Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

A T T O R N O  A L  B R A C I E R E, i racconti  della nostra infanzia

Posted by on Mar 29, 2022

A T T O R N O  A L  B R A C I E R E, i racconti  della nostra infanzia

                             P R E M E S S A

     Il fine che si propongono le varie aggregazioni “identitarie” è quello di recuperare tutto quanto possa servire affinché chi, per i motivi più diversi, non ha avuto la possibilità di conoscere il proprio passato, fagocitato dagli incalzanti ritmi dei tempi moderni, possa venirne a conoscenza ed eventualmente trovare motivi per amare la terra che gli ha dato i natali, la sua storia, la sua cultura, i suoi usi, i suoi costumi, ecc.

Quest’impegno portato avanti quotidianamente, semplicemente – ma non meno efficacemente – è conosciuto come “recupero della memoria”. Recupero che tenta di riesumare nella maniera più completa e corretta possibile, riportandolo alla luce e all’attenzione di chi può sentirsi interessato, tutto quanto le abitudini e il tempo hanno cancellato: proverbi, leggende, vecchi mestieri, aneddoti, favole, ecc.

     E’ in quest’ottica che proponiamo ai nostri lettori la raccolta di fiabe tratte dal libro “Attorno al braciere” di Castrese Lucio Schiano e Claudio Schiano. 

Castrese Lucio Schiano & Claudio Schiano

                                       L’albero dai pomi d’oro

Un re molto ricco aveva un giardino così grande da somigliare quasi ad un bosco. In questo giardino, circondato da altissime piante per nasconderlo alla vista di tutti, c’era  un albero sul quale crescevano dei pomi d’oro. Tutte le mattine questo re aveva l’abitudine di fare una lunga cavalcata che aveva come fine quello di fermarsi vicino all’albero dai pomi d’oro per ammirarli con grande soddisfazione e  contarne minuziosamente il numero.

     Una mattina, dopo averli contati, il re si accorse che  ne mancava uno. Credendo di essersi sbagliato, ritornò a contare. Era sempre convinto di aver commesso qualche errore durante la conta, così ripeté nuovamente l’operazione.  Ma niente! I conti non tornavano! Il re non riusciva a credere che nei suoi domini ci potesse essere qualcuno così temerario da andare a rubare proprio nei giardini reali. Per fugare ogni dubbio, però , ordinò un’accurata indagine.  Le ricerche non riuscirono a trovare nessun colpevole. Tutta la notte il re non riuscì a dormire. Possibile che ci fosse un ladro così temerario  nel suo regno o si era sbagliato a contare? Questo secondo dubbio occupava ancora il suo animo. Così, di buon mattino,  si recò verso l’albero e riprese a contare. Questa volta, però, la sorpresa fu ancora più grande, perché di pomi non ne mancava uno ma addirittura due!  Allora si convinse che non si trattava di alcun errore. Il ladro c’era per davvero. Chiamò i suoi generali e diede ordine che durante la notte l’albero fosse costantemente sorvegliato.

E così fu fatto.

     La prima notte, la sorveglianza fu affidata a due soldati. Il re, fidando nel fatto che l’albero era sorvegliato dai suoi soldati, dormì tranquillo quella notte. Il mattino seguente, con un drappello di soldati, si recò presso l’albero per informarsi dalle sentinelle su come era trascorsa la notte. Giunto presso l’ albero, però, trovò i soldati addormentati. Subito, preso dal timore, si mise a contare i pomi  e si accorse che ne mancava ancora un altro. Inutile dire che i soldati di guardia furono puniti severamente. Per la notte successiva fu stabilito che, invece di due, montassero di guardia quattro soldati, così, se qualcuno si  addormentava, ce ne erano sempre altri tre che potevano fare buona guardia. Il mattino seguente, come di consueto, il re si presentò e con suo grande stupore  trovò addormentati anche i quattro soldati  messi di guardia. Contò nuovamente i pomi e si accorse che ne mancava ancora un altro. La sua ira divenne incontenibile. Fece arrestare alcuni comandanti, i soldati che avrebbero dovuto fare la guardia e anche alcuni addetti alla manutenzione del giardino, mentre si tormentava al pensiero che un misero ladro stava spogliando il suo albero dai preziosi pomi d’oro.

     Bisogna sapere che questo re aveva tre figli: due adulti già in età da soldato, ed uno  più piccolo a cui mancava ancora qualche anno per potersi considerare pronto per il servizio militare. Il primo figlio, vista l’incapacità dei soldati ad assolvere a un compito cosi semplice, chiese al padre di mandare lui  a sorvegliare l’albero quella notte.

     E così fu fatto.

     Era d’inverno e il freddo era abbastanza pungente, specialmente nelle ore notturne, ma, incurante di questo disagio, il giovane si accampò sotto l’albero e attese gli eventi. Verso la mezzanotte consumò la colazione che si era portata accompagnandola  con una buona bottiglia di vino, poi, dato  che il freddo si faceva sentire sempre più, si avvolse in una pesante coperta e dopo poco, senza volerlo, il torpore si trasformò in sonno profondo. L’indomani, di buon mattino, il re, fiducioso nel valore del figlio, era sicuro di non trovare sorprese. Ma, appena giunto sotto l’albero, non poté  credere ai propri occhi. Anche il figlio dormiva! Subito si mise a contare i pomi e si accorse che ne manca ancora un altro. Il dolore del re fu tale che a nulla valsero le giustificazioni del giovane, che fu giudicato immeritevole di succedere al trono. Allora si fece avanti il secondo figlio e anche a lui fu concesso di montare di guardia. Ma come era capitato al primo tutto si ripeté anche con il secondo. Dopo di avere consumato la merenda e una buona bottiglia di vino, arrotolatosi nella coperta, si lasciò assalire da un profondo sonno e così fu trovato la mattina. L’ira del re fu ancora maggiore quando si accorse che, contati i pomi ne mancava ancora un altro.

