Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

“CUORE … NAPOLITANO” di Castrese Lucio Schiano (III)

Posted by on Giu 21, 2021

“CUORE … NAPOLITANO”  di Castrese Lucio Schiano  (III)

ARRIVANO I “CIVILIZZATORI” NELLA TERRA DEI CAFONI … E POI BRIGANTI                 

    Era stata una di quelle giornate di fine estate in cui, dalle nostre parti il sole “spacca” veramente le pietre. Il lavoro nei campi, era stato molto duro per tutti i componenti della famiglia e l’unica risorsa per reintegrare il dispendio di energie e di sali minerali perduti con le lunghe sudorazioni erano stati un pezzo di pane nero, una cipolla per companatico ed un fiasco di vino dal quale ognuno beveva a turno. Il lavoro nei campi durava fino a che lo consentivano gli ultimi raggi di sole.

     Un bel po’ di tempo dopo il tramonto, a sera quasi inoltrata quindi, le persone che si erano ammazzate di lavoro e quasi disidratate dalla lunga esposizione al sole,si ritirano nella masseria ritenendo di essere nel pieno diritto di riposare le membra su qualcosa di diverso e  meno disagevole di un sasso o di una radice d’albero ed accomodarsi intorno ad un tavolo per consumare il modesto pasto giornaliero.

     Definire “pasto” la pietanza che, in una grossa zuppiera occupava il centro della tavola, è un pietoso eufemismo. Nella terrina, infatti, vi è una semplice zuppa di legumi e sul tavolo il solito pezzo di pane nero, il solito fiasco di vino ed alcune cipolle, le cui sfoglie, a mo’ di cucchiaio, vengono usate sia per accompagnare i legumi sul cucchiaio di legno che per insaporire di tanto in tanto i bocconi. L’unica variante rispetto al cibo consumato in campagna è rappresentata dal fatto che, questa volta, per sorseggiare il vino, sulla tavola, ognuno dispone di un boccale in terracotta.  Questo è il “lauto” pranzo che la famiglia può permettersi dopo un’intera giornata spesa, dall’alba al tramonto, nel logorante lavoro dei campi. Eppure essa si ritiene soddisfatta e crede  di potersi dichiarare perfino fortunata, perché sa di altre famiglie che non possono permettersi nemmeno la modesta zuppa di legumi che fuma, invece, sul proprio desco.

      Quasi contemporaneamente e senza che uno della famiglia sia d’esempio agli altri, tutti i componenti del nucleo familiare si segnano col segno della croce e si apprestano a ringraziare il Signore per aver dato loro la forza non solo di potersi occupare del lavoro nei campi, ma anche la possibilità di poter consumare quel frugale pasto quotidiano.

      Probabilmente, però, il Signore in quel momento aveva la propria attenzione rivolta nell’esaudimento di qualche altra preghiera, perché i nostri hanno appena il tempo di accostare alla bocca la prima cucchiaiata che, con un sordo rumore, seguito da un lungo scricchiolio, l’uscio, che era stato accostato per tenere in penombra il vano, si spalanca improvvisamente come investito in pieno dalla violenza di un ciclone, ed una rumorosa e violenta torma di persone irrompe nella stanza. 

   … Eppure le scorrerie dei pirati saraceni erano ormai un ricordo di tempi lontani!

      Che gli uomini che hanno turbato il loro più che meritato riposo siano soldati non v’è dubbio. Ma soldati di chi? Di quale nazione? E perché in armi e in palese atteggiamento ostile sulle loro terre e nelle loro case? A nessuno della famiglia risulta che la propria nazione abbia dichiarato guerra ad altri o che si aspettasse di essere invasa per il mancato rispetto di accordi o di alleanze.  Sgomento e interrogativi, però, durano solo un istante perché i nuovi venuti allontanano in malo modo i commensali dal desco e come cavallette si buttano avidamente su quel modesto e sudato desinare.

     In questo mentre, dal pollaio situato alle spalle della casa, si ode l’acuto starnazzare delle galline. Il capofamiglia intuisce immediatamente che qualcosa di poco piacevole sta succedendo in quella parte della casa. Accenna, quindi, a dirigersi verso il luogo da cui ha udito provenire lo schiamazzo, quando la punta di una baionetta innestata sulla canna di un fucile, piantatagli minacciosamente alla gola, gli fa intendere perentoriamente che non è il caso di preoccuparsi. L’ordine di non muoversi viene impartito e compreso senza profferir parola, perché, anche se esso fosse stato trasmesso verbalmente, il pover’uomo, di certo, non sarebbe stato in grado di intenderlo. Nessun membro della famiglia, infatti, è in grado di stabilire la provenienza di quegli uomini in divisa e nessuno riesce a capire una sola parola di quanto essi dicono e si dicono. Quello che riescono amaramente a capire, però, è che nel giro di poco più di un’ora tutto quello  che rappresentava la loro ricchezza, il loro presente e il loro futuro:pane, farina, galline, maiali, vino, olio, frutta e ortaggi secchi, dopo quanto consumato a tavola, viene requisito e cambia di proprietà, lasciandoli digiuni e privi di ogni risorsa.

