Benino, il pastorello che dorme, dal cui sogno nasce il presepe
Nessuno svegli Benino: è lui che sogna il presepe, è il suo sogno che crea la magia del presepe napoletano.
Benino è il pastorello immerso nel sonno che si trova proprio all’inizio del percorso presepiale: va collocato nel punto più alto, lontano dalla Grotta della Natività, disteso in prossimità di un albero, che gli fa ombra, su un giaciglio d’erba, con la testa poggiata su di un sasso. Alcune fonti lo citano attorniato da 12 pecore, che rappresenterebbero i 12 mesi dell’anno. Altre abbracciate al padre, Armezio (rappresentano, rispettivamente, l’anno morente e quello nascente). La sua figura ha varie interpretazioni. Benino, secondo Claudio Canzanella, in “Razzullo e la Sibilla – il presepe dalle radici pagane alla sacra rappresentazione” sarebbe comunque un personaggio positivo. “E’ l’infanzia dell’umanità ingenua ed innocente che partecipa ad un evento straordinario, la rigenerazione”.
Italo Sarcone nel libro “Il sogno di Benino” cita Teocrito e Virgilio, maestri della “poesia pastorale” che ha come centro ispiratore la vita dei pastori, concepiti come quei pochi fortunati al mondo che ancora vivono in sintonia con la natura. Il significato della presenza di Benino sul presepio non può che collegarsi alla vita pastorale. Di Virgilio si ricorda soprattutto il verso iniziale della prima bucolica: Títyre, tú patulaé recubáns sub tégmine fági … “O Titiro, tu sdraiato all’ombra di un frondoso faggio. “La menzione del grande poeta latino – spiega Sarcone – non è per nulla casuale: Virgilio visse nella città della Sirena e vi fu sepolto, per sua espressa volontà, si dice presso l’ingresso della grotta che conduceva a Pozzuoli, e lasciò una forte impronta nella cultura e nel folclore di Napoli. Tra le opere di Virgilio è celebre, poi, la quarta bucolica, in cui si parla dell’avvento di una nuova era di pace e di armonia universale in connessione con la nascita di un bimbo”.
Secondo De Simone Benino è l’uomo che nella sua interiorità intraprende il viaggio nel presepe, che significa incamminarsi per una via “misterica” e compiere una “discesa” verso un mondo pieno di significati arcani e misteriosi. Infatti “l presepe di fattura popolare[…] è strutturato […] come un paesaggio con tante stradine e viottoli in discesa, che portano al punto più basso, quello centrale, dove è posta la grotta divina”.
Altri, come Luca Zolli, paragonano questa figura del presepe con l’icona dell’Anapesson, il cui culto è sopravvissuto nell’ambito della Chiesa ortodossa. Si tratta di una rappresentazione di Gesù bambino reclinato sul fianco destro e come addormentato, ma con gli occhi aperti. E’ talvolta fiancheggiato da due angeli in preghiera o recanti gli strumenti della passione, che sono presenti nel presepe popolare napoletano, in modo nascosto, vedremo come e dove. È una prefigurazione della Passione: si ispira a Genesi 48:9 (“Giuda è un cucciolo di leone…”) e ricorda le considerazioni di alcuni bestiari medioevali sul leone, notoriamente simbolo del Messia, secondo i quali “il leone dorme con gli occhi aperti e, uscito dal ventre materno morto, viene portato alla vita dal padre in tre giorni”.
Dalla figura di Benino in poi il percorso del Presepe si fa “labirintico”[…] Rileviamo, allora, che la significante onirica dei novanta numeri [della Smorfia napoletana]coincidono con gli elementi e coi personaggi presepiali […] ma i medesimi segni ricorrono anche nel gioco dell’Oca; essi, inseriti nelle caselle di un percorso labirintico a spirale, assumono carattere positivo o negativo e quindi, agevolano o penalizzano il giocatore. Una lettura attenta e comparata di tali segni consente di chiarire meglio le valenze significative degli elementi presepiali […] , per cui, relativamente alla cabala napoletana, ritroviamo il pozzo (67), la fontana(76), il ponte(68), il mulino(15)[…] la Morte (5) […]”
Sarcone, invece, nel suo libro dedicato proprio a Benino, cita anche Iacopo Sannazaro: “A Napoli, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, vi fu il poeta Iacopo Sannazaro, che scrisse in volgare un poema pastorale intitolato Arcadia (la regione greca celebrata da Virgilio, come sede della più schietta vita pastorale) e un altro poema, in latino, De partu Virginis (sul Parto della Vergine Maria), quasi che la nascita del Bambino Gesú sia indissolubilmente legata al mondo dei pastori. Questo delicato poeta fece edificare a Napoli una chiesa su un costone roccioso, che all’epoca strapiombava sul mare di Mergellina; la volle dedicare alla Vergine partoriente; nella sacra ombra della chiesa di “Santa Maria del Parto”, egli riposa nel sepolcro posto dietro l’altare maggiore. Nella stessa chiesa, un artistico presepe ligneo ricorda ancora al viandante ciò che, insieme alla poesia virgiliana, lo appassionò maggiormente: la nascita del Bambino Gesú”.