     Mentre il re discuteva con i comandanti delle guardie per trovare una soluzione e bloccare questa ruberia, si presentò il figlio più piccolo e chiese al padre di permettere anche a lui di fare la guardia. I due fratelli maggiori lo derisero dicendo che era ancora piccolo per fare le cose da grandi e  che avrebbe dovuto mangiare ancora molto pane prima di assolvere a certi compiti che richiedevano coraggio e determinazione. Il re, invece, decise di accordargli fiducia e così la sera stabilita, il terzogenito montò il suo turno di guardia. Verso la mezzanotte anche lui consumò la merenda, ma al posto della bottiglia di vino, come avevano fatto i suoi fratelli, consumò una buona bottiglia d’acqua, poi non si arrotolò nella coperta, ma per non farsi vincere dal freddo si mise a passeggiare intorno all’albero. Era passata da poco la mezzanotte quando cominciò a sentire dei rumori provenire dal vicino bosco. Subito si mise in allerta, imbracciò il fucile e attese. Improvvisamente vide sbucare dalla fitta boscaglia un orco bruttissimo che l’oscurità faceva apparire ancora più brutto, il quale spavaldamente si apprestava a compiere ancora il solito furto.  Prima  che potesse  raggiungere l’albero, però, il rumore di uno sparo risuonò nel silenzio della notte.  A questo primo colpo di fucile, l’orco fu colpito a una spalla, ma non ancora domo, continuò a dirigersi verso l’albero.  Si udì un nuovo colpo. Questa volta l’orco era stato colpito in pieno petto. Dolorante, cominciò a scappare mentre si udivano i suoi lamenti che laceravano la quiete della notte. La giovane sentinella prese ad inseguire l’orco, ma la notte era troppo buia e il bosco troppo fitto di sterpaglie, così  dovette ritornare verso l’albero dove attese, sempre desto, il mattino. Appena spuntata l’alba, ecco arrivare il re con al seguito alcuni soldati e i due figli maggiori. Questi ultimi si aspettavano di trovare il fratello addormentato, infreddolito e, quello in cui più speravano, tuttora tremante dalla paura. Quale non fu la sorpresa  quando, invece, lo trovarono sveglio e con il moschetto pronto a fare fuoco. Intanto il re si mise a contare i pomi e con suo grande piacere diede notizia a tutti che quella notte non era sparito alcun pomo d’oro. Ne rimasero tutti sorpresi.  Nessuno si sarebbe mai aspettato che un giovincello non ancora diciottenne avesse saputo fare buona guardia. Il re, visto che il giovane era ancora molto agitato gli chiese di riferire cosa fosse successo quella notte.  Il ragazzo cominciò a raccontare: << Poco  dopo la mezzanotte, mentre passeggiavo nei pressi dell’albero per vincere il freddo senza arrotolarmi nella coperta e evitare di prendere sonno,  ho sentito dei rumori che provenivano dal bosco. Mi sono acquattato dietro quella siepe in attesa di vedere chi fosse, quando all’improvviso vedo comparire un orco orrendo. Devo dire la verità, sulle prime mi sono spaventato, ma passato quell’attimo mi sono messo ad osservare le sue mosse. Non ci crederete, ma stava proprio venendo verso l’albero per fregarsi qualche altro pomo. Ho preso la mira e ho sparato; l’ho colpito non so dove ma l’ho colpito. In un primo momento si è fermato dolorante e sconcertato, forse perché non immaginava che qualcuno lo stesse aspettando, ma poi ha ripreso ad avanzare verso l’albero. A quel punto ho esploso un altro colpo e questa volta devo averlo colpito in pieno petto perché urlando è scappato via. L’ho inseguito per un certo tratto, ma poi la notte e la fitta boscaglia mi hanno fermato. Aspettavo voi per proseguire le ricerche. Avrà lasciato certamente delle tracce di sangue mentre scappava >>.

     Il racconto fatto dal ragazzo suscitò l’invidia dei due fratelli tanto che da quel momento cominciarono a nutrire sentimenti di gelosia e di odio nei suoi riguardi. Intanto il re diede ordine di cercare queste tracce anche per controllare se il figlio aveva detto la verità. Non ci volle molto.  Di li a poco i soldati scoprirono delle grosse macchie di sangue che s’inoltravano nel bosco, e tutti,  aprendosi con grande difficoltà dei varchi nella fitta boscaglia, seguendo la scia di sangue, arrivarono sul ciglio di un profondo burrone.

     << Ecco dove si è calato, Maestà!>> disse uno dei comandanti dei soldati. I due fratelli che volevano sminuire l’operato del più piccolo si affrettarono a dire:  << Ma come può essersi calato senza una corda, guardate è talmente profondo che non si riesce a vedere neppure dove termina!  Infatti, anche se il sole è già bello alto e la luce è diffusa, guardando in quel burrone sembra essere sempre mezzanotte >>.

     Il re intervenne dicendo: << Se è veramente un orco può essere sceso tranquillamente ed è quello che dovremo fare anche noi perché dobbiamo eliminarlo altrimenti quest’essere malvagio ci darà molti problemi! >>.

     Furono chiamarti carpentieri, maestri d’ascia e uomini di fatica per attrezzare sul ciglio del burrone un’efficiente macchina per consentire la discesa e la successiva risalita delle persone che si recavano nel burrone per seguire le tracce dell’orco.  Ad un forte argano, mediante un sistema di carrucole e di funi, fu legato un solido cestello capace di contenere anche tre, quattro persone. Oltre alle corde per assicurare la discesa e la risalita, furono aggiunte altre due corde a cui vennero legate due campane: una grossa ed una  più piccola. La prima doveva essere suonata nel caso che durante la discesa si presentassero dei pericoli oppure nel caso che chi veniva calato non volesse più proseguire. La seconda campana, invece, doveva essere suonata o in caso di assenza di pericolo o nel caso che chi veniva calato volesse proseguire nella discesa. Al primo tentativo salirono nel cestello tre coraggiosi soldati e cominciarono a scendere. L’addetto all’argano che azionava la discesa e la salita del cestello, di tanto in tanto si fermava in attesa di udire qualche segnale per capire se doveva ancora abbassare o tirare su. Improvvisamente si sentì suonare con insistenza la campana grande: Boon, boon, boon. Allarmati da questo segnale così insistente, il cestello fu tirato prontamente su. E ce ne volle di tempo, perché era sceso parecchio! I soldati appena fuori dal cestello riferirono che di quel burrone non si riusciva a scorgere la fine: più si andava giù e più il buio aumentava. Rivolti al re, dissero: << Maestà, secondo noi non si toccherà mai il fondo, questo burrone è stregato!>>. A queste parole si fece avanti il maggiore dei figli del re e con tono sprezzante nei confronti dei soldati disse: <<  Siete dei pavidi! Ora scendo io e vi dimostrerò cosa significa avere coraggio! >>. Salito che fu nel cestello, gli addetti cominciarono a calarlo giù, e scese, scese molto più di quanto avevano fatto i tre soldati, quando improvvisamente si udì il suono della campana grande:  Boon … boon …boon..!   A questo segnale, si provvide subito a far risalire il giovane. Appena su, tutti poterono notare che egli apparivaancora più atterrito dei soldati e anche lui affermò che era impossibile raggiungere il fondo.

     A questo punto, per non apparire da meno, il secondogenito chiese di concedere anche a lui la possibilità di tentare l’impresa. La richiesta fu esaudita, ed anche costui si avventurò nel precipizio superando tutti i limiti raggiunti fino a quel momento. Anche lui, però,  dovette rinunciare all’ impresa, e il suono della grossa campana avvertì che voleva essere riportato su.

     Inutile dire che quando il terzogenito chiese anche lui di provare fu deriso dai fratelli e sconsigliato dai soldati. Ma il re diede ordine di soddisfare la richiesta del suo terzogenito, e così, accomodatosi nel cestello, sotto lo sguardo beffardo dei fratelli e l’incredulità dei soldati, si cominciò a calarlo nel burrone.

     La campana  grande  tacque per lungo tempo anche se erano stati superati i limiti raggiunti  sia dai soldati che dai due fratelli. Tutti si aspettavano di udire da un momento all’altro i rintocchi della campana grande, invece, incredibilmente, si udì  diin.. diin..diin..!  Era il suono della campana piccola. Il ragazzo che era stato deriso da tutti non aveva intenzione di risalire, voleva ancora scendere. La vergogna dei fratelli divenne incontenibile:       << Questo ragazzo finirà per metterci in cattiva luce agli occhi di nostro padre – si dissero. Ma dove lo trova tutto questo coraggio!? Dobbiamo togliercelo di torno!>>. Così, con un pretesto, allontanarono i soldati, poi si avvicinarono alla corda e con un colpo di spada la recisero, facendo precipitare nel burrone il cestello ed il fratello. Poi fingendosi disperati per l’accaduto, cominciarono a gridare che la corda si era spezzata e, mostrandosi ipocritamente addolorati, tornarono dal re per riferirgli l’ accaduto. Questi, prostrato dalla triste notizia,  diede ordine che da quel giorno  una sentinella montasse sempre di guardia sul ciglio del burrone nel caso che il ragazzo, forse solo ferito, potesse farsi sentire suonando la campana grande.

