chiesa, devastarono la sede della Guardia Nazionale, distrussero gli emblemi sabaudi, stracciarono la bandiera nazionale, si diedero senza più alcun freno a ruberie ed a saccheggi; nè si limitarono a violenze contro le cose: furono uccisi Libero D’Occhio, Angelo Tedeschi, un eremita di Sassinoro, Agostino Vitale, l’esattore Michelangelo Perugini (di cui fu bruciato il cadavere). Pontelandolfo è ormai in potere dei reazionari e dei briganti; un “governo provvisorio si insedia nel nome del Borbone. Come spesso avviene, la reazione di Pontelandolio ebbe immediate ripercussioni in Campolattaro ……. ed in Casalduni. Di quest’ultimò paese era sindaco un fiero reazionario, Luigi Orsini il quale col fratello Giuseppe era in stretto contatto con la banda di Filippo Tommaselli e del già nominato Cosimo Giordano, a cui forniva anche viveri. Furono i due Orsini a capeggiare la sedizione provocata in Casalduni dalle notizie dei fatti di Pontelandolfo, portate la sera stessa del 7 da messaggeri giunti in tutta fretta nel paese; anche qui fu devastata la sede della Guardia Nazionale, fu stracciata la bandiera tricolore a cui fu sostituito il vessillo borbonico; anche qui furono requisite armi e furono disarmati i militi della Guardia Nazionale e tutti coloro che davano il sospetto di non essere dalla parte dei reazionari; per fortuna la folla tumultuante fu persuasa dall’intervento di alcuni maggiorenti a non commettere saccheggi ed altri misfatti; salvo un episodio isolato (la cattura del garibaldino Rosario De Angelis, poi condotto a Pontelandolfo e di là fuggito a Fragneto Monforte), la violenza sembrò esaurirsi l’8 agosto; il paese era calmo nuovamente. Ma era la quiete prima della tempesta: il funesto 11 agosto non era lontano. In quel giorno un reparto di 44 rnilitari (40 soldati, 4 carabinieri) comandati dal tenente Cesare Augusto Bracci, che aveva avuto l’incarico dal governatore di Campobasso di perlustrare il territorio di confine tra le due province, si spinse fino a Pontelandolfo donde però fu costretto ad uscire precipitosamente a causa dell’atteggiamento ostile della popolazione; prima di entrarvi aveva già perduto un soldato ucciso proditoriamente con un colpo di fucile. Poco cammino poterono percorrere i militari in direzione di San Lupo: incapparono in un agguato sulla collina di San Nicola e furono sopraffatti; i superstiti (cinque erano stati uccisi durante gli scontri) furono fatti prigionieri e condotti in Casalduni; ivi, per imposizione di Angelo Pica, noto e feroce reazionario già colpevole di numerose efferatezze, che portava a sua volta gli ordini del sindaco Luigi Orsini e del fratello Giuseppe furono trucidati nella piazza di Casalduni a colpi d’arma da fuoco, di scuri e di mazze. …….. Il 10 agosto una colonna di truppe governative, uscite da Benevento agli ordini del colonnello Gaetano Negri, lanciò simultaneamente un attacco contro Pescolamazza e contro Pietrelcina, sfruttando in entrambi i casi il fattore sorpresa dal momento che i reazionari si ritenevano padroni dei due paesi e non temevano una così pronta ritorsione; non avevano quindi messo in atto nessun dispositivo di avvistamento o di difesa. Nel primo dei due paesi il colonnello Negri fece arrestare Luigi Orlando e senza alcun simulacro di processo lo fece fucilare in piazza, incurante delle suppliche del figlio sacerdote Giandonato a cui fu appena concesso di impartire al genitore l’assoluzione “in articulo mortis”‘. Contro Pietrelcina si diressero i reparti comandati dal maggiore Rossi; agganciata la banda del “Pilorusso”, resa più numerosa da molti reazionari, le inflissero una severa disfatta; il “Pilorusso” fu costretto a ripiegare verso il più accogliente territorio di Colle; anche l’altro capobanda che operava nella zona, Francesco Esci, tentò di portare aiuto ai reazionari di Pietrelcina in difficoltà ma, saputo che il paese e il territorio erano ormai occupati dai militari, ripiegò su Fragneto Monforte dove la sua sanguinaria violenza trovò sfogo in nuovi saccheggi, ruberie, assassinii. Anche di questa nuova serie di misfatti fu accusato come collaboratore ed autore quell’Angelo Pica ……… Spuntava l’11 agosto. In quel giorno e nei seguenti avvennero in Pontelandolfo e in Casalduni fatti che furono poi narrati, analizzati, interpretati, commentati da molti scrittori. Trascuriamo le narrazioni romanzesche ed a forti tinte, le interpretazioni partigiane e pietistiche, le esplosioni di sdegno e di orrore e ci atteniamo ai documenti ed alle testimonianze obiettive per riassumere brevemente “sine fra et studio” ciò che avvenne in quei giorni nei due paesi. E’ stato già da noi narrato quale svolgimento ebbero in essi le vicende della reazione dal 7 all’11 agosto; in questo giorno, ricordiamolo, nel largo Spinella a Casalduni furono trucidati i superstiti soldati e carabinieri del 