Alta Terra di Lavoro

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La storia dell’elefante personale di Carlo III

Posted by on Dic 16, 2018

La storia dell’elefante personale di Carlo III

Al Museo zoologico sono conservati migliaia di reperti estremamente rari, tra cui la collezione Costa e lo scheletro di una balena franca boreale. Ma all’interno del suddetto museo è presente anche lo scheletro di un elefante particolare: si potrebbe quasi azzardare a dire un elefante “reale”.

Questa storia ha inizio il primo novembre del 1742, quando Carlo III di Borbone ricevette in dono dal sultano ottomano Mehmet V un piccolo elefante indiano, che fu portato immediatamente nello zoo privato della sfarzosa Reggia di Portici. Lì, il pachiderma si trovava in compagnia della collezione privata di animali esotici del re. Infatti nel libro DESCRIZIONE DELL’ELEFANTE PERVENUTO IN DONO DAL GRAN SULTANO ALLA REGAL CORTE DI NAPOLI, 1°NOVEMBRE NAPOLI, 1742” di Francesco Serao, sta scritto:

“Giunse quello finalmente nella Regal Villa di Portici dove la Corte si tratteneva, il dì primo Novembre : e,come delle cose grandi avviene, la vista di lui non che scemare il piacere e la maraviglia, sì l’accrebbe di molto, anche ne’più intelligenti “.

Si sa che l’animale, appena giunto a Napoli, destò la curiosità di tutto il popolo, poichè non era così scontato avere a che fare con questi animali all’epoca. Il re lo utilizzava per questo motivo nelle sue parate ufficiali, così da poter mostrare con fierezza l’elefante, ancora semi-sconosciuto dalla maggior parte dei napoletani. Nel 1743 l’elefante di Carlo III fu prestato al teatro San Carlo per l’opera del Metastasio “Alessandro nelle Indie”. Riscosse così tanto successo che la gente era disposta anche a corrompere le guardie del re, pur di poterlo ammirare per pochi minuti.

All’elefante di Carlo III fu affidata una guardia del corpo che aveva il compito di prendersene cura. L’uomo divenne una celebrità, camminava fiero accompagnato dall’elefante, che considerava oramai una sua proprietà. Purtroppo quando nel 1756 l’elefante morì a causa dell’ alimentazione sbagliata, il caporale divenne un sottufficiale come tanti e spese tutti i soldi che aveva guadagnato in alcool e donne.

Inizialmente la carcassa fu esposta al Museo Borbonico (oggi Museo Archeologico Nazionale di Napoli); furono preparati lo scheletro e la pelle fu montata su un supporto metallico. All’inizio dell’Ottocento furono trafugate le zanne e poi la dura pelle, utilizzata per confezionare le calzature. Solo nel 1819 lo scheletro, e quel che restava della gloriosa pelle, furono trasferiti nell’attuale Museo Zoologico di Napoli.

Che aspetti a muoverti? Corri a vederlo!

Disegno di Emanuel D. Picciano

fonte 

read:https://www.storienapoli.it/2018/08/04/la-storia-dell-elefante-personale-di-carlo-iii/

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San Carlo di Napoli: storia del teatro più antico d’Europa

Posted by on Set 6, 2018

San Carlo di Napoli: storia del teatro più antico d’Europa

Ha 281 anni ma se li porta magnificamente, è sopravvissuto a incendi e guerre, fu voluto da Carlo III… di Borbone e fu inaugurato il giorno del suo onomastico. Il teatro San Carlo, orgoglio partenopeo, continua a incantare il pubblico di spettatori e ad attrarre i massimi esponenti della lirica e del balletto: ecco tutto quello che si deve sapere sulla sua storia.

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Carlo di Borbone, il re che fece di Napoli una grandissima capitale europea

Posted by on Mar 10, 2018

Carlo di Borbone, il re che fece di Napoli una grandissima capitale europea

Il 10 Maggio 1734 un appena diciottenne Carlo, figlio di Filippo V di Spagna, entrò trionfante nella città di Napoli rendendola capitale di uno Stato tornato ad essere sovrano e indipendente, che sarà prosperoso e regalerà al mondo intero grandissimi capolavori. Riuscì a conquistare il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia, togliendoli agli austriaci, approfittando di un grosso conflitto europeo, la guerra di successione polacca. Sua madre era Elisabetta Farnese, ragion per cui divenne Duca di Parma e Piacenza ereditando la celebre e ricchissima Collezione Farnese, adesso conservata a Napoli, città alla quale è stata legittimamente donata.

