Voltaire, il tollerante razzista e antisemita
Citarlo fa ancora chic nonostante siano passati più di due secoli dalla morte. Lo faceva Dacia Maraini, in uno dei suoi tanti distillati, sussiegosi, infarciti di luoghi comuni in relazione a un attentato terroristico a Parigi, per rintracciare nella tanto decantata tolleranza di Voltaire (1694-1778) l’antidoto alla violenza delle religioni.
Scriveva la Maraini, tra l’altro: «A un civile e savio relativismo (quello di Voltaire, ndr) e a un’umana e tollerante convivenza, c’è chi sente il bisogno di contrapporre la fedeltà a un Dio antico e dispotico» (Corriere della Sera, 27/11/15). Peccato che la tolleranza relativista di Voltaire sia una balla spaziale. Un mito, smentito dagli storici, vuole che il polemista francese, simbolo dei Lumi e della vittoria della ragione dopo secoli di fanatismo e superstizione, abbia pronunciato questa frase: «Non sono d’accordo con quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo». In realtà questa proposizione non si trova mai nelle opere di Voltaire, ma in uno scritto di Evelyn Beatrice Hall del 1906, Gli amici di Voltaire. Il fatto che venga di continuo rispolverata come manifesto del relativismo e della tolleranza, magari di fronte a chi difende l’esistenza di principi e di valori non negoziabili, o in altre circostanze, non la rende più vera.
[…] Ma torniamo al profeta della tolleranza. Per scoprire anzitutto quanto è razzista. Nel suo Trattato sulla metafisica (1734) e nel Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756), Voltaire afferma che, checché ne dica «un uomo vestito di lungo e nero abito talare (il prete, ndr), i bianchi con la barba, i negri dai capelli crespi, gli asiatici dal codino, e gli uomini senza barba non discendono dallo stesso uomo». Prosegue situando i negri nel gradino più basso della scala, definendoli animali, dando credito all’idea mitica di matrimoni tra le negre e le scimmie, e considerando i bianchi «superiori a questi negri, come i neri alle scimmie, e le scimmie alle ostriche». Maurizio Ghiretti nella sua Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo (Pearson Italia 2007), ricorda anche che Voltaire è azionista di una compagnia che commercia schiavi neri, e forse proprio in uno di questi traffici si trova beffato due volte da bianchi-usurai ebrei.
Quanto agli ebrei, Voltaire li prende costantemente di mira, vedendo in essi gli antenati degli odiatissimi cattolici, e anticipando così molte delle invettive del futuro antisemitismo. Per esempio nel suo Dizionario filosofico (1764) alla voce “Antropofagi”, scrive: «E dall’altra parte, perché gli ebrei non avrebbero dovuto essere degli antropofagi? Sarebbe stata la sola cosa che mancava al popolo di Dio per essere il più abominevole popolo della terra»; alla voce “Giobbe” afferma che «gli ebrei non furono che dei plagiari, come furono in ogni altra cosa»; alla voce “Tolleranza” il bene è rappresentato dalla Borsa di Amsterdam e di Londra, il male dagli ebrei «un popolo assai barbaro», «il popolo più intollerante e crudele di tutta l’antichità», e dai cristiani, ancora peggiori degli ebrei, definiti «i più intolleranti tra tutti gli uomini» (Voltaire, Dizionario filosofico, Einaudi 1995; si veda anche Voltaire, Juifs, a cura di Elena Loewenthal, e Riccardo Calimani, Ebrei eterni inquieti, Mondadori 2014: vi si ricorda che Voltaire invitò a marchiare tutti gli ebrei con la scritta «Buono per essere impiccato», e che attaccare ebrei e Antico Testamento «il miglior modo per colpire la Chiesa»).
Per tutto questo lo storico del razzismo Leon Poliakov, nel suo Il mito ariano. Saggio sulle origini del nazismo e dei nazionalsocialismi (Editori Riuniti 1996), afferma che «egli (Voltaire, ndr) resta nel ricordo degli uomini il principale apostolo della tolleranza, a dispetto di uno spietato esclusivismo a cui non si saprebbe dare altra qualifica che quella di razzista e di cui i suoi scritti sono una testimonianza altrettanto valida della sua vita». Voltaire dunque ama credersi e presentarsi come tollerante, ma non lo è affatto. Quasi tutta la sua opera è puramente demolitrice di idee e di persone. Sempre al riparo dei potenti, re e nobili dame, di cui cerca favore e protezione.
[…] La tomba di Voltaire si trova al Pantheon: dovrebbe essere la meta di tutti i suoi numerosi epigoni, di quegli intellettuali di basso rango che infestano salotti, giornali e tv, e che continuano la sua opera demolitrice della nostra storia e delle nostre radici. Sempre, come lui, con il ditino alzato, pronti ad invocare, in nome della tolleranza, la scarnificazione mediatica e non solo, di chi non si adegua.
Francesco Agnoli
scrittore e saggista
da LaVerità, 17/01/17