     Ma cosa era successo al piccolo principe?

     Fortunatamente nel momento in cui i due fratelli  decidevano di tagliare la corda il cestello era quasi giunto sul fondo e così l’impatto non ebbe conseguenze disastrose per il ragazzo, il quale non riportò nemmeno una ferita. Uscito dal cestello, però, si accorse che la corda non si era spezzata, ma era stata tagliata. La scoperta gli fece comprendere che qualcuno aveva tentato di eliminarlo. Ma chi poteva essere? Non certo il padre, né tantomeno i soldati. Il tentativo poteva essere stato messo in atto solo da qualcuno che potesse provare invidia o gelosia per il suo coraggio. E queste persone potevano essere soltanto i suoi fratelli. Se avesse suonato subito la campana grande gli addetti all’ argano avrebbero calato una nuova corda e lui sarebbe risalito. Ma una volta sopra, avrebbe dovuto accusare i fratelli davanti al padre. Allora decise di non suonare e di accettare la nuova situazione. Si guardò intorno e si accorse che l’oscurità che regnava mentre scendeva era sparita. Ora si trovava in un bosco folto ma non impenetrabile dalla luce del giorno. Si mise in cammino alla ricerca dell’orco. Improvvisamente udì delle voci e non sapendo di cosa si trattasse si nascose dietro un cespuglio  in attesa. Spostò cautamente i rami  per stabilire a chi appartenessero quelle voci e con sua grande sorpresa scorse la carcassa di un asino attorno alla quale discutevano animatamente un leone, un’aquila e una formica che non riuscivano a trovare un accordo su come dividere quelle spoglie. Il leone con arroganza diceva:  <<Io sono il re degli animali. Sono il più forte e perciò tocca a me decidere la parte che mi tocca!>>.  L’aquila, spiegando le sue enormi ali, ribatteva:<<Nient’affatto! Io sono la regina delle montagne e la dominatrice dei cieli. Tocca a me stabilire le spettanze! E, poi, sono io che dall’alto ho avvistato per prima quest’asino morto!>>.  La formica, per niente intimidita: << Ma non vi vergognate! Uno dice di essere il re degli animali, l’altra la dominatrice dei cieli e solo per questo vorreste approfittare di me che sono la più piccola e nessuno di voi due sembra ricordare che quando siete arrivati qua già c’ero io! Sono la prima arrivata, perciò tocca a me stabilire come dividere questa carogna!>>.

     Mentre il leone e l’aquila stavano per rispondere alla formica si accorsero della presenza del ragazzo.  Il leone, per niente sorpreso, si rivolse a lui: <<Vieni avanti, giovanotto, e dicci cosa ci fai da queste parti!>>.   Il ragazzo timidamente si fece avanti e raccontò con dovizia di particolari il motivo della sua presenza in quella radura di cui, fino a qualche giorno prima, ignorava l’esistenza.                                                                                                                                           Il leone, dopo essersi consultato con la formica e con l’aquila, gli chiese: << Ti andrebbe di dividerci questo asino? Noi siamo qui a litigare da due giorni e non riusciamo a trovare un’intesa!>>. Il ragazzo senza perdersi d’animo: << Certo! Lo farò con piacere ; però dovete promettermi di non discutere sulle divisioni che farò!>>.

     << Nessuno di noi discuterà le tue decisioni!>> risposero in coro i tre animali. Allora il giovane disse: << Faremo in questo modo. La polpa la daremo all’aquila, perché non ha i denti, ma con il suo becco strapperà facilmente la carne dalle ossa. Al leone daremo tutte le ossa e la carne che vi resterà attaccata, perché  è l’unico che può spezzarle  con la forza dei suoi denti e delle sue mascelle. Alla formica daremo tutta la testa così potrà nutrirsi abbondantemente e costruirsi anche una casetta nel suo interno>>.

     I tre litiganti si dichiararono molto soddisfatti della divisione fatta e prima che il giovane si allontanasse il leone lo fermò dicendo: << Hai diviso molto bene questa carogna. Come vedi, siamo rimasti tutti soddisfatti, per questo, prima di andar via, voglio farti un regalo!>>. Si strappò un pelo dalla folta criniera e lo porse al giovane dicendo:<< Se ti metti in bocca questo pelo e dirai. “uomo sono e leone voglio diventare”, ti trasformerai immediatamente in leone, poi basta sputare il pelo e ritorni quello che eri prima. Ricordati, però, che questo puoi farlo solo per una volta>>. Anche l’aquila dal canto suo volle premiare il ragazzo. Si strappò una penna e nel dargliela disse: <<Prendi questa piuma. Se quando la metterai in bocca pronuncerai questa formula magica: “ uomo sono e aquila voglio diventare” , ti trasformerai in aquila senza nemmeno accorgertene; poi basta toglierla dalla bocca  e ritornerai quello che eri. Ricordati, però, che anche questo puoi farlo per una sola volta! >>

     La formica non volle essere da meno.  Strappatasi una zampetta, la porse al giovane, dicendogli:<< Anche questa zampetta, se te la metti in bocca e dici:” uomo sono e formica voglio diventare”, ti trasformerai in formica. Anche questo puoi farlo per una sola volta! >>.

     Il giovane si mostrò molto soddisfatto per questi insoliti doni anche se dubitava fortemente che avrebbero funzionato in caso di bisogno. Comunque ringraziò i tre animali e si avviò verso la casa dell’orco. Camminò per un giorno intero. Verso sera, stanco del lungo cammino, si fermò ai piedi di un albero e si addormentò. Il mattino seguente, allo spuntar dell’alba, si svegliò per rimettersi in cammino. Con suo grande stupore si accorse che era giunto nei pressi di un grande castello,  che, a causa del buio e della stanchezza, la sera prima non aveva notato. Il castello era circondato da un grosso e impenetrabile muro. Il giovane si mise in cerca di un qualunque varco, ma l’unico ingresso che si apriva nel muro di cinta era costituito da un enorme cancello a misura di orco. Non era possibile introdursi nel castello senza bussare o senza farsi notare, per cui il giovane ritenne l’ impresa impossibile. Sennonché,  mentre stava per arrendersi all’evidenza dei fatti, si ricordò dei doni che gli avevano fatto il leone, l’aquila e la formica. Cavò di tasca la zampetta della formica  e, come gli era stato raccomandato, pronunciò la formula magica: “uomo sono e formica voglio diventare”. All’istante, da giovanotto quale era, si ritrovò minuscola formica e così, infilatosi senza difficoltà sotto il cancello, lo attraversò e una volta dentro le mura si tolse di bocca la zampetta e ritornò il giovane di prima. << Questa zampetta ha funzionato davvero! – disse fra sé. Allorafunzioneranno anche  la penna dell’aquila e il pelo del leone!>>. Mentre fantasticava sul potere dei doni che gli avevano fatto i tre animali, cominciò a gironzolare intorno al castello,e cammina, cammina, cosa nota? Da una delle tante finestre vede penzolare tutti i pomi d’oro che erano stati staccati dall’albero di suo padre.