      Questi soldati sono comandati da un ufficiale al cui cospetto Dragut, il feroce capo dei saraceni farebbe la figura di uno scolaretto delle elementari al cospetto di un docente universitario. Molto tempo dopo alcuni componenti della famiglia, fortunosamente scampati alla devastazione che a loro insaputa si stava scatenando nelle loro terre riusciranno a conoscere il nome di questa belva: Crema, Capitano Crema. Il numero dei soldati, la loro tracotanza e la facilità, sotto l’esempio del loro capo, di ricorrere, senza pensarci troppo, alle armi fanno ritenere opportuno ai membri della famiglia di non accennare ad alcuna reazione.

      Non contenti di aver razziato tutto quello che era possibile, i militari chiedono ai componenti della famiglia dove siano custoditi denari e oggetti preziosi. La richiesta non ottiene risposta perché i poveretti,  davvero non riescono a intendere il significato di quelle parole mai udite prima:<<Piastre! Piastre!>>. <<Che so’ ‘stepiastre”?>>, si domandano tra di loro i componenti la famiglia, che udivano per la prima volta nella loro vita quella parola. Il confabulare del gruppo viene frainteso dal manipolo. La mancata risposta, viene interpretata come atteggiamento di reticenza, ed allora, per farsi capire senza fraintendimenti, uno di essi, mentre gli altri buttano sottosopra cassettiere, panche e qualunque suppellettile in cui possano essere nascosti monete o oggetti di valore, si avvicina alla madre di famiglia, allunga una mano verso il lobo da cui  pendeva un orecchino e, senza pensarci su due volte, con un gesto da vero rapace se ne impossessa senza curarsi né del sangue che esce dalla ferita né di quello che lorda l’orecchino predato. Il caso vuole che, nell’avvicinarsi rudemente alla madre di famiglia, il militare che era sceso dalle sue pianure nebbiose per “civilizzare” quei “cafoni” peggio dei “beduini”, ha modo di strusciare col braccio contro il sodo e ubertoso seno della giovane figlia e di accorgersi delle sue procaci forme. Subito le strappa le vesti col preciso intento di abusarne. A questo gesto, il capofamiglia, pur consapevole del pericolo cui si esponeva reagendo, non può fare a meno di saltargli addosso e gridargli in faccia: <<Puorc(o)!Lascia sta’ ‘a figliam(a)!>>.   Il “puorc(o)” non ha bisogno di traduzioni per intuire cosa gli ha detto il capofamiglia, perché sia l’espressione del viso che l’atteggiamento di fiera pronta a saltare sulla preda sono più che eloquenti. Sono quei messaggi essenziali che vengono capiti da tutti senza bisogno di parole. … E poi, questo cafone come osa scagliarsi contro un soldato di Sua Maestà Vittorio Emanuele  per impedirgli di sfogare la propria libidine? Senza alcuna spiegazione il povero capofamiglia viene portato nel retro della cascina, fucilato e abbandonato lì, in attesa di qualcuno che, mosso da cristiana pietà, si incaricasse di compiere il triste ufficio della sepoltura. Dopo di ciò la soldataglia ritorna nell’interno della casa e a turno ognuno abusa della giovane fino a che essa non spira. La madre, ancora sanguinante e tenuta bloccata contro la parete, non viene ritenuta degna delle attenzioni del gruppo, ma il suo cuore di madre, ad ogni cambio di turno sul corpo della figlia, è attraversato da dolorose e laceranti fitte, proprio come se fosse il suo corpo ad essere offeso.

     Ebbene, credete che la morte della povera giovane sia servita a far desistere quei barbari dal continuare ad abusare di un corpo ormai privo di vita? Macché!

     Ma c’è un limite ad ogni cosa!

     Così, non potendo più resistere nell’imposto e mal sopportato ruolo di spettatore, a quell’azione indegna perfino del più immondo degli animali e, pur avendo visto il trattamento riservato al padre, il fratello della vittima si scaglia con tutta la rabbia addosso all’ultimo della soldataglia non degno nemmeno dell’epiteto di bestia, mandandolo a sbattere violentemente contro la parete.

     Non viene portato dietro la casa, lui. Viene ucciso sul posto.

     Il suo sacrificio, però, è servito ad evitare che il corpo senza vita della sorella venisse ulteriormente oltraggiato.

© Copyright 2021 Castrese L. Schiano       18.06.2021

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