Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

VINCENZO MORTILLARO E LU-SETTI-E-MENZU

Posted by on Feb 25, 2022

VINCENZO MORTILLARO E LU-SETTI-E-MENZU

Daanni meditavo di approfondire la rivolta del sette e mezzo. Nel cercare pubblicazioni del tempo che trattassero l’argomento,mi son imbattuto nel testo di Mortillaro che per me era poco più di un nome che mi era capitato di conoscer attraverso il Dizionario (2). Di lui non sapevo altro.

La lettura del suo testo è stata una vera e propria rivelazione: si trattava di un appartenente alla migliore burocrazia borbonica, colta ed erudita, di alta levatura morale. Almeno questo si evinceva dalla lettura delle sue pagine [un caro amico sostiene che “per decidere, se dare o meno fiducia aduna persona, basta leggere quello che scrive”].

Alla fine decidevo di fare una cosa particolare, mai fatta prima, utilizzare brani del testo per costruire una introduzione alle pubblicazioni e ai documenti che avrei messo online sulla rivolta del sette e mezzo..

Ovviamente mi era sorta anche la curiosità di saperne di più sull’autore, di conoscere elementi della sua biografia. Ed ho scoperto che in rete da qualche anno il personaggio è presente ed è considerato un po’ come una bandiera della opposizione borbonica al nuovo stato di cose. Più o meno l’idea che mi ero fatto leggendo il suo testo, ma l’accostamento al caso Badiaper cui finì nelle galere italiane mi pare troppo netto e scontato. Accostamento che si ritrova anche nella Treccani. Addirittura qualcuno lo indica come l’ispiratore. Non ho elementi per confutare tale indicazione ma dalla lettura del suo testo (una sorta di autodifesa in alcuni passaggi) io non ci avrei scommesso.

Mi ripropongo di tornare su questo tema e su questo autore.

Ecco la “introduzione alla rivolta del sette e mezzo” che ho costruito usando brani estrapolati dal testo “Opere di Vincenzo Mortillaro marchese di Villarena, v0lume XI, 1868”.

I titoli sono espressioni contenute nel testo e scelte dallo scrivente. I brani non sono inseriti nella successione del testo originale.

Lo storico è un viaggiatore diligente

“Lo storico è un viaggiatore diligente, il quale dopo di avere percorso sterili piani, sorpassato alpestri montagne, traversato mari burrascosi si ferma in un sito tranquillo, dal quale possa comodamente riandare i suoi viaggi e meditare su quello che ha veduto.”

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“Alla sommossa non prendeano parte persone ricche od elevate, néil clero o il monachismo: erano gli uomini delle classi operaie che contribuivano più che altri all’insurrezione; néalcun li guidava, perché ciascuno era capo a se stesso. Erano questi i parteggiatoridi una rivolta che assolutamente volevano, ma che non sapevano eseguire, e della quale non intendevanole vere cagioni, néantivedevano le funeste conseguenze.”

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“Il tumulto non poteva attingere la vittoria, ancorché fosse riuscito a snidare la intera soldatesca, e le navi inglesi si fossero ancorate in Favignana in altitudine tale da eccitare gravi apprensioni alla Francia;dappoiché era tumulto senza capi, inopportuno e circoscritto a Palermo e suoi dintorni. Ed un tumulto in cui non si facea vedere la solita bandiera che riferisce Tacitoavesse inviato ai Pretoriani l’esercito di Siria per meno del centurione Sisenna… antica usanza, segnale d’amicizia espresso in tante medaglie coll’epigrafe Concordia exercituum…Consensus exercituum. Or quando una rivolta non si propaga prontamente, si ferma: infatti che tempo ai regii rinforzi che piombarono d’ogni parte, nél’idea repubblicana potea spingere il popolo all’entusiasmo, perché, come ha bene avvertito Napoleone III,le sole guerre intraprese di accordo col sentimento tradizionale hanno il privilegio di scuotere profondamente la libra popolare.”

