Una e indivisibile”, riflessioni (poco accorte) sui 150 anni della loro Ita(g)lia!
ROMA – Ci avevamo creduto. Avevamo sperato. E invece no, abbiamo sbagliato tutto. Sembra senza fine la kermesse messa in piedi dalle autorità per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Nemmeno la crisi economica, né tantomeno la crisi politica e la nascita del governissimo tecnico, hanno fermato l’ormai inarrestabile macchina partita da quasi due anni, grazie alla quale ogni giorno (o quasi) il Presidente della Repubblica si presenta alle televisioni unificate per tessere le lodi della Patria Unita.
E’ lo stesso Giorgio Napolitano che lo afferma: “Il ciclo delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità non può considerarsi ancora esaurito: lo dicono notizie e annunci che continuano ad affluire”. E non è il solito annuncio di circostanza ma le prime due righe di un libretto che ha visto la luce negli ultimi giorni. Il libro si chiama “Una e Indivisibile” e raccoglie tutti i più significativi discorsi tenuti dal Capo dello Stato nel corso dell’ultimo anno e mezzo da Trieste a Lampedusa. Un viaggio di qualche centinaio di pagine per raccontarci (di nuovo!) quando è bella l’Italia unita e quanti eroi hanno contribuito a farla grande, da Garibaldi a Cavour, da Negri (Eleonoro) a Cialdini, da Bixio a Romano (Don Liborio), da Tore e’Criscienzo a, ehm, chiedo venia, quest’ultimo, come al solito, non è pervenuto al Presidente. Ovviamente l’ultima opera omnia di Napolitano sull’unità d’Italia otterrà un battage pubblicitario di non poco conto. A cominciare dalla prefazione che, in pompa magna, è stata diffusa sui principali giornali italiani con tanto di articolesse ed editoriali di elogio per il nuovo “Nonno della Patria”. Tutto, in quella prefazione, lascia pensare che Napolitano non abbia il polso della reale situazione del Paese e che non abbia minimamente idea di quello che si è scatenato nell’ultimo anno che ha visto tutto un fiorire di manifestazioni ed eventi in chiave revisionista alla ricerca della verità storica e della dignità del Sud. Ma leggiamo qualche parola del Presidente che intende tracciare un bilancio provvisorio: “Ma un bilancio sostanziale è certamente possibile, e vorrei sottolinearne alcuni aspetti. Innanzitutto l’eccezionale diffusione e varietà di iniziative, e il carattere spontaneo che molte di esse hanno presentato: non sollecitate e coordinate dall’alto, da nessun luogo “centrale”, presidenza della Repubblica o Governo. Si è davvero trattato di un gran fiume di soggetti. Tutti si sono messi in movimento, in special modo al livello locale, fin nei Comuni più piccoli – istituzioni, associazioni di ogni genere, gruppi e persone. È stato un gran fervore di richiami di antiche memorie, anche famigliari, e di impegni di studio, di discussione, di comunicazione. Quel che si è mosso, poi, nelle scuole è stato straordinario: quanti insegnanti, per loro conto, e quanti studenti, a ogni livello del sistema d’istruzione, si sono messi d’impegno e hanno dato in tutte le forme il loro contributo!”. Che belle parole. A questo sproloquio di solita fuffa ribattiamo con un elenco sommario di tutto quello che si è mosso contro la macchina della propaganda nel solo 2011. Come non partire dal 6 gennaio quando i patrioti pugliesi hanno rinnovato l’esempio di fedeltà e abnegazione alla Patria e alla dignità dimostrato dal Sergente Pasquale Domenico Romano, volgarmente definito brigante. O ancora ripensiamo alla grande Gaeta, che il 4, 5 e 6 febbraio ha visto “scendere in campo” gli amici de l’Alfiere e di Controcorrente con una manifestazione celebrativa dei 150 anni della caduta della fortezza. O ancora il XLI convegno tradizionalista di Civitella del Tronto del 26 e 27 marzo organizzato dallo storico Maurizio Di Giovine e l’annuale celebrazione della caduta della Fortezza di Messina. Tutto questo Napolitano non lo ha visto. Come non ha visto la commemorazione della Battaglia di Bitonto, festa dell’indipendenza delle Due Sicilie, e nemmeno le celebrazioni presso il Forte – Lager di Fenestrelle e quella in occasione dell’eccidio di Pontelandolfo, organizzate dai Comitati Due Sicilie.
