Una gita al lago di Albano di Alfredo Saccoccio
La giornata era magnifica e nessuno avrebbe saputo, con la penna o con il pennello, renderne il raro splendore. L’aria era diafana e dolce, il sole fulgido e radiante, ma non ardente, un tenero venticello si insinuava dal finestrino del pullman accarezzando i volti dei passeggeri. Avanzavamo in mezzo alla serena festosità dell’autunno, con un senso di tiepida e matura stagione anche dell’animo.
In basso, giaceva, vaporoso e turchino, il lago di Albano e all’intorno, nelle vallate e sui clivi, vicino e lontano, magici colori si effondevano in una serie di sfumature diafane… Ascendendo sempre di più, attraverso l’erba smeraldo di sfolgoranti, sì, proprio di “sfolgoranti” boscaglie, giungemmo alla nostra meta, dove un nugolo di monelli accorse a vederci. Lontano, come una visione, apparì dal fondo di un andito, una bellissima ragazza in costume di Albano, che sostò, atteggiandosi plasticamente nella scura penombra delle muraglie di pietra. Poi scomparve. Un asino carico si avanzò, facendo gemere i canestri della sua soma e proseguì circospetto, con uno scalpitìo di zoccoli sui sassi del lastricato. Gli veniva dietro, con il grave incedere di un console romano, un contadino , ravvolto in un lacero mantello turchino,, dentro cui celava il mento e la bocca, e con in capo un cappellaccio a pan di zucchero, che, di certo, non si cavava di fronte a nessuno. La piazzetta di questa borgata cara ai pittori, sullo sfondo della chiesa scura, dietro a cui le montagne di cobalto spiccavano contro l’etere puro, ci sembrava degno modello di un grande quadro.
Fuori della piazza non c’è nessuno. La campagna ondulata si apre silenziosa. Si sentono i fischi dei merli e il rumore delle automobili sulle strade lontane. Ogni tanto passa una ragazza bionda, che torna a casa in bicicletta.
Alfredo Saccoccio