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“Per tal modo nissuno stimando possibile la repubblica, per la quale pugnava, ardi proferire il nome di Garibaldi, o intuonare il suo inno; che se alcuno avesse osato far ciò sarebbe stato perseguitato a morte, come fu perseguitato dai terroristi quel Giuseppe Rouget de Lisle autore della Marsigliese,cioè della canzone che conduceva i Francesi alla vittoria repubblicana.

Pertanto i rinforzi sopravvenuti da Messina, da Napoli, da Ancona dissiparono qualunque illusione. — Perdendo tempo gl’insorti perdevano tutto; imperciocché il tempo è cosa preziosa, e tutto quello che indebolisce l’energia dell’azione è diminuzione della forza. — La sera del venerdì, tuttoché il Comitato provvisorio,nel mentre non voleva andare al palazzo comunale perché gli parea pericoloso traversare la città, avesse in quel giorno stesso fatto appelloal popolo, affinché ognuno avesse apprestato il suo braccio e la sua vita, avvenne quello che avviene ne’ casi disperati… comandavano tutti… nissuno eseguiva. E il presidente spaventato come Pompeo, cambiati i nomi, ripeteva: Claudio cerca assassinarmi —Crasso lo paga—Catone l’incoraggia.— Indi a che siccome la fortuna si burla dei progetti e delle sperante degli nomini e si reca a piacere il rompere tutte le loro misure, sparirono come per incanto le squadre campagnuole ch’erano state più numerose della posterità d’Abramo. E lasciarono la cura di scaricare qualche ultimo colpo ai palermitani,i quali aggiravansi per la città senz’ordine e senza guida;finché gettate le armi cercarono la fuga eludendo artifiziosamente il nemico. Conciossiaché. la moltitudine quando uno non la regga, osserva sapientemente Tacito,è temeraria, al tempo stesso, timida e vile. — Allora i bersaglieri cacciaronsi dentro a furia, e si spinsero avanti per le barricate audacemente senza che alla difesa di quelle e nelle strade avessero incontrato alcuna resistenza. Essi erano guidati dal generale Luigi Alasi, quel desso che, siccome quasi tutti gli uomini politici moderni, erasi in sua gioventù occupato alquanto di giornalismoquando esercitava la medicina e facea da segretario al principe di Canino Carlo Bonaparte; — e che dopo varie vicende era stato fatto colonnello comandante la guardia civica di Roma nel 1848. E poi nel 1860 ragunato in Toscana un piccolo corpo di volontarii denominato Cacciatori del Tevereera agli 8 settembre entrato in città della Pieve ed avanzatosi ad Orvieto allorquando l’esercito piemontese comandato da Fanti generale entrava nello Stato pontificio.—Né anco resistenza incontrò dopo di lui il generale Angioletti, così svaniva la rivolta la mattina di sabato 22 settembre a mezzogiorno; senza che i regii avessero ottenuto una vittoria, o al più ottenendo una vittoria tale che, come scrisse Giorgio Pallavicino,era deplorabile quanto i disastri di Lissa e di Custoza.—Sia che si voglia però, in tale carriera non s’indietreggia impunemente, e coloro che fanno le rivoluzioni a metà si scavano la fossa).—La popolazione trovossi peggio umiliata e più compromessa di prima… solita scena finale delle tragicommedie di questo genere. Gl’italianissimivistisi sicuri trasfigurando i fatti da non più riconoscerli scrissero cose nefande contro del paese, senza sentirne rossore, che è, dicea Teofrasto, tinta della virtù, e manca affatto a quasi tutti gli odiernissimi più presto romanzieri che storici, come li appella Corazzini.”

Si arrestava a torme e alla rinfusa

“Quei pochi cittadini che s’erano chiusi al palazzo regale trepidanti, calmato il tumulto, discesero dispettosi per le strade fra soldati e gente di questura. Taluni di essi commossi gridavano: viva l’Italia, viva Vittorio Emmanuele…non vi fu alcuno però che morisse per l’eccesso della gioja, com’era morto a Parigi sulla piazza d’Epinal Perrin des Vosges, mentre gridava: viva l’imperatorea Bonaparte che ritornava dall’Elba. — Quanti individui in quel momento vennero incontrati dalla truppa o dalla polizia con arme in pugno o con mani annerite dalla polvere furono fucilati sull’istante. Perseguitando con odio implacabile i vinti si arrestava a torme e alla rinfusa; rintracciando e traendo fuora tutti quei che s’erano rimpiattati. E i carabinieri trattarono con indegno disprezzo e con sevizie gli arrestati, dimostrando a chi l’avesse ignorato quanto sia

Duro a soffrirsi il soldatesco orgoglio.”

