‘Brigantaggio’ nel Sud, assedio di Gaeta e Fenestrelle: il nuovo corso dell’Arma dei Carabinieri/ MATTINALE 522
E’ con grande piacere che oggi dedichiamo il MATTINALE a un articolo pubblicato sul sito ufficiale del Ministero della Difesa. Dove si ricostruiscono con gli occhi della verità gli anni subito successivi alla cosiddetta unità d’Italia. Uno scritto molto importante che inquadra nella giusta luce fatti che, ancora oggi, una certa storiografia nasconde o nega
Oggi dedichiamo il nostro MATTINALE a una notizia particolare e molto importante dal punto di vista culturale: un articolo del giornale dell’Arma dei Carabinieri – pubblicato sul sito ufficiale del Ministero della Difesa- che ricostruisce i primi anni della cosiddetta unità d’Italia. Sì, avete letto bene: si parla della vera storia d’Italia degli anni subito successivi a quella che noi definiamo ‘presunta’ unificazione italiana. Ma a parlare, stavolta, non sono i Carlo Alianello, i Nicola Zitara e i Pino Aprile, ma il giornale dei Carabinieri.
“Brigantaggio, assedio di Gaeta, Fenestrelle:il nuovo corso delle ricostruzioni ufficiali dell’Arma dei Carabinieri”.
Noi riprendiamo – commentandolo – l’articolo dell’Arma dei Carabinieri firmato da Vincenzo Pezzolet, alto ufficiale dei Carabinieri, giornalista, già Capo ufficio storico del Comando generale dell’Arma, dal 1997 al 2006 direttore de «Il Carabiniere».
“Nell’aprile 1861 – leggiamo nell’articolo – si accende improvvisa la prima grande rivolta armata, prima in Basilicata poi nelle altre province del Sud. Centinaia di bande misero in pericolo l’Autorità del nuovo Stato il quale, sbagliando, intervenne in forma esclusivamente militare. I soldati impiegati nel 1861 salirono da 15mila a 50mila, per arrivare a 116mila nel 1864. Secondo alcuni dati ufficiali, dal 1861 al 1865 i rivoltosi uccisi in combattimento o fucilati furono 5.212, oltre 5.000 gli arrestati”.
Notevole il passaggio sull’assedio di Gaeta:
“La ‘questione dell’insorgenza’ è stata sempre tenuta nell’ombra dalla storiografia risorgimentale. Nascoste o sottovalutate le gravi colpe dell’invasore piemontese. Prima fra tutte la famigerata azione dell’assedio di Gaeta, nella cui circostanza i soldati borbonici si comportarono da eroi: per oltre tre mesi, in condizioni disumane, sostennero l’assalto delle granate piemontesi. Ma anziché avere l’onore delle armi, i soldati borbonici furono inviati nei campi di concentramento di Finestrelle e San Maurizio Canavese”.
L’articolo scrive di Fenestrelle: per la precisione, “campi di concentramento di Finestrelle e San Maurizio Canavese”. Elemento molto importante, perché, ancora oggi, tra gli storici, non manca chi nega che a Fenestrelle vennero ammazzati migliaia di meridionali!
Vicenda, quella di Fenestrelle, della quale ci siamo occupati più volte.
L’articolo si occupa della legge Pica. E’ un argomento che I Nuovi Vespri hanno affrontato provando a raccontare gli effetti nefasti di questa iniziativa delinquenziale. “Lo Stato italiano – scrive Antonio Gramsci – è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”.
Ecco il passaggio descritto dal giornale dei Carabinieri:
“Per i disagi e le vessazioni morirono a migliaia. Si fece quindi ricorso alla ‘Legge Pica’ che sospendeva le libertà nel Mezzogiorno. Tutto il potere veniva consegnato nelle mani dei militari con la possibilità per le ‘Giunte provinciali’ di condannare, su base di labili indizi, al domicilio coatto. In tutta questa tragica confusione occorre anche tener conto del tentativo garibaldino di attaccare Roma (agosto 1862): lo scontro con le truppe del colonnello Pallavicini sancirono la frattura tra le due anime del Risorgimento: quella repubblicana e democratica e quella liberale-moderata e monarchica”.
Puntuale, nell’articolo, la ricostruzione della questione agraria siciliana esplosa all’indomani della conquista piemontese:
“L’epopea risorgimentale aveva fatto immaginare un Meridione libero dall’occupazione straniera e, finalmente, libero di svilupparsi. La situazione successiva smentì le attese della vigilia. I baroni siciliani volevano mantenere l’antico ordine dei privilegi e Garibaldi era la loro speranza, certi che, una volta liquidato lo Stato di Napoli, i piemontesi non potessero dare che minimi fastidi, superabili con un patto tra i potentati siciliani e il re piemontese. Tutte le contraddizioni irrisolte del Risorgimento esplosero, il movimento unitario nazionale sprigionò forze popolari e le speranze di una riforma agraria si scontrarono con gli interessi di quanti avevano appoggiato Garibaldi”.