     << Bene, sono capitato nel posto giusto!>>, si disse il giovanotto, e mentre cercava di studiare come fare per entrare in casa, si imbatté in una splendida giovane che, vedendolo, sulle prime, si spaventò, ma poi, riavutasi dalla sorpresa, gli chiese: <<Chi sei, e come hai fatto a entrare qui attraverso quelle alte mura e quell’enorme cancello?>>.  

     Il giovane si meravigliò che una fanciulla così bella fosse al servizio di un orco orrendo e feroce, ma, affascinato dalla sua bellezza, le raccontò il motivo della sua presenza e anche come aveva fatto ad entrare, poi le chiese: << Ma tu, così giovane e bella, come mai sei al servizio di un orco così feroce e orrendo? >>.

     La fanciulla, colta da una crisi di pianto, cominciò a raccontare:<< Io e le mie due sorelle siamo state rapite da quest’orco che ci tiene prigioniere  da circa un anno. Siamo figlie del re di un paese molto lontano da questo posto e non so se mai qualcuno verrà a liberarci!->>. Il giovane pensò subito di rassicurarla:<< Ti ho già raccontato il motivo per il quale sono giunto fino a qui, e quello che dovrò fare servirà anche a liberare te e le tue sorelle. Ma loro dove sono?>>.

     La fanciulla lo prese per mano e gli disse: << Vieni che te le mostro!>>.  Così dicendo entrarono in casa. Qui giunti, la ragazza indicò al giovane due statue di marmo che ornavano due angoli della stanza. << Ecco le mie sorelle, trasformate con una sua magia  in fredde statue di marmo da quest’essere indefinibile: mago, bestia o altro!>>. << Che destino crudele!- replicò il giovane. Sono proprio contento  di essere arrivato fin qui, così cercherò di spezzare l’incantesimo dell’orco e liberare  te   e le tue sorelle. Devo solo trovare il modo per poterlo ammazzare>>..<< Ma cosa dici!- ribatté la fanciulla- non ci riuscirai mai, perché oltre a essere forte è anche ben protetto. Ci sarebbe solo un modo per farlo fuori, ma è molto difficile attuarlo, perché, come ti ho detto, l’orco è ben protetto ed è difficile persino avvicinarsi a lui!>>. 

     << Dimmi qual è questo modo! Dimmi! Dimmi!>>.

<< Te lo dico, ma credo che ti servirà a poco. Devi sapere che l’ orco ha una gallina che gli fa un uovo ogni settimana. Appena deposto, devo portarglielo. Lui lo beve e immediatamente diventa fortissimo e violento. Questa forza improvvisa diminuisce di ora in ora fino al prossimo uovo. Tu dovresti impossessarti di quest’uovo, entrare nella stanza e tirarlo giusto al centro della fronte dell’orco mentre dorme. In questo modo l’orco morirebbe all’istante e con lui svanirebbe anche l’incantesimo sulle mie sorelle!>>.

     << Non credevoche la cosa fosse così semplice- obiettò il giovane. Dove sta questa gallina e quando lo depone l’uovo?>>.

     << L’uovo dovrebbe deporlo a momenti, ma per prenderlo ti dovresti scontrare con una gallina che sembra più tremenda di un’aquila e non è finita, anche se riuscissi a prendere l’uovo, per entrare nella  camera dell’orco dovresti scontrarti con un porcospino che è sempre di guardia davanti alla porta>>. << Andiamo a vedere se la gallinaha depositato l’uovo, poi se è vero quello che mi è stato detto, il modo per affrontare la gallina c’è>>. Mentre raggiungevano   il pollaio sentirono la gallina fare “coccodè”. << Ecco, la gallina ha fatto l’uovo proprio in questo momento!>> esclamò la fanciulla.

     Il giovane non si perse d’animo, si mise subito la penna dell’aquila in bocca e pronunciò la magica frase; “ uomo sono e aquila voglio diventare”. Trasformatosi in una rapace aquila, prima che la gallina se ne potesse accorgere, si lanciò nel pollaio e con possenti colpi di rostro, le staccò la testa. Si tolse la piuma dalla bocca, e, ritornato uomo, raccolse l’uovo e saltò fuori dal pollaio. L’ atmosfera magica del luogo aveva fatto intuire all’orco che stava succedendo qualcosa di strano. E infatti, dall’interno del castello, si cominciarono a sentire dei lamenti: “tradimento … tradimento!” .

     La fanciulla, terrorizzata, disse al giovane:<< E’ l’orco; ha già sentito che è morta la gallina. Bisogna fare in fretta! Ma come aver ragione del porcospino? >>.

     << Accompagnami da questo animale!>>, disse il giovane.

     Attraversando il grande salone, passarono davanti alle due statue di marmo. La fanciulla lanciò loro uno sguardo pietoso mentre il suo cuore era pieno di speranza. Giunti in un corridoio, si fermarono di fronte a una porta davanti alla quale faceva buona guardia un grosso bestione ricoperto di aculei. Notando che la ragazza era accompagnata da una persona estranea la bestia si drizzò minacciosa. Il giovane si mise subito il pelo di leone in bocca e si affrettò a pronunciare la frase; “ uomo sono e leone voglio diventare”. Detto fatto. Sotto lo sguardo sbigottito del porcospino comparve improvvisamente un grosso leone. A questa vista il porcospino pronunciò anche lui una formula magica: << Si avess(i) ‘na zupp(a) ‘e pan(e) e vin(o),t(i) squartass(e) comm a ‘na gallin(a)!>>. (Se avessi una zuppa di pane e vino, ti squarterei come una gallina) . Il leone gli rispose: << Si avess(i) ‘na zupp(a) ‘e pan(e) e latt(e),t(i) squartass(e)  comm a ‘na gatt(a)!>>. (Se avessi una zuppa di pane e latte, ti squarterei come una gatta!). La fanciulla si affrettò ad esaudire la richiesta del leone. Si  precipitò in cucina, prese una ciotola, preparò una zuppa di pane e latte e la portò al leone, il quale appena l’ebbe davanti la divorò rapidamente, poi con un violento salto affondò i suoi artigli nel ventre del porcospino strappandogli le budella. Superato quest’altro pericolo, si tolse il pelo dalla bocca e ritornò uomo. Prese l’uovo dalle mani della fanciulla e stava per entrare nella stanza dalla quale ancora proveniva in modo sommesso: “tradimento...tradimento!”

     << Fermo – strilla la fanciulla.  Prima di entrare guarda l’orco in faccia. Se ha gli occhi chiusi, vuol dire che è sveglio, pertanto non entrare, altrimenti l’uovo che tirerai non andrà a segno. Se invece ha gli occhi aperti e vedi che fissano il vuoto, anche se parla, vuol dire che sta dormendo e allora puoi entrare!>>.

     Il giovane aprì lentamente la porta, sbirciò e si accorse che l’orco aveva gli occhi spalancati e fissi nel vuoto e blaterava ancora: “tradimento..tradimento”.

     Fu un attimo. Il giovane spalancò la porta, si avvicinò il più possibile all’orco e con quanta forza aveva nel braccio gli scagliò l’uovo al centro della fronte. In un attimo tutto svanì, e nel bosco  si ritrovarono il giovane, la fanciulla e le due sorelle che, liberate dall’incantesimo, si abbracciarono saltellando ripetutamente in preda a una irrefrenabile gioia.  A terra, dove prima c’erano le finestre del castello, erano raccolti tutti i pomi d’oro che l’orco aveva rubato.