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“La folla degli arrestati, veri o non veri perpetratori dei fatti di settembre, si stivavano in prigione, in preda agli eccessi ed agli abusidell’abbietta marmaglia d’arrabbiati serventi, in attenzione d’una condanna che desse legale apparenza alle tante esecuzioni criminose operate senza giudizio, e compite senza giustizia, — disposte presso a poco come (quando in Francia tanta gente chiamavasi Bruto) disponevale quel sanguinario Carnot, il quale segnava in confidenza centinaia d’esecuzioni capitali.

Però la giustizia ècosi necessaria agli uomini, ch’essi credonsi obbligati a prestarsene il velo, onde covrire le più arbitrarie azioni. —Le chiese furono mutate in caserme, prigioni, tribunali, e peggio… Ben poteva dirsi col salmista: Deus venerunt gentes in haereditatem tuam, polluerunt templum sanctum tuum.Cadorna generale, venuto a farla da altoCommessario, sprezzando la massima del giureconsulto Bodin, che il potere di far tutto non ne dà affatto il diritto, credè doversi regolare come Mourawieff a Wilna, come Berg a Varsavia. Sicché potè dire a Palermo quel che avea fatto dire Dante da Tomiri a Ciro:

Sangue sitisti ed io di sangue t’empio.

Qualunque fazione vincitrice abusa sempre della vittoria; e lo spirito di parte rende tutti i cuori barbari, tutti i caratteri inflessibili! ne alcun influente cittadino presentossi a smorzarne la foja, come aveva fatto a Parigi Arturo Wellesley duca di Wellington, che dopo la capitolazione rinomata si oppose energicamente alla brutalità del vero vandalo Blùoher. Dopo due giorni il generale Cadorna, eletto sin dal 18 settembre commessario straordinario, decretava il disarmo immediato sotto pene severe, non esclusa la pena della fucilazione;— decretava una carta di circolazione per chiunque volesse uscire fuori le porte della città di Palermo.”

Né manco il paese fu difeso dal sindaco

“Poi affidossi la prefettura a un tal Achille Basile, dichiarandosi lui e il Biundi bravi cittadini — bravi patriotti, gridandosi nello stesso tempo il crwifigea Pinna ed a Torelli.— Stampò in seguito Cadorna una relazione paradossale dei fatti di settembre, che fu trovata strana, ingiusta e senza coscienza dallo stesso giornale anticlericale il Diritto,e dal partito dei sinistri;come la stampavano varie autorità civili e militari, che dovendo mirare alla pronta abolizione dei monasteri e dei conventi, riversavano sulle povere monache e sui frati, sui preti e sui loro aderenti il fardello enorme degli avvenimenti sciagurati. —Quasiché si fosse trattato dei Remoboth, dei Sarabalti, della mala genia in somma dei falsi monaci d’oriente, i quali senza regola e senza disciplina conturbarono intere città e provincie ai tempi di s. Girolamo e di Cassiano.”

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“Né manco il paese fu difeso dalsindaco, o almeno scusato.—Anzi chi non invoca altra musa che quella della verità deve confessare che costui siciliano scandalizzò più degli altri,e disse cose che un non siciliano avrebbe esitato ascrivere e stampare.— Di guisaché stupiranno i posteri, e i contemporanei pudibondi si copriranno la faccia con ambo le mani, ricordando com’abbiasi potuto invitare il paese ad ergere un busto marmoreoa chi chiedeva la forca ed il boja come un segnalato beneficiopel suo paese…

