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Uno studio seicentesco sugli artisti napolitani recensito da Gianandrea de Antonellis

Posted by on Mar 1, 2024

Uno studio seicentesco sugli artisti napolitani recensito da Gianandrea de Antonellis

Il sacerdote e poligrafo Camillo Tutini (1594-1666) è noto, più che per la sua attività spirituale, per la sua opera di ricerca e, all’interno di questa, più che per gli iniziali studi agiografici su figure della Chiesa campana (San Gianuario – ovvero Gennaro –, San Gaudioso vescovo di Bitinia e l’omonimo vescovo di Salerno, Santa Fortunata e suoi fratelli, San Biagio), è ricordato per il suo attentissimo lavoro storiografico sui Sedili napolitani (Dell’origine e fvndatione de’ Seggi di Napoli, del tempo in che furono instituiti, e della separation de’ Nobili dal Popolo, 1644).

Laura Giuliano, che alla figura di Tutini ha dedicato la propria tesi dottorale, la rielabora fornendo una dotta introduzione alla riproposizione filologica delle tre versioni manoscritte dello studio sugli artisti napolitani (risalente al 1664, due anni prima della morte dell’autore, la cui ultima fu stampata da Croce nel 1898). Tutini scrisse, presumibilmente su sollecitazione dello stesso cardinal Brancaccio suo protettore, per rispondere alle critiche di scarso valore della scuola napolitana portate da Giorgio Vasari nelle sue celebri Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550). Una risposta c’era stata con Napoli sacra (1623) di Cesare d’Eugenio, che inizia a fornire anche cenni biografici sugli autori, anziché limitarsi a descriverne le opere, ma solo dopo l’elenco stilato da Tutini appariranno studi specifici: il primo fu Giovan Battista Bongiovanni con le sue Vite de’ pittori antichi napolitani fino al 1600 (1674); seguirono Elia d’Amato, Antonio Matina, Carlo Celano, Pompeo Sarnelli…

Al di là delle vicende umane e politiche – impietoso il giudizio di Francisco Elías de Tejada nel V volume di Napoli spagnola: «Alla stessa linea di riforma appartiene uno dei tipi più discussi, volubili e sofisticati che il secolo abbia conosciuto, Camillo Tutini, uomo orgoglioso lacerato dalle ambizioni, costantemente turbato dall’invidia, combattente e combattuto, morto nell’esilio romano come chi sprofonda in un abisso trascinato da un’innata ansia di progredire, dalla mancanza di scrupoli della sua ambizione e dalle circostanze avverse che delinearono la deplorevole figura di un uomo frustrato. […] Alternò lo studio al sogno, maturando ambizioni mentre redigeva biografie di santi o libri storici pieni di erudite intenzioni. I fatti del 1647 erano l’occasione propizia per dar sfogo alla propria collera e concretizzare i suoi affanni di miglioramento sociale. Nemico dei nobili, come palesano i suoi lavori storici, rappresentava per l’insurrezione il teorico che legittimasse il diritto del popolo di partecipare al governo napoletano. Riformista politico convinto, si dichiarò seguace del duca di Guisa sin dal principio, ma insoddisfatto da ciò che poteva offrirgli, finì per cospirare contro di lui. Nel momento in cui le sue mire furono scoperte fu costretto a fuggire verso Roma» (Controcorrente, Napoli 2017, p. 348-349) «Alla luce dei suoi scritti possiamo affermare che Tutini non oltrepassò i limiti della mediocrità, mero compilatore privo di particolari qualità per approfondire le letture delle carte che maneggiò» (ivi, p. 350) – negli ultimi anni di vita iniziò a scrivere La porta di S. Giovanni Laterano, titolo che, indicando la porta da cui si entrava a Roma quando si proveniva dal Regno di Napoli, doveva redigere un elenco degli insigni artisti napolitani che avevano operato nella Città Eterna.

In questa opera, sottolinea Laura Giuliano, «Camillo appronta un affresco teso a elogiare ad ampio raggio il Regno di Napoli, descrivendone il notevole patrimonio paesaggistico e passando in rassegna ciascuna delle dodici province: è l’esito di ricerche pregresse messe a frutto per dimostrare la preminenza raggiunta dal Meridione peninsulare in vari e innumerevoli ambiti del sapere. A margine della panoramica sui loci amoeni, eletti dagli imperatori romani a sedi privilegiate per trascorrervi gli otia, egli enumera in un’unica sezione poeti, storici e filosofi per i quali la capitale del Viceregno aveva assunto il ruolo di seconda patria (da Virgilio a Francesco Petrarca, da Tito Livio a Lorenzo Valla). L’esposizione procede con un elenco dettagliato delle Famiglie aristocratiche ascritte ai seggi di Napoli […]» (p. LXXI). Dopo un elenco di personalità del mondo ecclesiastico, nobiliare  e una lista alfabetica di scrittori e di scienziati, nella sezione dedicata ai pittori, scultori, architetti, miniatori et ricamatori, l’autore diviene più attento e, dopo un excursus storico, si sofferma in particolare sui pittori, «data la maggiore facilità nel reperire informazioni d’interesse storico-pittorico all’interno delle fonti consultate» (p. LXXIV), mentre agli architetti sono riservate notizie più scarne e, per i miniatori e ricamatori, solo quelle dovute alla conoscenza diretta.

Dopo il dotto saggio introduttivo, il volume ripropone con criterio ecdotico moderno le tre versioni manoscritte: partendo dalla più breve del codice II.B.10 (carte 129-132, p. 3-8,), per giungere, attraverso quella del codice III.D.10 (carte 173-175 e 164-166, p. 11-22) alla revisione più ampia (II.A.8, carte 86-93, p. 25-46), una evoluzione che testimonia il percorso seguito dall’autore verso la (mancata) pubblicazione.

Il volume è abbellito da otto tavole, poste in apertura ed attribuibili allo stesso Tutini, tratte dal codice IV.A.3, che rappresentano membri della famiglia Schinosa (o Schinosi) ricevuti da quattro sovrani succedutisi sul trono di Napoli fra Tre e Quattrocento: Ladislao di Durazzo, Giovanna II, Alfonso I e Ferrante d’Aragona, in atto di conferire compiti di rappresentanza ad alcuni membri di detta famiglia, di origine cosentina poi trapiantata a Benevento, eletti a dignitari di corte. Si tratta di scene tracciate a penna, presumibilmente per una mai realizzata storia della famiglia che Tutini avrebbe dovuto redigere. Ed è un peccato, perché l’erudito seicentesco pare decisamente trovarsi a proprio agio più con le ricerche archivistiche specifiche che con le indagini storiografiche a più ampio spettro.

fonte

Ernesto il disingannato: Uno studio seicentesco sugli artisti napolitani

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