A Palermo fu incoronato come Carlo III di Sicilia, a Napoli avrebbe dovuto essere re con l’appellativo di Carlo VII di Napoli, tuttavia egli rifiutò quella numerazione optando per un semplice “Carlo” senza alcuna numerazione, per sottolineare il fatto di essere re di uno stato indipendente, mentre coi precedenti sovrani non poteva dirsi altrettanto. A causa della giovane età, nei primi anni di regno fu consigliato nelle scelte di governo soprattutto dalla madre, una donna molto forte, istruita, saggia, come d’altra parte era naturale vista l’illustre famiglia alla quale apparteneva, tanto che influenzava persino le decisioni del marito, sovrano di Spagna.

Carlo di Borbone fu un perfetto esempio di quello che si suole definire un “sovrano illuminato”, ossia un monarca che si circondava di intellettuali, artisti e uomini politici che portavano avanti le idee dell’Illuminismo che nel ‘700, detto appunto secolo dei lumi, si diffusero in tutta Europa ponendo in primo piano assoluto l’intelletto umano, contro l’ignoranza e la superstizione. D’altra parte Napoli era riuscita ad anticipare importanti temi dell’Illuminismo – la cui affermazione è data intorno al 1750 – si pensi ad esempio a Giambattista Vico e a Pietro Giannone, morti rispettivamente nel 1744 e nel 1748, e insieme a Parigi fu la città che più contribuì alla corrente, non limitandosi ad assorbirla come accaduto invece nel resto d’Europa. Gli intellettuali napoletani svolsero dunque un ruolo sociale, oltre che culturale – tra questi, oltre ai già citati, è bene ricordare, tra gli altri, Antonio Genovesi (fondatore della prima cattedra al mondo di Economia Politica), Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, Antonio Broggia, Francescantonio Grimaldi, Francesco Mario Pagano e altri.

Tra i primi atti di governo di Carlo abbiamo la tassazione dei beni ecclesiastici, i quali, poiché erano numerosissimi grazie a speciali privilegi del passato, permisero di triplicare le entrate del Regno. Grazie al suo passaggio in Toscana mentre si dirigeva nel Mezzogiorno, poté affiancarsi Bernardo Tanucci, che ricoprì vari ruoli fino a divenire primo ministro ed acquistare il titolo nobiliare di marchese. Vero e proprio uomo di fiducia del re, intraprese un programma riformatore amministrativo e finanziario, togliendo poteri e privilegi a nuclei particolari che sfruttavano risorse senza recare un tangibile beneficio allo stato. Fu artefice del Concordato con la Chiesa Cattolica del 1741, in cui si sanciva la supremazia dello stato, e la politica finanziaria ispirata ai più moderni principi apportò grandi risultati all’economia del Regno.

È però di natura artistica, architettonica e archeologica il più grosso segno che Carlo ha lasciato a Napoli e dintorni: a lui si deve l’apertura sistematica degli scavi di Ercolano, Pompei e Stabia; la realizzazione del Real Teatro di San Carlo, che sostituì il San Bartolomeo e fu inaugurato il 4 Novembre, giorno dell’onomastico del re; la Reggia di Portici, la Reggia di Capodimonte e la maestosa Reggia di Caserta, affidata a Luigi Vanvitelli per rivaleggiare con quella di Versailles, e il contestuale Acquedotto Carolino; il Foro Carolino (oggi Piazza Dante) sempre ad opera del Vanvitelli e che vanta alcune sculture di Giuseppe Sanmartino, l’artista del Cristo Velato; il gigantesco Real Albergo dei Poveri dell’architetto Ferdinando Fuga; il rinnovamento e ampliamento di Palazzo Reale; la fondazione della Real Fabbrica di Capodimonte per la produzione della porcellana; la fondazione dell’Accademia di Belle Arti. Grazie a tutto ciò, Napoli divenne una grandissima capitale europea, sicuramente e di gran lunga la più importante città in Italia, ambitissima meta del Gran Tour capace di stregare Goethe e Stendhal.

Carlo si innamorò a prima vista della sua capitale e del suo popolo, che ricambiava quell’amore, tanto che imparò la Lingua Napoletana per diventare egli stesso napoletano, comprendere ed essere vicino alla sua gente. Nel 1759 il trono di Spagna rimase vuoto e proprio Carlo dovette occuparlo, a malincuore e controvoglia. Secondo una leggenda che pare abbia, comunque, un fondamento di verità, al momento di lasciare il suo Regno si tolse dal dito un anello che portava sempre, rinvenuto a Pompei, poiché apparteneva ai napoletani, non a lui.

FRANCESCO PIPITONE

fonte

vesuviolive.it

Fonti:
– Breve Storia di Napoli; Leonardo Di Mauro, Giovanni Vitolo;
– Storia di Napoli; Antonio Ghirelli

 

 

 

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