Eppure il governo, dopo averlo decorato della medaglia del valor militateper avere tirato paternamentesul popolo col moschetto, lo destinò a prima autorità politica,—a successore di Torelli; nominandolo proprio prefetto di Palermo con plauso dei giornali d’ogni stampo. — Dissero poi orrori con una lingua volubilissima ed ardente più di quella disco i due impudenti giornalastri che risorsero tra i primi: L’Amico del popoloe il Corriere Siciliano,gracchiatori per gusto, feroci per paura… ferocia ché mai sempre vigliacca, come il fanatismo politico è sempre sanguinario. “

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“E [Cadorna] volle far credere con il mal vezzo oramai troppo insulsamente ripetuto che la Sicilia fosse la Caledonia dell’Italia, e i Siciliani popoli barbari, cannibali, selvaggi, ingovernabili; dimenticando la massima imperitura dello storico di tutti i tempiche il coraggio e la ferocia dei sudditi spiacciono sempre a qualsivoglia signoria. Così comportandosi raccolse odii maggiori, suscitò maggiore malcontento, ne raffermò, affatto il potere del governo. Giacché è la giustizia il solomezzo di guadagnare la pubblica opinione; rimossa la giustizia i regni non sono che grandi ladronecci,e i ragionamenti della paura non sono che sofismi.”

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“Eppure il governo decorò Torelli della medaglia d’oro del valor militare e destinollo prefetto a Venezia; e collocò Pinna al ministero della sicurezza, quando insomma si faceano voti perché s’imprimesse un marchio d’infamia sulla fronte di lui.”

Gli occhi si rivolgevano all’antico

“Fuvvi intanto chi disse che i luttuosi fatti di settembre fossero stati l’espressione d’un bisogno sociale—che valse a protestar solennemente contro l’imbecille amministrazione di sei anni.Fatto sta che non potè indicarsi un sol uomo come promotore di quel moto che fu acefalo del tutto… e si crede che non si manifestano acefali che i soli moti sociali. Certo è che il paese fu minacciato dell’assoluta dissoluzione: esso fu sul punto di crollar da’ fondamenti, e fu ben grave lo scompiglio di tutta la macchina morale. Imperocché pur troppo è vero che una rivoluzione di governo produce sempre una rivoluzione nel costume pubblico e nel privato.

— La nostra Sicilia somiglia ad una grande famiglia decaduta, la quale vive nel passato più di quello che viva nel presente, e che si crucia pensando a quel che era ed osservando dove si ritrova. — Poi per effetto di quella illusione, la quale ci porta a prendere le nostre brame per isperanze fondate, questo suopolitico pensiero non si disarma giammai, e rigoglioso sotto mille forme rinasce. Imperocché le nazioni conservano come gli uomini pure la loro vanità dopo perduta la loro fortuna, la loro potenza, il loro coraggio, la loro fierezza:e se dimenticano talvolta ciò ch’era scritto nelle loro leggi, non dimenticano mai ciò ch’è stato impresso nei loro costumi. Anzi quell’amore per le tradizioni, quella diffidenza contro delle novità, ch’è distintivo delle razze forti,in Sicilia si sente più che altrove. Quivi appunto al par degl’indiani si vorrebbe essere governati da gente che parlino la stessa lingua, che professino lo stesso culto, che osservino le stesse leggi; preferendosi un sistema rozzo e grossolano, ove sia del proprio terreno, ai raffinati ordinamenti tracciati da un modello straniero amministrati da straniere mani.”

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“Nel quale grande sfasciamento gli occhi si rivolgevano all’antico, ritenendolo come tempo felice al paragone delle pene ch’eransi sofferte nel cangiamento di cui si era gementi ed attristati. E sospiravasi in core l’autonomia,che fu nell’antica Grecia idea essenzialmente municipale, poi aggrandita mano a mano ed alzata a quel concetto universale che comprende la nazionalità d’un popolo.Per tal modo nissuno stimando possibile la repubblica, per la quale pugnava, ardi proferire il nome di Garibaldi, o intuonare il suo inno; che se alcuno avesse osato far ciò sarebbe stato perseguitato a morte, come fu perseguitato dai terroristi quel Giuseppe Rouget de Lisle autore della Marsigliese,cioè della canzone che conduceva i Francesi alla vittoria repubblicana.”