In realtà, il Regno delle Due Sicilie, come scriviamo spesso, culturalmente e, per certi versi, anche economicamente, era messo moto meglio di varie aree i quello che sarebbe poi stato il Nord Italia. E, soprattutto, era molto più avanti del Piemonte. Sbagliando – a nostro avviso volutamente sbagliando – è stato detto che all’indomani della ‘presunta’ unificazione italiane le ferrovie del Sud non brillavano (come, del resto, non brillano oggi).
Chi dice e scrive queste cose fa finta di non sapere che il Regno delle Due Sicilie – che peraltro era stato tra i primi a puntare sulle ferrovie: basti pensare alla Napoli-Portici – puntava sui trasporti via mare, che erano all’avanguardia nel mondo!
Perché la nostra precisazione? Perché non siamo d’accordo sul “Meridione libero dall’occupazione straniera”: il regno delle Due Sicilie non era affatto “straniero”: stranieri erano i piemontesi e con i soldi degli inglesi, con il tradimento degli ufficiali borbonici e con l’aiuto delle mafie locali si erano impossessati del Sud Italia.
Condividiamo, invece, l’analisi sui baroni siciliani che, con Garibaldi, puntavano a mantenere i privilegi: gli eccidi perpetrati dai garibaldini in Sicilia – soprattutto ad Alcara Li Fusi e a Bronte ne sono drammatiche testimonianze (sui fatti di Bronte vi consigliamo di leggere la ricostruzione di Giuseppe Scianò).
L’articolo ricorda “Giovanni Corrao, promosso generale durante la spedizione dei Mille… ucciso nella serata del 3 agosto 1863, nelle campagne di Monreale, da alcuni assassini travestiti da carabinieri”. Una vicenda, quella del garibaldino Giovanni Corrao, ricostruita da Ignazio Coppola.
L’articolo parla anche della “Rivolta del sette e mezzo” (dai giorni di durata) repressa dall’esercito (altra vicenda che noi abbiamo ricostruito).
L’autore del pregevole articolo ricorda anche “le bande di Tortomasi, Torretta, Sparacino, Sajeva, Playa, Lo Monte, Botindari e Alfano. La mafia sosteneva la strategia politica della classe dirigente siciliana, che di volta in volta si alleava con i briganti o con lo Stato. La situazione mutò quando, alle elezioni del 1876, la sinistra andò al potere anche grazie all’appoggio della Sicilia, ove su 48 deputati ne furono eletti 43 della sinistra. La più evidente conseguenza di un nuovo patto instaurato può essere trovata nella relazione della commissione parlamentare d’inchiesta del l875, presieduta dall’onorevole Borsani. La commissione concludeva che la mafia era soltanto un fenomeno delinquenziale, retaggio dei tempi borbonici, che aveva come vittime i ceti benestanti ma che era opportuno non sopravvalutare, come in passato aveva fatto qualche ansioso funzionario. Da questo momento comincia quel fenomeno di occultamento tipico del sistema mafioso”.
“Nel gennaio del 1877 – prosegue l’articolo – il ministro dell’Interno Giovanni Nicotera inviò a Palermo, con poteri eccezionali, il prefetto Antonio Malusardi, integerrimo funzionario piemontese. L’uomo, grazie anche all’utilizzo di metodi poco ortodossi, in meno di un anno riuscì a far cadere la rete di protezione di cui fruiva il brigantaggio, e in centinaia (tra cui Leone, Salpietra, Passafiume, Rocca e Rinaldi) furono arrestati e processati. Fin dall’inizio fu evidente che quel che era venuto a mancare al brigantaggio era la protezione della mafia, e ciò fu ancora più chiaro quando il Malusardi, tentando di spingersi oltre la bassa manovalanza, fu fermato e costretto a dimettersi da Crispi, subentrato nel frattempo al ministro Nicotera. In Campania la situazione non era certamente differente. Per la liberazione di Napoli, Liborio Romano era persino arrivato a chiedere l’appoggio dei camorristi, organizzati nella Bella Società Riformata. Il nuovo Stato prese coscienza con lentezza della grave minaccia di quel tipo di criminalità organizzata”.
Insomma, un articolo importante, quello che si legge nel giornale dei Carabinieri. Che racconta con passione e voglia di verità il dramma del Sud all’indomani della ‘presunta’ unificazione
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