Per Sarcone nella figura di Benino, il pastorello immerso nel sonno, proprio all’inizio del percorso presepiale, possiamo scorgere dunque il risultato di diversi filoni. Tra questi vi è la pagina del Vangelo di Luca, nella quale si racconta come gli Angeli portarono l’annuncio della nascita di Gesù proprio ai pastori, che vegliavano, all’aperto, le loro greggi. C’è poi la tradizione culturale della grande poesia pastorale, che nella letteratura italiana continuò, nel Settecento, con il movimento poetico detto l’Arcadia, che assunse come protettore Gesù Bambino. Ma ci fu anche la vita concreta di tutti i giorni, quando i pastori, dai dintorni di Napoli e dai suoi casali, venivano in città, spingendo avanti pecore e capre, ad offrire ai cittadini i prodotti della pastorizia. La figura di Benino non è posta lì a caso, così come nessuna delle altre figure occupa casualmente la sua posizione nel presepe.
Quella del “sonno” è dunque un’immagine con la quale si allude alla sospensione della coscienza quotidiana: “Nella storia della cultura, molte volte è stato rappresentato questo stato di “sonno” in cui si compie un viaggio eccezionale. Polifilo, nella Divina Commedia, è il protagonista di una straordinaria avventura dello spirito; il suo nome significa “colui che ama Polia” (figura femminile, che è, con tutta probabilità, la “Sapienza”). Mentre si cruccia per il suo amore non corrisposto, si addormenta e inizia a sognare: si vede, similmente a Dante, smarrito in un’oscura e aspra selva, dalla quale solo a fatica riesce ad uscire, stanco ed assetato. Chinatosi a bere sulla riva di un ruscello, si lascia attrarre da un soave canto che ode in lontananza; per seguirlo, si caccia in ben più gravi pericoli; riuscito ancora una volta a sfuggire, spossato, arso dalla sete, si distende a riposare e nuovamente viene colto dal sonno e, nel sogno, riprende a sognare. Nella straordinaria visione che ne consegue, egli rivive tutta la grandezza e il declino dell’Antichità. Questo testo umanistico, emblematico ed enigmatico ad un tempo, che nella nostra cultura non ha avuto molta fortuna, pur lavorando, per così dire sotterraneamente e contribuendo a formare un gusto, appartiene alla fine del ‘400. È, oltre tutto, uno dei libri figurati più belli dell’arte tipografica del grande Aldo Manuzio. Una delle figure che lo impreziosiscono mostra appunto Polifilo che, disteso sotto un albero, dorme. Il paragone con Benino si impone da sé”.
Altre fonti collegano Benino al Dio dei Pastori, nella Grecia Antica, il Dio del Tutto, il Dio Pan, che sognava un nuovo ordine per l’universo, dopo averne confuso le carte. Il sonno non è solo il preludio all’evoluzione dell’anima, ma è atto di creazione esso stesso, una sorta di preparazione dello scenario in cui si manifesterà il miracolo della Natività e con esso la rinascita spirituale del singolo. Un equilibrio fragile e delicatissimo, come è nella natura dei sogni.
Benino dorme, e nel suo sonno si compie ancora una volta il miracolo del Natale. Il suo risveglio rappresenta una nuova fine, un nuovo inizio per tutti. Del resto nelle sacre scritture è scritto: “E gli angeli diedero l’annunzio ai pastori dormienti”. Quindi il sonno è inteso come iniziazione. Ciò comporta un triplice sgnificato: la rivelazione del sacro, il passaggio all’età adulta e il passaggio dalla vita alla morte. Il fanciullo ignora queste esperienze, ma, dopo essere ‘iniziato’, le integra nella sua nuova personalità. Il risveglio è considerato rinascita a nuova vita.
(Nella foto di Francesco Paolo Busco, Benino abbracciato da Armezio, opera dei fratelli Capuano, via San Gregorio Armeno, Napoli)
Lucilla Parlato