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“Ciascuno intanto prostravasi innanzi del potere e se gli dichiarava devoto servitore. — Piovvero gl’indirizzi dei municipii, più commoventi di quei che scrissero i decurionati quando restò incolume re Ferdinando dall’assassinio di Milano. Imperocché qualunque governo conserva la sua autorità e il suo prestigio quando le sue operazioni sono coronate dal successo… solo quando è battuto le sue sventure divengono delitti ed è schernito; e in qualunque paese (diceva il conte Lavallette si grida sempre viva il requando questi giunge bene scortato. Cadorna ignorava che la dolcezza e la compassione fossero compatibili coi doveri delsoldato; — ignorava che l’agnello sia stato distintivo di uno dei più cospicui reggimenti d’Inghilterra.Ei credeva, come il credeva Bonaparte,che i soldati fossero soltanto ammazzatori di gente, vendicativi e ladri, senza pietà, cupidi non d’altro che di bottinare e di disbranare ogni voglia disonesta… feccia in somma e rifiuto delle patrie loro. Non usò quindi affatto dell’autorità sua per temperare le vendette che la fazione dei consortieri volle esercitate.”

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“Per tal modo divenne Palermo la città più nojosa, la più insopportabile della penisola tutta; ove i delatori non si stancavano di gridare: morte… e morte a tutti. Mentre poco tempo prima i fanatici della libertà, gli ippocriti per mestiere scimiottando faceano le moine perché la pena di morte fosse abolita… dicendo come Parini: morte a nessuno… neppure a voi che siete fazioso. — Anzi frementi d’ira, di rabbia e di dispetto diceano al popolo come avea detto quel mostro di Marat all’orda rivoluzionaria di Parigi:il te faut coupérdeux cent soixante dix mille tètes!..—Perloché non soddisfatti dei tribunali militari, avrebbero voluto nelle mani loro quella forma d’editti ch’Einnecio chiama subitanei,e che i prefetti augustali e i presidi accordavano, condannando o abbandonando al furore della plebe per soddisfare ai clamori delle fazioni.”

Un pensiero su questa rivoltura

“Non chiuderò intanto questo racconto senza che esprimessi un pensiero su questa rivoltura, la quale appena finita ha lasciato ricordi pur troppo dolorosi.—Convengo che in essa ha dovuto parlarsi della nullità degli uomini… degli spaventi… degli odii… della persecuzione… dei pregiudizii…delle cospirazioni…dellemisure mal prese… del coraggio e del manco di coraggio…—Ma quali ne furono le cause radicali? I governativi non videro che la contro-rivoluzione, il ritorno dei Borboni, le vendette degli emigrati;— i rompicolli l’attribuirono al mal governo, a Pinna, ai clericali, tuttavia il movimento di settembre pare non tenga affatto alla politica propriamente detta; esso sembra derivato dalla rivolta sociale che agisce senza posa, e che presume impossessarsi di tutto l’universo.—Mentre Napoleone ha fantasticato la distruzione dei piccoli stati e la divisione dell’Europa in cinque imperi,la democrazia ha minato audacemente le profonde basi del vecchio edificio sociale camminando verso un mondo ideale.—Due soli spaventi ne contrastano la corsa…lo spavento della legittimità, la quale vuol che ’l passato sia l’unico porto di salute — lo spavento del regno popolare che assicura che la violenza sia il solo mezzo di successo.

Per tanto a non pochi flagelli si aggiunse fiera pestilenza. — Più non dubitossi della comparsa fra noi di quel viaggiatore misterioso come la morte, lento come l’eternità, implacabile come il destino, terribile come la mano di Dio.Questo fuoco della collera celeste, secondoché appellarono la peste d’Atene Ippocrate e Tucidide, questo contagio infernale, traversante le montagne e i mari a guisa d’una di quelle pagode terribili adorate su la riva del Gange, venne a mettere il colmo alla desolazione di Palermo; cui il colera pare dia tregua non pace, come la febbre gialla a Nuova York, la peste al Cairo, il tifo a Londra, la malaria a Roma. —Questa volta fu importato dalle truppe provegnenti da Napoli e sbarcate al molo di Palermo dal 18 al 22 settembre,ne potea coglierci in punto peggiore.