     Trascorsa l’ euforia del momento, la fanciulla raccontò alle sorelle tutto quello che era successo. Ora, però, dopo che il giovane aveva raccolto i pomi da riconsegnare al padre, si presentava il problema di come venire fuori da quel burrone. I quattro cominciarono ad incamminarsi, e il principe, istintivamente, si diresse verso il luogo da cui ricordava di essere precipitato. Dopo una lunga marcia giunsero sul posto e con grande stupore il giovane vide che era stato calato un altro cestello, ma più piccolo del primo e che poteva contenere una sola persona. Vi erano anche le due corde delle campane. <<   Bene – disse il giovane- mio padre ha fatto calare un altro cestello vuol dire che  una per volta andrete su poi verrò anch’io!>>.

     Si stabili che la prima a salire fosse la più grande delle sorelle e così, fattala accomodare nel cestello, il giovane suonò la campana grande. Enorme fu la sorpresa all’udire quel suono per il soldato di guardia, che  subito suonò la tromba per chiamare rinforzi e dare inizio alle operazioni di recupero.

     Il re, informato del fatto  che si era sentito suonare la campana grande, accorse sul posto con alcuni soldati e con i suoi due figli. Giunti sul posto, due soldati aiutarono a tirare su il cestello. I fratelli del giovane principe temendo che, una volta tornato su, il fratello minore avesse potuto rivelare al padre d’essere stato fatto precipitare volutamente, cercavano un modo per non farlo risalire, ma c’era troppa gente e poi c’era il re in persona. Grande fu invece lo stupore, quando videro che nel cestello c’era una bellissima ragazza. Tutti si affrettarono per soccorrerla. La condussero dal re, al quale la fanciulla raccontò tutto quanto era successo e che giù vi erano altre due sue sorelle e il coraggioso  giovane che le aveva liberate e che aveva anche recuperato dei  bellissimi pomi d’oro. Il re, fiero di questo figlio e soddisfatto di quanto aveva sentito,  diede ordine di calare subito il cestello e di fare in fretta a tirarli fuori da quel burrone affidando ai due figli il compito di dirigere l’ operazione di salvataggio. Avrebbe voluto essere presente, ma c’erano degli affari importanti alla reggia che richiedevano la sua presenza. Intanto era già stato calato il cestello e di li a poco la campana grande fece risentire il suo suono: Boom..boom… boom!

     << Forza tirate su, tirate su!>> ordinavano  i due principi. Appena il cestello raggiunse l’orlo del burrone, nuove espressioni di stupore si disegnarono sui volti dei presenti. Un’altra bellissima fanciulla era stata portata su dal burrone! Ora, stando a quanto aveva riferito la prima fanciulla recuperata, giù nel burrone erano rimasti il principino e la più piccola delle sorelle, quella che lo aveva aiutato a sconfiggere l’orco.

     Quando il cestello, calato per la terza volta, raggiunse il fondo, il principino vi fece salire l’ ultima delle sorelle a cui affidò anche i pomi d’oro raccomandandole di consegnarli direttamente al re. La ragazza, sorpresa per questa decisione, disse: << Perché li consegni a me! Fra  poco verrai su anche tu e li consegnerai personalmente a tuo padre!>>.

     Il principino si limitò semplicemente a dire:<<Questa corda si è già spezzata una volta, se dovesse accadere di nuovo almeno salveremo i pomi d’oro!>>. La ragazza non sollevò altre obiezioni, ma mentre  si apprestava a salire nel cestello si strappò un pezzo del vestito e lo porse al principe dicendo:<< Prendi questo pezzo del mio vestito; ti porterà fortuna, e sappi che io sono di sopra che ti  aspetto. Voglio essere la tua sposa!>>.

     Commosso, il ragazzo si apprestò a suonare la campana e subito il cestello cominciò a salire rapidamente. Nel mentre si attendeva l’arrivo della terza sorella, le prime due furono chieste in spose dai due principi. La gioia della richiesta fu tanta che non se lo fecero ripetere una seconda volta e quando giunse anche la terza sorella, la più piccola, la loro gioia toccò le stelle. Ora restava da riportare su il principino,  ma nell’animo dei due fratelli albergavano  funesti  pensieri. Il loro odio era cresciuto a dismisura nel vedere nelle mani della terza ragazza i pomi d’oro. Dovevano restare soli, liberarsi dei testimoni. Il maggiore rivolto ai soldati:<< Conducete queste fanciulle alla reggia. A nostro fratello ci pensiamo noi e appena su verremo di corsa a palazzo>>. A nulla valsero le proteste della più piccola, che voleva attendere l’arrivo del principino e con lui recarsi dal re. Non fu ascoltata, e, contro la sua volontà, dovette seguire le sue sorelle verso la reggia. Rimasti soli i due fratricidi si accordarono che questa volta dovevano tirare su il cestello fino a metà corsa e poi farlo ripiombare nel baratro. Presi da questo torvo pensiero, calarono il cestello pronti a compiere il misfatto. Il giovane  non voleva credere che i suoi fratelli fossero così crudeli da desiderare la sua morte. Ma aveva potuto verificare con i suoi occhi che la corda non si era spezzata, era stata tagliata. Era combattuto, e mentre decideva se salire oppure no, andava ragionando tra sé <<Cosa faccio?  Salgo?  E se mi fanno lo stesso  scherzo? L’altra volta sono stato fortunato perché ero quasi giunto sul fondo, ma questa volta, se è come penso, mi faranno cadere da un’ altezza che mi sarà fatale!>>.

     Dopo avere formulato questi pensieri, decise di accertarsi se questi erano fondati oppure no. Prese un grosso masso  lo mise nel cestello e suonò la campana grande. Sotto lo sguardo attento del giovane il cestello cominciò a salire rapidamente e saliva … saliva tanto che cominciò a pensare d’essere stato ingiusto a nutrire quei brutti pensieri nei riguardi dei fratelli, quando improvvisamente un sinistro tonfo lo fece trasalire. Era il cestello, che precipitando si era frantumato a poca distanza dai suoi piedi.  Si convinse allora amaramente che i suoi dubbi non erano infondati. Raggiunse un albero poco distante, sedette ai suoi piedi e si abbandonò con la testa tra le mani. Dall’ alto i fratelli, per mascherare la loro colpa, si adoperarono a mascherare la nettezza del taglio, e modificarono il capo rimasto nelle loro mani sfilacciando i vari fili della corda in modo che si potesse credere veramente che essa si era spezzata; poi affranti, come sapevano ben simulare, corsero alla reggia e raccontarono che per una strana coincidenza la corda si era spezzata ancor una volta quando nel cestello si trovava il loro fratello più piccolo. Vani erano stati tutti i loro tentativi per riportare il fratello in salvo,  ma  tutto si era rivelato inutile e che  altrettanto inutile ed impossibile era tentare di rimandare qualcuno in fondo a quel burrone. La bugia, colorita da tanti particolari, fu presentata così bene che nessuno ebbe a dubitarne, neppure il re. Trascorsero alcuni giorni durante i quali il giovane principe errava per quel bosco tutto solo, quando improvvisamente vide presentarsi l’aquila alla quale aveva assegnato la polpa dell’asino. Questa, fingendo di ignorare il motivo per il quale il giovane principe si trovava in quella situazione, chiese:     << Come mai ti trovi ancora quaggiù, e perché non sei tornato su dai tuoi fratelli e da tuo padre>>.

