Anno Domini 1411: Roccasecca “caput Europae”….Mundi
Nella sua “Storia delle Signorie Italiane” edita a Milano nel 1881, il Cipolla, accennando alla battaglia di Roccasecca del 19 maggio 1411, così scriveva: “Tutta Italia fu ripiena della fama di questa insigne battaglia”. Ricostruire, sia pure in sintesi, il contesto in cui maturò tale evento bellico non è operazione agevole. Morto nel 1386 Carlo III di Durazzo, il Regno di Napoli passava nelle mani dei suoi due figli, Ladislao e Giovanna, ancora bambini. I poteri, allora, vennero affidati a Margherita d’Angiò, moglie del defunto re. Ciò non impedì l’insorgere di una serie torbida di congiure provocate dai potenti baroni meridionali i quali, riconoscendo come loro sovrano il giovane Luigi II d’Angiò, nipote del re di Francia, indussero i transalpini a scendere in Italia. Nel 1391 i Francesi si impadronirono di Napoli costringendo la regina Margherita e i figli a rifugiarsi nella fortezza di Gaeta.
Soltanto nel 1399 Ladislao, ormai maggiorenne, poté rientrare in possesso del suo regno. Egli, per prima cosa, si preoccupò di ristabilire l’ordine interno frenando la prepotenza dei baroni. Quindi, poco adatto alla sedentaria vita di corte, dette inizio ad una lunga serie di operazioni militari. Nel 1403 si recò, come già suo padre, in Ungheria per impossessarsi della corona di Santo Stefano: l’impresa, però, fallì e fu costretto a tornare a Napoli. Sfumato il sogno balcanico Ladislao concentrò tutti i suoi sforzi sul territorio italiano, rivolgendo le sue mire sul vicino Ducato Romano. Profittando delle difficoltà della Chiesa alle prese con le prime avvisaglie del “grande scisma”, nel 1406 occupò Roma. Temendo la scomunica, però, si ritirò e stabilì una tregua con il pontefice. L’anno successivo Ladislao marciò di nuovo alla volta della Città Eterna che ben presto cadde nelle sue mani.
Il papa Giovanni XXIII, allora, si vide costretto ad assoldare un poderoso esercito per combattere i napoletani. Il comando fu affidato a Luigi II d’Angiò, l’antico rivale di Ladislao. L’angioino con 12.000 corazzieri guidati dai più celebri condottieri del tempo (Paolo Orsini, Muzio Attendolo detto lo “Sforza”, Braccio Fortebraccio da Montone), da Roma, seguendo la via Latina, si portò a Ceprano, ai confini del Regno. Il re Ladislao, invece, con i suoi capitani, tra cui Rostaino Cantelmo, conte di Alvito, da San Germano (l’odierna Cassino) spostò le sue truppe nella pianura di Roccasecca e allestì l’accampamento sulle sponde del Melfa. La mattina del 19 maggio 1411 gli angioini, guadato il fiume, assalirono con forza i reparti napoletani che, colti di sorpresa, non seppero resistere all’urto e si diedero a precipitosa fuga. Lo stesso Ladislao, ferito e deluso dall’esito della battaglia, dapprima si rifugiò nel vicino castello di Roccasacca e poi fuggì a San Germano trincerandosi nella munita Rocca Janula. Luigi d’Angiò aveva riportata una brillante vittoria nella battaglia di Roccasecca. Molti notabili, capitani e baroni napoletani caddero nelle mani degli angioini che raccolsero un ragguardevole bottino. A Roma si organizzarono grandi festeggiamenti per celebrare la vittoria con la quale si pensava di aver definitivamente messo fuori gioco l’irrequieto e bellicoso Ladislao. Si ignora dove la battaglia sia stata combattuta. Qualcuno propende per la contrada Nevali dove alla fine dell’800, in occasione dell’apertura di una strada rotabile, sono stati rinvenuti arnesi bellici, ferri, freni di cavalli, scimitarre nonché un numero impressionante di resti umani. Tornando alla vicenda bellica c’è da dire che i vincitori non seppero profittare della situazione favorevole.
Distolti da saccheggi e ruberie non riuscirono ad impedire la fuga di Ladislao il quale, riorganizzate le sue truppe, fu pronto a contrastare di nuovo gli avversari. Tanto che, con salace arguzia, il sovrano napoletano era solito affermare: “Nel primo giorno dopo la sconfitta che toccai i nemici avevano in mano la mia persona; al secondo il mio regno; al terzo né la mia persona né il mio regno”. Nel campo francese si giustificò l’inspiegabile inerzia con la grave perdita di cavalli subita nella cruenta battaglia. Sembra, però, che l’interruzione delle ostilità sia stata provocata soprattutto dal ritardo con il quale era stato versato il soldo alla milizia mercenaria e ai loro capi. Della qualcosa profittò abilmente il re Ladislao che provvide al riassetto del suo esercito ricomprando dai nemici soldati, armi e cavalli. Dopo aver sostato per alcune settimane nella malsana palude di Roccasecca, le truppe transalpine, decimate dalla malaria, ripiegarono su Roma. Poco dopo lo stesso Luigi d’Angiò, vista la precarietà della situazione, si imbarcò alla volta della Provenza lasciando campo libero ai napoletani. Ladislao, allora, invase nuovamente le terre della Chiesa costringendo il papa alla fuga. Giunto con le sue truppe a Narni, però, si ammalò gravemente. Qualcuno sostiene che sia stato avvelenato da una avvenente fanciulla del luogo che aveva tentato prepotentemente di concupire. Tornato a Napoli, nel 1414, ad appena 37 anni, rendeva l’anima a Dio lasciando il trono alla sorella Giovanna, detta “la pazza”. Dopo di che il regno cadde in preda ad un vortice ininterrotto di lotte intestine, di anarchia e di disordine che si protrarrà per buona parte del XV secolo.
Fernando Riccardi