Dopo avere serbato la più irreprensibile condotta nei giorni di settembre io mera volontariamente restituito al mio carcere-spedale nello stesso giorno in cui era finita la rivolta; dicendo come aveva detto Seyés quand’usci dal suo nascondiglio dopo l’epoca del terrore: «siamo vissuti e non abbiamo fatto poco!»Seppesi frattanto che il fisco Interdonato fosse ritornato a corsa da Messina; egli stimando complicate le forme degli ordinarii tribunali e i loro supplizii troppo lenti aveva passato ai militari il processo di Badia per riattaccarlo coi fatti di settembre. Illegalità contraria al buon senso, non essendo giammai, insegna Dupin,delle commessioni militari la conoscenza dei complotti contro dello stato.”

***

“Questi paurosi, che amano le dolcezze del suolo natale, ma che lo abbandonano sempre nei dolori, con egoismo vigliacco, se ne fuggirono a precipizio altrove in cerca di passatempi e di lietezze, abbenché in nissun puntod’Europa fermandosi poterono dire col poeta:

Hic tandem stetimus nobis ubi defuit orbis.

Questa emigrazione numerosa della classe più agiata accrebbe lo spavento, aumentò la miseria, rese deserta la troppo squallida città nostra, ove potea dirsi con certezza che i patrioti son pochi, ma pochi assai e tanti appena quant’erano le porte di Tebe, o quante sono le bocche del Nilo.”

***

“A queste gravi molestie un’altra se n’aggiunse ridicola e meschina, essendo venuto a interpellarmi indi a poco un altro giudice istruttore incaricato d’un processo camerale, perché le monache del monastero delle Vergini, delle quali era io protettore,avevano ricusato di consegnare una stupenda cufica conca da me altra volta illustrata, assicurando in tutti i modi ch’esse avevanla venduta —e talun ardente patriota volea che l’avessero ad ogni costo a consegnare. — Controversia che non riguardavano per nulla, menoché per commuovermi a compassione, osservando il modo frivolo come si trattava.”

Una commessione parlamentare d’inchiesta

“A metter suggello al malcontento, a colmare la tazza del dispetto universale fra noi non poteva farsi peggio che mandare in Palermo una Commessione parlamentare d’inchiesta. — Siffatta determinazione s’era presa dopo gl’infausti avvenimenti di settembre durante il ministero Ricasoli. Caduto quel gabinetto, lo stesso Ricasoli ne richiese l’esecuzione; e la Commessione, avendone alcuni altri declinato l’onore,fu composta da Sella, Tamajo, Fabbrizi, Rorà, Tenoni, Bortolucci, e preseduta da Pisanelli.

Essa fra le altre cose recavasi in Palermo a studiare se le monache ritornando nei proprii monasteriavessero potuto mettere a repentaglio il regno, e a rilevare i motivi pei quali vi fossero in Palermo ottantamila malcontenti attivi, e tutto il resto della popolazione malcontenta passiva.Allora un diluvio di stampe, una serie di progetti, un cicaleccio ridicolo di giornali venduti, assordarono cielo e terra in modo da non trovarsi più costrutto. — Tutti compunti esponevano i nostri mali, tutti proponevano rimedii svariati, davan consigli, emettevano assolutissimi giudizi!”

Dissesto finanziero

“Primo pensiero di Cadorna era stato scassinare conventi e monasteri, cacciarne brutalmente monache e frati, — proibire agli uomini vestir tonache e cocolle, pena l’esilio ovver la prigionia,—impossessarsi delle loro case, — avventarsi su la loro roba, in esecuzione (dicea) della logge che aveva per base e per motivo la massima socialista diProudhon:la proprieté est le vòl. E la folla dei curiosi corse a visitare le case monastiche svaligiate, come fanno i viaggiatori che traversano a Granata le sale abbandonate dell’Alhambra!”