     Il giovane le raccontò ogni cosa senza trascurare alcun particolare. Dopo averlo ascoltato attentamente, l’aquila gli disse: <<Posso portarti io fuori da questo burrone, però dobbiamo procurarci due contenitori, in uno metteremo della paglia e nell’altro dell’acqua. Mentre saliamo io ti dirò “acqua..” e tu mi dovrai passare la paglia, quando ti dirò; “paglia” tu dovrai darmi l’acqua. Devi essere attento perché se sbagli precipiteremo tutti e due e non ci sarà scampo. Te la senti di affrontare questo viaggio? Ti avverto che ti porterò più lontano perché non mi è concesso portarti nel punto dove sei sceso>>.

     << Certamente che me la sento e non importa se andiamo più lontano perché non so se torno alla reggia di mio padre. Dovrei raccontare come si sono svolti i fatti e i miei fratelli verrebbero messi a morte e io questo non lo voglio!>>.  << Io ti porto su, tu poi fai come ti suggerisce il tuo cuore!>>, rispose l’aquila.

     Procurati i due contenitori, uno fu riempito di paglia e l’altro di acqua e dopo averli assicurati sul dorso dell’aquila su cui si accomodò  anche il principino, l’aquila cominciò a volare. Durante il volo iniziarono le richieste:-Acqua!: E subito il principino passava la paglia. – Paglia!-. E subito veniva passata acqua. Le richieste continuarono per diverso tempo, acqua.., paglia.., paglia.., acqua.., acqua.., e il giovane sempre pronto a rispondere a ogni richiesta senza mai commettere alcun errore. Il viaggio terminò in aperta compagna. Qui l’aquila fece scendere il giovane principino e volò via.

     Cominciava a calare la sera e il giovane non sapeva dove andare. Aveva comunque deciso di non tornare a casa per non  accusare i suoi fratelli che sarebbero stati condannati a morte. S’incamminò in quella campagna senza una meta. Camminando, camminando era sopraggiunta la notte e andare avanti diveniva sempre più difficile. Pensò di riposarsi quando scorse una luce  poco lontano.  Allora  s’incamminò verso quella luce che proveniva da una casetta che era ai margini di un paesello che lui conosceva perché faceva parte del regno di suo padre. Raggiunta la casetta, bussò timidamente alla porta. Nonostante l’ora tarda, la modesta figura di un vecchietto già in tenuta da notte venne ad aprire, e mentre si stropicciava gli occhi chiese:-<< Cosa cerchi a quest’ora della notte e perché con tante case che ci sono in paese bussi proprio alla mia porta?>>. <<  Sono un viandante, cerco ospitalità. Sono stanco. Vengo da un luogo molto lontano al limitare della campagna e questa è la prima casa che ho incontrato. Questo è il motivo per cui ho bussato alla vostra porta!>>. Dall’interno della casa la voce di una vecchietta chiese al marito chi avesse bussato alla loro porta: << E’ un giovane.  Dice di essere un viandante e cerca ospitalità!>> fu la risposta del vecchietto. << E lascialo entrare! Lo tieni là fuori al freddo?>>. Anche la vecchietta si era alzata per raggiungere il marito. Nel vedere il giovane viandante, rimase incantata, sebbene costui, a causa delle prove che aveva dovuto superare, avesse i vestiti logori e per niente puliti. Il giovane fu sottoposto a un’infinità di domande nel corso delle quali la vecchietta si adoperava per preparargli da mangiare.  Quando fu tutto pronto, prima di avvicinarsi al desco il giovane chiese di potersi lavare almeno le mani. Con grande piacere dei padroni di casa gli fu detto che era già pronta una bacinella con dell’acqua e un candido asciugamani.

     << Ha chiesto di lavarsi le mani! Non è uno dei soliti vagabondi che vanno in giro sporchi e logori senza preoccuparsene.  Questo giovane, anche se ha i vestiti logori e non molto puliti, li porta con una certa eleganza!>>, concluse la vecchietta. <<Ora che mi ci fai pensare, anche se i vestiti che indossa sono logori e sporchi, sono di alta qualità. Ora, o li ha rubati da qualche parte o forse chi sa!>>. Il vecchietto e la moglie, infatti, erano  bravi sarti, e di stoffe e di vestiti se ne intendevano. Alle osservazioni della moglie, il marito ribatté:<<Ma che rubati! Non lo vedi, è timido e poi molto molto compito. Chi sa cosa gli è capitato. Mentre mangia va’ a preparargli il letto. Sarà molto stanco, povero giovane!>>. Così mentre la vecchietta prepara un comodo lettuccio, il principino si accomoda a tavola e per quanto avesse una gran fame,  consuma il pasto con rande compostezza. La vecchietta di tanto in tanto sbirciava e mentre scuoteva la testa ripeteva a se stessa:<<Che eleganza, anche nel mangiare, che classe!>>.  Terminata la cena, il giovanotto fu accompagnato in una accogliente stanzetta dove c’era un comodo e caldo lettuccio che lo attendeva.  Ora erano tutti a letto, ma la vecchietta non riusciva a dormire, si girava e rigirava fino a che rivolta al marito: << Se non ha dove andare perché non lo teniamo con noi? Potrebbe essere quel figlio che abbiamo tanto  desiderato, ma che non abbiamo mai avuto!>>. E il marito:<< Dormi e smettila di sognare a occhi aperti. Dormi. Dormi!>>. Quella notte sembrò non passare mai, ma poi, come sempre, arrivò il mattino, e tutti, scesi dai loro letti, si apprestavano ad affrontare la nuova giornata. Intanto mentre la vecchietta dopo aver approntato il necessario per i lavacri mattutini,  si apprestava a preparare anche una buona colazione, il marito preparò degli abiti da fare indossare al giovane ospite. Così, dopo aver fatto un buon bagno, aver indossato i nuovi vestiti, e consumata la colazione, il giovane si apprestava a ripartire, dopo di aver doverosamente ringraziato i due vecchietti per l’accoglienza riservatagli. Il vecchietto chiese dove fosse diretto. << Non so! – rispose il giovane. Non ho un posto dove andare. Forse il mio destino è quello di andare in giro per il mondo, chi sa!>>. Allora il vecchietto trovò il coraggio di chiedergli: << Se non hai dove andare, perché non resti qui con noi? Non abbiamo figli, siamo soli e potresti farci compagnia>>. << Dite davvero?>>, rispose il principino.  Nell’udire questa risposta, la vecchietta gli corse incontro dicendo: << Certo che dice davvero, figlio mio benedetto, davvero!>>. << Allora resterò qui con voi e vi aiuterò nel vostro lavoro!>>, concluse il giovane.

     << Ma tu hai mai fatto il sarto?>>, chiese il vecchietto. << No, ma posso imparare se a voi fa piacere!>>    << Certo che ci fa piacere, trasmetteremo a te tutta la nostra esperienza e con grande gioia!>>, concluse la vecchietta.