Sono sfuggite al Presidente anche le manifestazioni di Melfi e Capua, e, siamo convinti, sfuggiranno all’attenzione della più alta carica della Repubblica anche quella che si svolgerà l’8 dicembre a Sante Marie in onore del Generale José Borjes. Senza considerare il fiorire di piccoli eventi che, quasi quotidianamente, si sono sforzati di raccontare l’altra storia, quella snobbata dai libri di scuola, quella ignorata dai grandi accademici e dileggiata dagli scribacchini, dai cattedratici di lustro e dagli storici di professione che, ben unti dal denaro delle istituzioni hanno negato e continueranno a negare la verità a vantaggio della menzogna. E’ stato un 2011 fatto di grandi eventi, di presentazione di libri, di manifestazioni di piazza, di lezioni mirate nelle scuole che, per ogni ordine e grado, hanno aperto le proprie porte ad un dibattito serio sulla nostra storia, e ancora gli incontri e le feste popolari che hanno voluto dedicare parte dei propri spazi alla realtà dei fatti. Un 2011 fatto di immagini, di parole, di testi, di libri, di canzoni, di poesie, di articoli di giornale, di musiche contro corrente, e, nonostante quello che pensa Napolitano, ne siamo fieri. Il tutto non è fatto a caso. “Una e indivisibile” deve contribuire all’opera di convincimento collettivo che le istituzioni stanno tentando di mettere in piedi per far credere a tutti gli abitanti dell’Italia non solo che lo stare insieme è per sempre, ma anche che da sempre l’Italia ha le sue radici nell’unità.
“Soprattutto, è stata una grande conferma della profondità delle radici del nostro stare insieme come Italia unita. Si può dire che le parole scolpite nella Costituzione – «la Repubblica, una e indivisibile» – hanno trovato un riscontro autentico nell’animo di milioni di italiani in ogni parte del Paese. E non in contrapposizione ma in stretta associazione – come nell’articolo 5 della Carta – all’impegno volto a riconoscere e promuovere le autonomie locali. Nello stesso tempo, si può ritenere che il così ampio successo registratosi vada messo in relazione col bisogno oggi diffuso nei più diversi strati sociali di ritrovare – in una fase difficile, carica di incognite e di sfide per il nostro Paese – motivi di dignità e di orgoglio nazionale, reagendo a rischi di mortificazione e di arretramento dell’Italia nel contesto europeo e mondiale. L’aver fatto leva sull’occasione del Centocinquantenario, l’aver puntato su celebrazioni condivise, è stato dunque giusto e ha pagato. Non bastava però lanciare un appello generico: occorreva richiamare in modo argomentato fatti storici ed esperienze, fare i conti con interrogativi e anche con luoghi comuni, favorire quella che non esito a chiamare una riappropriazione diffusa, da parte degli italiani, del filo conduttore del loro divenire storico, del loro avanzare – tra ostacoli e difficoltà, cadute e riabilitazioni, battute d’arresto e balzi in avanti – come società e come Stato nei secoli XIX e XX. Gli interventi che ho svolto, nel succedersi delle iniziative per il Centocinquantenario, hanno segnato i momenti e i contenuti dello sforzo compiuto: spero che il leggerli, raccolti in volume, ne renda il senso complessivo, lo sviluppo coerente”.
Napolitano dixit. Ma non è proprio così e basterebbero gli ultimi fatti del 2011 per rendersene bene conto. La Svimez ha pubblicato i suoi allarmanti dati sulle differenze nord / sud che, a distanza di 150 anni, continuano a mantenersi elevate e, forse, incancellabili. Restano ad esempio anche le offese e gli insulti che il Sud affronta quotidianamente nell’atteggiamento delle istituzioni e della politica. Le accuse di essere meridionali ladri, mafiosi ed evasori sempre e comunque, senza rendersi conto che se al Sud si evade, nella maggior parte dei casi si evade perché non ci sono soldi per pagare le tasse. Si ignorano i poveri in aumento. Si fa finta di non vedere la sofferenza delle imprese meridionali, pochissime, e si lasciano chiudere gli stabilimenti delle aziende del nord che si sono arricchite con i fondi per lo sviluppo per il Sud dalla banca del Mezzogiorno in avanti. Si ignora la differenza di trattamento della grande stampa perfino su temi di cronaca, come le alluvioni e i disastri naturali.
Non si contano i morti ma quelli del nord fanno più notizia. Tutto questo non crea unità, né senso dell’unità, ma Napolitano sembra non accorgersene e ritiene che il 2011 sia stato “un risveglio di coscienza unitaria e nazionale, le cui tracce restano e i cui frutti sono ancora largamente da cogliere. Non ci porti fuori strada l’impressione che appena dopo aver finito di celebrare il Centocinquantenario in un clima festoso e riflessivo, aperto e solidale, si sia ritornati alle abituali contrapposizioni, alle incomunicabilità, alle estreme partigianerie della politica quotidiana. Quel lievito di nuova consapevolezza e responsabilità condivisa che ha fatto crescere le celebrazioni del Centocinquantenario continuerà a operare sotto la superficie delle chiusure e rissosità distruttive, e non favorirà i seminatori di divisione, gli avversari di quel cambiamento di cui l’Italia e gli italiani hanno bisogno per superare le ardue prove di oggi e di domani”. E noi preghiamo tutti i giorni che ci sia un vero risveglio di coscienza dei meridionali. Se questo avverrà, altro che “una e indivisibile”!
Roberto Della Rocca
fonte
http://istitutoduesicilie.blogspot.com/2011/11/una-e-indivisibile-riflessioni-poco.html