***

“Non si sono posti per ordinario al timone che dottrinarii di professione a cominciare dal tanto celebrato (sallo Iddio perché, io non lo so) quondamconte Camillo sino al senatore Scialoja, celebre pel celeberrimo trattato di commercio da lui conchiuso con la Francia; anzi sino al prof. Ferrara, del quale nissun altro ha dato di sé spettacolo più umiliante… Fama e sapore d’uomini, dei quali nissun uomo di buon senso può sentire invidia per nulla;—come nissun uomo di buon senso invidierebbe la celebritàdi Tyco-Brahé, non volendo al certo niuno per tutta la scienza di lui, un falso naso di cera o pur di argento com’esso l’aveva. Cosi non si è fatto che navigare fra due scogli: lo spogliamento e la bancarotta.”

***

“Molti credono che a cagion della rivolta, dei tumulti, della guerra, siasi creato un tanto dissesto finanziero: —no, esso è surto per la immoralità e la balordaggine insieme collegate. L’immoralità spudorata ha prodotto il contrabbando, il furto, l’appropriazione, la frode; — l’imbecillità ha creato la cattiva amministrazione, la quale ha tatto perdere irreparabilmente gran parte degl’introiti, e ne ha fatto dissipare in inconsiderate spese altra gran parte; non essendosi attinto pel loro vero rette l’incasso dei balzelli e delle imposte, ed essendosi sciupato per mal talento più del necessario.Amministrazione forsennata derivante da una ragion composta di cattivi amministratovi, di cattive leggi, di regolamenti cattivi, di cattivissima contabilità dello stato. Basta per tutta prova del caos e dell’assurdo finanzierò, che non sia stato possibile al nostro parlamento in sett’anni che passare di provvisorii in provvisorii; protraendo questo imperdonabile sistema per la intera serie degli anni che ormai sussiste il regno italiano; operando perciò a tentoni, facendo sperimenti, improvvisando tasse, votando leggi alla rinfusa.”

***

“In Palermo a mo’ d’esempio settantadue professori han dato lezione ad ottantacinque scolari percependo seicento mila lire!— Insomma spariti gli studi speciali, ora sono in voga le superficialità e gli elementi generali. Epperò n’è derivata una istruzione enciclopedica che rende la gioventù presuntuosa, incredula, insubordinata, leggiera, che ignorando tutto, ignora financo che ignorasse ogni cosa. Nulla ostante le sfrenate menzogne degli adulatori di partito, che vorrebbero farci credere il contrario; perché la divina provvidenza ha tanta cura della verità che non ha permesso mai che gli scritti degli adulatori avessero lunga durata, et a fait que les livres des historiens véritables ont triomphé des siècles.”

***

“E in tal mezzo si gettano sul lastrico impiegati a migliaja, o si balzano come balle da un sito all’altro le tante leghe lontane, senza che si abbia riguardo a famiglie, ad età, a speciali circostanze, con un cinismo dispettoso cui non puossi che o sobbarcare colla rassegnazione o riluttare con la violenza.—Massima è la confusione generata da cosiffatto continuo lavorio di mutamenti, che facilita la corruzione e agevola l’enormezza dei furti e delle appropriazioni; — grande la vertigine prodotta da un arsenale di leggi, cui certo non si può assegnare un’origine celeste come a quelle dalla ninfa Egeria: dettate a Numa, o soltanto un’origine immaginaria come a quelle dell’Utopia di Tomaso Moro. Che maraviglia dunque se il commercio è distrutto,— se l’agiatezza è scomparsa, — se il brio è sparito,—se le città nostre sono ridotte poliandrid’uomini semoventi, — se i municipii sono malandati e discordi, — se il malcontento è universale, —se la disperazione è al colmo,—se la ricchezza è svanita, e lungi di possedersi monete preziose, luridi insignificanti cenci sieno divenuti i rappresentanti delle nostre fortune, la espressione dei nostri valori, l’emblema della nostra opulenza?… Puossi con migliore fondamento applicare ai nostri uomini di stato il sarcasmo dagli Inglesi lanciato già al ministro Pitt«che avea trovata l’Inghilterra di oro e l’avea fatto di carta!»”

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(1)Titolo nostro [N. d. R].

(2)Nuovo Dizionario Siciliano-Italiano delmarchese Vincenzo Mortillaro, Palermo, stabilimentotipografico, 1879”.

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