     Quella giornata sembrò a tutti la più felice della loro vita. Intanto poco lontano da quel paesello, alla reggia di suo padre si preparavano i matrimoni dei due fratelli con le prime due principessine. C’era un gran movimento per tutto il regno. I nobili erano occupati a farsi preparare sontuosi vestiti dai loro importanti sarti, i quali passavano gran parte del lavoro ai modesti e sconosciuti sarti dei paesi vicini. Parte di questo lavoro giunse anche presso l’abitazione dei due vecchietti. Il tempo scorreva lento ma costante. Passò l’euforia dei matrimoni, passò l’inverno, l’estate, un altro inverno e si avvicinava una nuova primavera. Le stagioni non  trascorsero infruttuose per  il piccolo principe, che aveva imparato molto del mestiere.  Intanto alla reggia era rimasta la principessina più piccola, che non aveva voluto ritornare a casa dai suoi genitori,  ma aveva preferito rimanere con le  sorelle per sentirsi meno sola.  Il re, sollecitato costantemente anche dal padre della fanciulla, le intimò che doveva decidersi a prendere marito. Molti pretendenti ambivano alla sua mano, per questo doveva sceglierne uno e decidersi a sposarsi. Non potendo più addurre pretesti, la fanciulla prese il vestito, che aveva conservato gelosamente e dal quale aveva strappato il pezzo di stoffa che aveva dato al principino e si presentò dal re dicendo:<< Maestà, mi sposerò non appena un sarto mi avrà riparato questo vestito! Quando lo sarà, sceglierete voi il mio pretendente e vi prometto che non troverò alcuna obiezione!>>.

     Ora, dobbiamo dire che riparare quel vestito era impossibile, perché era stato prodotto dall’orco e la stoffa era una stoffa magica. Ma questo il re non lo sapeva. Così furono chiamati i sarti di corte e fu dato loro l’incarico di sistemare quel vestito nel più breve tempo possibile. Il re confidava che per mettere una toppa a un vestito ci poteva volere una mezz’ora, un’ora, un giorno e che quindi  il matrimonio si sarebbe celebrato di li a poco. Passarono invece alcuni giorni. Si presentarono al re i sarti dicendo che la stoffa di cui era fatto il vestito della principessina,  era sconosciuta in tutti i mercati da loro visitati. Furono interpellati altri famosi sarti, ma l’esito fu altrettanto negativo. Allora il re mandò araldi in giro che dovevano diffondere per tutto il regno il seguente bando: <<L’ultima principessina rimasta alla reggia, per ordine del re  deve sposarsi. Costretta all’ ubbidienza, ha accettato ponendo come condizione quella che le venga riparato un vestito che lei conserva gelosamente. A tale vestito manca un pezzo e il re darà una grossa ricompensa a chi sarà in grado di trovare la stessa stoffa e rimetterlo in ordine->>.

     Questa notizia in breve tempo si diffuse per tutti i paesi del regno. La riparazione del vestito era diventato un vero affare di stato. Anche i due vecchietti  presero a discutere sull’argomento. Dopo di  avere ascoltato, fingendosi poco interessato, il giovane disse:-<< Perché non andate anche voi a vedere se possiamo sistemarlo noi questo vestito? Il fatto di questa stoffa introvabile mi sembra  molto strano!>>. << Ma cosa dici, benedetto figliolo! Non hai sentito? Dicono che sono stati chiamati i migliori sarti non solo di corte ma anche da altri paesi e tutti sono concordi nel dire che questa stoffa non esiste! Noi poveri sarti di paese dove possiamo presentarci?>>.

     Ma il giovanotto continuò ad insistere tanto che la vecchietta, per farlo contento, rivolta al marito:<<Vacci, tanto non ti costa niente. Così vedrai anche tu se è vero quello che dicono. Non si è mai sentito parlare di una stoffa che non si riesce a trovare. Questo fatto sembra un po’ strano anche a me!>>.  Il vecchietto continuava a dire di no, ma la moglie con insistenza tentava di dissuaderlo. Alla fine fu costretto a dire:-<< E va bene..! Andiamo a vedere questo vestito!>>. << Non guardatelo soltanto, fatevelo consegnare e portatelo qui e dite al re che dal momento che vi consegna il vestito dopo cinque giorni glielo riporterete riparato!>>, si affrettò a dire il giovane. Il vecchietto, incredulo e spaventato:<<Ma tu mi vuoi vedere morto! Se tu non l’hai nemmeno visto questo vestito, come fai a dire che glielo riporteremo riparato dopo cinque giorni?  E quando, sicuramente, glielo riporteròindietro così come me lo ha dato, l’ira del re si abbatterà su di me e non so cosa mi potrà  capitare!>>. Poi guardò il giovane e sempre per non farlo dispiacere, concluse rassegnato:<<E va bene! Farò come volete e che il buon Dio me la mandi buona!>>.

     Il giorno dopo il vecchietto era a palazzo reale. Si presentò al re dicendo che voleva prendere visione del vestito. Erano presenti numerosi sarti di riconosciuta fama e stavano appunto studiando delle stoffe. Quando videro presentarsi quest’omino sconosciuto e dalla figura dimessa che aveva quasi paura della sua stessa ombra, alcuni si misero a ridere con atteggiamento di sufficienza, altri lo sbeffeggiarono, mentre il re ordinò che gli fosse mostrato il vestito. Appena gli fu consegnato, il vecchietto comprese subito che si trattava di una stoffa che non aveva mai visto e che quasi sicuramente non esisteva, come avevano già confermato i grandi sarti. Avrebbe voluto ritornare a casa senza il vestito, ma aveva promesso di farselo consegnare, così, facendosi coraggio, disse:               <<Maestà, io il vestito l’ho visto, ma devo portarlo nel  mio laboratorio per poterlo riparare e, a partire da oggi, fra cinque giorni vi sarà riconsegnato riparato!>>.  Queste ultime parole, in verità, le pronunciò con voce tremante. Il re, con tono grave, esclamò:<<Riparato! Guardati intorno! Qui ci sono i migliori sarti del regno e dicono che il vestito non è riparabile e tu, modesto e sconosciuto sarto di provincia, vuoi portarlo nel tuo laboratorio per ripararlo? E va bene! Prendilo pure!  Ma sappi che i cinque giorni passano in fretta e quando torni dovrai riportare il vestito riparato come hai detto, altrimenti ti farò rinchiudere nelle prigioni del palazzo per il resto dei tuoi giorni!>>.

     Un brusio, come un insistente ronzio, si diffuse per la grande sala. Tutti quei famosi sarti lo derisero ancora di più mentre il vecchietto, col vestito ripiegato sullo avambraccio, si apprestava a lasciare la sala. Giunse a casa che sembrava più morto che vivo, e quando la moglie vide il vestito anche lei si rese conto che una stoffa simile non si era mai vista. Mentre i due vecchietti erano in preda alla disperazione il giovanotto con tutta calma prese il vestito e disse:<<State tranquilli, a riparare questo vestito ci pensoio!>>.

     <<Io lo so che hai imparatobene questo mestiere e so anche che sai riconoscere bene i tessuti, ma questa stoffa è strana, non esiste!>>, ribatté il vecchietto. Il giovane prese il vestito e, avviandosi verso la sua cameretta, rassicurò il tremante vecchietto:<<Fra cinque giorni  vi prometto che riporterete al re questo vestito bello e riparato!>>. Il vecchietto sempre più spaventato, rivolto alla moglie:

     << In verità, da quando ha imparato il mestiere, il giovanotto ci ha dato molte soddisfazioni, ma essere convinto di riuscire a creare una stoffa che i migliori produttori di tessuti non sono riusciti neppure a imitare, mi sa tanto di presunzione, anche se non mi sembra questa la sua natura!>>. Anche la moglie a questo punto cominciava a pentirsi di aver insistito a che il marito si decidesse ad andare alla reggia per misurarsi con i più grandi sarti del regno. Ma anche lei, avendo ben conosciuto il ragazzo, non riusciva a spiegarsi come mai questi avesse insistito tanto per farsi consegnare il vestito e addirittura affermare che di li a cinque giorni lo stesso sarebbe stato consegnato bello e  riparato. I giorni cominciavano a passare e il vestito era sempre poggiato su una sedia. Ogni tanto, non visti, una volta il vecchietto, una volta la moglie lo controllavano, ma lo strappo era sempre lì e con angoscia sempre crescente i due lo rimettevano al suo posto. Si giunse così al quarto giorno. L’indomani era il fatidico giorno della consegna e il povero sarto già si vedeva rinchiuso in una buia e fredda prigione. Per tutta la notte non riuscì a dormire. Ogni tanto andava a sbirciare nella stanzetta del giovane che sembrava dormire placidamente, invece il principino era stato talmente scaltro che mentre era intento a ricucire il pezzo di stoffa che conservava  lui gelosamente, appena sentiva arrivare il vecchietto, si ficcava sotto le lenzuola e fingeva di dormire. L’indomani mattina si alzarono. L’atmosfera  era carica di preoccupazione e di tristezza. Allora il giovane disse ai due vecchietti: << Perché avete quell’aria così triste?  Proprio stamattina che bisogna consegnare il vestito al re!>>. << Ti sembra poco riportare il vestito così come mi è stato dato?>>, rispose il vecchietto. Il giovane, sorridendo, rispose: << Prendete il vestito. Guardatelo, e poi riportatelo al re e quando ritornerete faremo una bella festa!>>.

     Il vecchietto, guardando il vestito, esclamò: << La festa me la farà il re  ora che gli po ..>>.  Non riuscì a terminare la frase. Restò a bocca aperta e senza parole. Il vestito era stato riparato. Il pezzo aggiunto era identico al vestito ed era stato applicato con tanta precisione che non si vedevano neppure le cuciture. Lo stupore dei due vecchietti fu così grande che non riuscivano a capacitarsi. A nulla valsero le domande per sapere dove aveva preso quella stoffa e quando avesse riparato il vestito, lui che sembrava dormire sempre! Il giovane si limitò a dire: << Ora portate il vestito al re, per il resto poi ne parleremo!>>.

     Alla reggia si attendeva la consegna del vestito da parte del temerario e sconosciuto sarto. La sala regale era gremita. Ma in trepidante attesa c’era la principessina, informata che uno sconosciuto  sarto di uno sperduto paese del regno aveva affermato di poter riparare il vestito. Il vociare confuso della sala andava man mano scemando mentre il sarto, con il vestito ripiegato sul braccio e a passo lento ma sicuro, si avvicinava sempre più al trono. I sarti dagli  altisonanti nomi erano  pronti per deriderlo, ma dovettero immediatamente tacere quando udirono la modesta figura del vecchietto rivolgersi al re con queste parole:<< Maestà! Ecco il vestito. Tutto a posto, come promesso e come potete verificare>>.

     Spiegato il vestito, il pezzo che prima mancava sembrava non essere mai stato strappato. Tutti rimasero allibiti. La gioia del re toccò il settimo cielo e per questo ordinò al suo amministratore di consegnare al sarto il doppio del premio stabilito.

     Mentre il vecchietto, allegramente, sotto lo sguardo invidioso dei grandi sarti che increduli si chiedevano come avesse fatto e  dove avesse trovato quella stoffa, si apprestava a  prendere il sacchetto contenente tanti soldi quanti  non aveva mai visti in tutta la sua vita, intervenne la principessina, che disse:<< Fermatevi ! Non date nulla a quest’uomo per adesso!>>. Si avvicinò al re e sotto voce gli raccontò la storia del pezzo di stoffa che lei in segno d’amore aveva consegnato al suo salvatore dicendogli anche che si trattava di una stoffa magica che nessuno avrebbe mai potuto riprodurre, per questo tutti i sarti convocati non erano riusciti a procurarsela.                                                                                       << Come ha fatto questo vecchio a venire in possesso di questo pezzo di stoffa? Chi glielo ha dato?  Dove l’ha trovato?>>, disse la principessina.

     Il re si rivolse al sarto:<< Ascoltami bene. Ti avevo detto che se non portavi il vestito riparato ti avrei messo in prigione per il resto dei tuoi giorni, invece tu hai mantenuto la parola e io ti stavo premiando con un compenso ancor più grande di quello che avevo promesso, ma ora se non mi dici come o da chi hai ricevuto questo pezzo di stoffa che altro non era che il pezzo del vestito, non ti manderò in prigione ma oggi stesso ti farò mozzare la testa.

     Ora gli sguardi dei grandi sarti non erano più inviperiti e carichi d’invidia, ma si erano arricchiti di una nuova luce, una luce di gioia e di soddisfazione per la sventura che stava per abbattersi su quel povero vecchietto.  Il poveretto con voce tremante cominciò a dire:<< Maestà, qualche anno fa, era di notte e faceva freddo, molto freddo, quando bussò alla porta un giovane che chiedeva ospitalità. Cosa potevamo fare io e mia moglie? Lasciarlo fuori al freddo e nel buio della notte? No.., gli offrimmo quel poco che avevamo e un letto per la notte. L’indomani mattina il giovane ci disse che non aveva dove andare, noi gli chiedemmo se aveva piacere di fermarsi da noi, ed è così che egli vive con noi da poco più di un anno. Ma vi assicuro, Maestà, è un bravo giovane. Non so come avesse quel pezzo di stoffa, ma sono certo che non ha fatto nulla di male>>. << Fai silenzio!>>, tuonò il re. Poi, rivolto alle guardie:<< Andate a prendere questo giovane e conducetelo qui!>>.

     Prima che i soldati potessero muoversi  si sentì esclamare:-<< Non è necessario, Maestà!>>.

     Tutti si voltarono per guardare chi avesse pronunciato quelle parole. Era il principino che entrava accompagnato dalla vecchietta. Il re, appena lo vide, esclamò:<< Mio  figlio!!>>.  La regina fu la prima a raggiungere il giovane per abbracciarlo, seguita dal re. L’emozione fu tanta che non riuscivano a contenersi. Già nel sentire la voce la principessina era diventata tutta una fiamma. Poi quando lo vide apparire, gli occhi sprizzavano fulgenti raggi tanto da sembrare due splendide stelle che brillavano nel buio della notte. I due vecchietti invece si guardavano smarriti mentre si ripetevano: << Abbiamo avuto con noi, nella nostra modesta casa, per più di un anno il nostro principino!>>. Ritornata la serenità il giovane fu oggetto di numerose domande alle quali dovette rispondere senza nascondere nulla. Dovette raccontare che per ben due volte i suoi fratelli avevano tentato di farlo morire senza tralasciare il minimo particolare. Indignato il re fece chiamare i due figli maggiori, comunicando che sarebbero stati condannati a morte, mentre il trono sarebbe passato al fratello che loro avevano tentato di ammazzare.

     << No, Maestà! – replicò il  principino. Se io devo ereditare il vostro trono, non voglio che questo avvenga sul sangue dei miei fratelli. Donate loro delle terre e magari mandateli a vivere lontano, ma che vivano sereni con le loro mogli e i loro figli, perché nel bene o nel male sono sempre miei fratelli! >>. << E sia!>>, rispose il re. Si faccia come hai deciso tu!>>.

     La vecchietta al marito:<<Hai visto che grande cuore e che sentimenti ha il nostro principe! È buono, troppo buono..! Iddio gli conceda lunga vita!>>.

     E così avvenne, e da quel momento vissero tutti felici e contenti.

Castrese Lucio Schiano

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.