36° reggimento di linea, catturati in un agguato. M. D’Agostino vede questo atroce misfatto non un atto inconsulto di una masnada improvvisamente impazzita ma un ‘azione di ritorsione ordinata a ragion veduta per vendicare Luigi Orlando ed i morti di Pietrelcina; ma questa è solo una supposizione, per quanto plausibile. Noi sappiamo solo che videro Angelo Pica, che comandava quelle masse, venire alla casa del sindaco (Luigi Orsini) forse per prendere dei provvedimenti e fu inteso nel discorso tra il Pica e il sindaco Orsini che li avesse fucilati ed in effetti allontanatosi Pica e rivoltosi alla casa del sindaco, anche dal fratello di costui Giuseppe fu fatto segno per la fucilazione. E giunto Pica presso i prigionieri ordinò di far fuoco contro i medesimi e immediatamente vennero barbaramente uccisi a colpi di armi da fuoco, di scuri e mazze. Commentava M. Monnier nel 1862: “non fu una carneficina ma un eccidio. I contadini erano cento contro uno e volevano tutti il loro pezzo di carne. Essi riversarono su quegli infelici inermi il loro odio per un re straniero che era venuto a sostituirsi al Borbone, se non amato almeno tollerato; che era amico del diavolo e nemico della santa religione; che infine portava fame, tasse, oppressione. Tutto questo era stato loro insegnato da preti e da notabili faziosi. Quei poveri soldati erano il simbolo del “nuovo” guardato sempre dagli ignoranti con paura e con sospetto; dovevano perciò essere soppressi. (Ma anche questa è un’opinione). Fu questo l’episodio più atroce tra quanti insanguinarono il territono beneventano nel 1861; tremenda e forse efferata fu la ritorsione che si abbatté sui responsabili ed anche sugli innocenti. Il generale Cialdini, luogotenente della Provincia Napoletana dal 14 luglio di quell’anno (aveva sostituito il generale Ponza di San Martino) prese immediatamente la decisione di infliggere ai due paesi una punizione che fosse esemplare anche sul piano politico. Affidò il compito di punire Pontelandolfo al colonnello Negri che decise di colpire sfruttando al massimo il fattore sorpresa; questa però per Casalduni non funzionò affatto: il maggiore Melegari, infatti, che era stato inviato anch’egli dal gen. Cialdini per mettere a sacco e fuoco il paese, lo trovò quasi deserto dal momento che sia gli occupanti sia i paesani erano stati per caso avvertiti dell’arrivo imminente delle truppe ed erano fuggiti. Le vittime furono così solamente tre tra cui l’arciprete del paese. Intervenne anche una colonna di militi della Guardia Nazionale, comandata da Achille Iacobelli; e questi commisero furti, ruberie, incendi. Intanto i bersaglieri del Colonnello Negri ed i reparti della Guardia Nazionale comandati da Giuseppe De Marco all’alba dello stesso giorno assaltarono Pontelandolfo che fu colto completamente di sorpresa; infatti la banda di Cosimo Giordano che aveva occupato il paese nei giorni precedenti e si era accampata fuori del paese, al primo contatto con le truppe si ritirò precipitosamente senza dare alcun allarme. Furono tredici le vittime degli inferociti “Piemontesi” che diedero pure alle fiamme gran parte delle case. Pontelandolfo pagò certamente con vite umane e con beni materiali molto di più di quanto toccò pagare a Casalduni in cui pure era avvenuto l’eccidio perpetrato l’11, tanto che non sembra avventata l’affermazione di F. Melchiorre che Pontelandolfo aveva così pagato le colpe di Casalduni. Il messaggio inviato il 15 agosto dal colonnello Negri al governatore di Benevento annunziava Ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora…. Si può parlare di “giustizia”? o non piuttosto di vendetta? Purtroppo in guerra non esistono leggi certe che tutelino i deboli e gli innocenti; nè vennero colpiti tutti i principali responsabili degli eccessi compiuti dai reazionari. Resta comunque il fatto che lo scontro di Pietrelcina prima e l’eccidio di Casalduni e la distruzione di Pontelandolfo poi diedero il colpo di grazia alla reazione in provincia di Benevento… Da quel momento infatti nessun paese accolse più spontaneamente le bande reazionarie di modo che queste vennero a trovarsi completamente isolate. La politica del terrore aveva dato i suoi frutti. L’intervento dello Stato contro i colpevoli dei delitti commessi durante la reazione in Pontelandolfo e in Casalduni non si esauri con l’azione militare. Nell’agosto, nel settembre, nell’ottobre avvennero arresti e fucilazioni in Benevento, in Cerreto Sannita, in Pontelandolfo. Poi, cessata l’ondata dei giudizi sommari e delle esecuzioni, furono istruiti una serie di procedimenti penali in seguito ai quali furono condannati alla galera molti accusati; molti furono anche prosciolti……..
Mario De Agostini
da: “IL SANNIO BRIGANTE” – Ricolo Editore, Benevento, 1991
fonte
http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Casalduni4.htm#cendio